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Ed egli: Or va, chè il sol non si ricorca
Sette volte nel letto, che il Montone
Con tutti e quattro i piè copre ed inforca,

Che cotesta cortese opinione

Ti fia chiovata in mezzo della testa

Con maggior chiovi che d' altrui sermone,

Se corso di giudicio non s'arresta.

Purg., VIII, 124–139.

Una semplice legazione non l'avrebbe fatto parlare così. Si vede che Dante dovette sperimentare in vari modi la liberalità di quel Moroello, per il quale, come ci dice nell' epistola, serbò in seguito profonda devozione e gratitudine, come servo a buon signore: «Ne lateant dominum vincula servi sui, quae affectus gratuitatio dominantis... ». Dunque in quella corte dovette rimanere del tempo, durante il quale avrebbe potuto attendere agli studi, «< sequi libertatis offitia »>, con grande meraviglia del marchese, «< in qua velut saepe sub admiratione vidistis », e dedicarsi alle « assiduas meditationes, quibus tam coelestia quam terrestria intuebar »>. Se noi lo facciamo ripartire di là dopo avervi dimorato circa due stagioni, vale a dire al principio della primavera, appena l'aria s'era un po' raddolcita (nel cuore dell' inverno è probabile che quei signori non l'avrebbero fatto muovere), ai primi di aprile, tutto al più, si sarebbe potuto trovare in Casentino. Ivi, appena giunto, sarebbe caduto in quei ceppi d'amore ch' egli ci descrive; e vi sarebbe caduto immediatamente, senza indugio: «Igitur mihi a limine suspiratae postea curiae separato... cum primum pedes juxta Sarni fluenta... defigerem, subito heu! mulier, ceu fulgur descendens, apparuit ». Ciò concorderebbe a meraviglia con le notizie che ci diede di questo tempo Filippo Villani, il quale, per esser nato, a quanto pare, nel 1325 avere scritto nella metà

del sec. xiv, ne doveva pur sapere qualche cosa. Egli, dopo aver parlato dell' ospitalità trovata dall' Alighieri presso Moroello Marchione Malaspina, «ubi cum compassione benignissime receptus est », e aver accennato a quell' incidente dei primi sette canti della Divina Commedia, di cui parlò anche il Boccaccio, continua: «A Moroello deinde honesta necessitate decedens, Casentinum applicuit, ubi, aliquandiu manens, multum operis edidit ». (1) Parole preziosissime, di cui nemmeno una va trascurata per le recondite verità che contengono. Presso Moroello non sarebbe potuto rimanere a lungo, perchè la convenienza non glie lo permetteva; « honesta necessitate decessit »; e di là sarebbe partito subito per il Casentino, dove « multum operis edidit ».

Dunque nella primavera del 1307 Dante si sarebbe trovato nel Casentino, e in quella stessa stagione sarebbe avvenuta l' apparizione della donna fatale. E siccome in quest' amore, abbiamo veduto, vanno distinti due periodi, uno più lungo, che va da una primavera a un'altra successiva, e un secondo più breve, che va dalla fine di un autunno all' inverno seguente, costituendo complessivamente quasi due anni; possiamo conchiudere che, se l'apparizione della Pargoletta avvenne nella primavera del 1307, la fine di quell' amore dovette essere negli ultimi dell'inverno del 1309. Eccone un breve schema:

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(1) Il Comento al primo canto dell'Inferno, pubbl. e annot. da G. CUGNONI, Città di Castello, Lapi, 1893. Quelle parole si trovano nell'introduzione, premessa dal Villani al suo commento, e precisamente al paragrafo III.

Questo appunto dovette essere il tempo, in cui si svolse l'amore da noi studiato, quando ormai Dante si trovava avanzato negli anni, e s' era incominciato a distaccare dalle cose frivole e passeggere del mondo: Il Boccaccio aveva in parte dato nel vero, riportandolo « vicino allo stremo »> della vita del Poeta.

E allora, se la canzone « Amor dacchè... » fu scritta nell' inverno del 1308-09, ne segue che l'epistola a Moroello, la quale le servi di presentazione, dev' essere riportata con sicurezza a quest' inverno, vale a dire ai primi giorni del 1309, appunto perchè quando la lettera veniva spedita, quella passione durava ancora, come ci avverte la chiusa di essa: (1) Tra i due componimenti non potè correre che qualche giorno d' intervallo, (2)

Sicchè Dante, quando vide la Pargoletta, era avanzato in età, aveva quarantadue anni. (3) Ce l'avevano già detto le rime e quella confessione che Dante fa dinanzi a Beatrice

(1) E certo Dante spediva quella canzone a preferenza di un altro componimento, perchè, essendo stata scritta proprio in quei giorni, ritraeva meglio lo stato d'animo in cui egli si trovava.

(2) Del resto per l'epistola avremmo potuto avere ugualmente, sebbene in modo meno preciso, un terminus ante quem con la discesa in Italia di Arrigo VII di Lussemburgo, se è vero, come fu asserito, che Dante in quel tempo, cioè verso la fine del 1310, insieme ad altri, tra i quali Moroello Malaspina, si sarebbe recato in Lombardia, a Milano o altrove, per ossequiare il nuovo imperatore. Se Dante e Moroello si fossero incontrati veramente in quell'occasione, come bisognerebbe ammettere qualora la notizia fosse vera, non vi sarebbe stato più bisogno di una lettera, che l'avesse informato di ciò che forse desiderava sapere.

(3) Il Boccaccio scrisse che Dante fu posseduto dalla lussuria non solamente ne' giovani anni, ma ancora ne' maturi (Trattat. in laude di Dante, c. 12).

nel Paradiso terrestre. Ma a questo proposito non posso fare a meno di riportare uno schizzo a penna molto caratteristico e indovinato, che si trova nel laurenziano SS. Annunz.

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Questo schizzo accompagna la canz «Voi, che intendendo...» (c. 144 b).

(Conventi soppressi) 122. In questo manoscritto, che noi ricordammo altre volte, le rime di Dante che vi si riportano, sono accompagnate da uno schizzo o da una figurina a penna, che rappresenta il Poeta in vari atteggiamenti, secondo i casi. Ora è immaginato in atto di scrivere, seduto a tavolino (« Amor, che nella mente... »); ora in piedi, volto al cielo con le braccia aperte e la penna nella destra («< Voi, che intendendo... »); ora seduto, con gli occhi verso il cielo, quasi per attingervi ispirazione

SANTI. Il Cangon. di Dante Alighieri, II.

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(«< Amor, che muovi... »); ora rivolto ad Amore in atto di parlargli («< Amor, tu vedi ben... ») ecc. Ma di questi lo schizzo più caratteristico, e il solo che c'interessa, è

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quello che accompagna la canzone « Amor dacchè... » (a carta 166), scritta, come dice l'argomento, per « una crudel donna di Casentino», dove Dante è rappresentato (si veda il facsimile qui accanto) tra quattro colli che lo circondano, mentre la faccia è rivolta ad Amore e le mani accennano un colloquio. Sembra ch' egli deplori la sua straordinaria condizione d'animo e si raccomandi ad Amore, chè lo sovvenga. Ma mentre negli altri schizzi il Poeta non è mai immaginato tra colli, ed è sempre in età giovanile con la

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