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degli usi propri del dialetto senese o aretino. Il magliab. VI, 143 trascrive due volte la canzone « Voi, che intendendo...... », ma non mantiene in tutte e due le trascrizioni la medesima ortografia e i medesimi usi grammaticali. E voler ricostruire il testo di Dante col rifarci agli autografi di altri rimatori del suo tempo, non sarebbe idea buona; converrebbe prima che si conoscesse, o si fosse avuto in pratica, qualche autografo dell'Alighieri.

Sicchè quale sarà il criterio che noi terremo nel dare alla luce il testo di questa parte del Canzoniere? Non sarà certo uno solo di quelli esposti: Non il solo criterio della maggiore antichità dei manoscritti; non quello del numero; non quello della provenienza o della grafia; non quello del buon senso; ma ci dovranno servire tutti nelle dovute proporzioni. Intanto uno di quelli che metteremo in prima linea, sarà il seguente. Faremo una specie di classificazione di tutti quei manoscritti che contengono le canzoni del Convito, siano queste in numero completo o no, purchè vengano tra esse riportate alcune delle prime tre, « Voi, che intendendo...», «Amor che nella mente...», « Le dolci rime...». Queste canzoni non sono già isolate, come tanti altri componimenti, o accompagnate soltanto da brevi rubriche dichiarative, come nella Vita Nuova; ma sono corredate di veri commenti, i quali servono a chiarire meglio il loro contenuto e a spiegare l'intimo senso della frase. Questi commenti ci potranno spesso permettere di ricostruire la lezione vera. Se il Convito, invece di essere stato sospeso, fosse stato condotto a termine, di modo che non solo le prime tre canzoni, ma tutte e quattordici avessero avuto un commento, noi non avremmo incontrato gravi difficoltà nella ricostruzione del loro testo; la prosa

ci avrebbe aiutato quasi sempre con esito felice. Ebbene, in questa mancanza, sebbene non si possegga del tutto il mezzo per provvedervi, non ci dobbiamo sgomentare. Potremo iniziare ugualmente sui manoscritti un lavoro di classificazione, il quale prenda per base la correttezza che presentano le prime tre canzoni, accettando come migliori quelli che si avvicinano di più al testo ricostruito sulla scorta del Convito. La cosa non è difficile. Questo criterio potrà servirci per assegnare a ciascun codice l'importanza che ha, della quale poi terremo conto in tutto il corso del lavoro, quando dovremo condurre il testo delle altre canzoni e delle altre rime in essi contenute. La correttezza del codice per le prime tre canzoni del Convito, ci sarà di affidamento per gli altri componimenti.

E l'idea sarebbe ottima, potendo noi con simile criterio riuscire ad una classificazione di manoscritti veramente modello, se non s'incontrasse una difficoltà di fatto nei manoscritti stessi che dobbiamo classificare. Questa proviene dalla poca uniformità ch'essi presentano, e dalla trascuratezza con la quale furono condotti. Un codice che si apre con una serie di componimenti corretti, continua poi con altri scorrettissimi: Noi non sapremmo in tal caso a qual parte del codice attenerci, nè potremmo certo risalire la strada che il copista dovette percorrere. E allora come faremo a stabilire, su la sola autorità delle prime canzoni del Convito, l'importanza e il valore di tutto il codice? Chi non ci dice. che il valore di esso varia col variare dei componimenti, o col succedersi di gruppi indeterminati di rime? Il criterio dunque non è sempre sicuro e da solo sufficiente. Esso tuttavia, sebbene per questa parte riesca alquanto debole, rimane sempre uno dei migliori e dei più importanti per noi; basta saperlo adoperare con le dovute precauzioni. In questo modo vedremo che molti di quei manoscritti che credevamo fossero per il tempo i più attendibili, vanno invece posposti ad altri.

SANTI. Il Canzon. di Dante Alighieri, II.

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Ma al di sopra di tutti i criteri e di tutti i metodi, deve stare senza dubbio il buon senso e la ragione calcolatrice, che, collegando un metodo coll'altro, deve dare a ciascuno il posto e l'importanza che gli spetta. Quello che i copisti non fecero, perchè lavorarono spesso con svogliatezza, o con poca diligenza, o dietro scopi prefissi, dobbiamo far noi, cercando di colmare i vuoti ch'essi lasciarono, o rettificare le mancanze da essi commesse. E noi lo vedemmo studiando lo svolgimento di questi amori, quanta parte ebbe il buon senso e la ragione previdente nel nostro lavoro di ricostruzione. Ma non sarà certo lo studioso superficiale quello che potrà valersi di un tale criterio; non sarà il semplice dilettante quello che potrà sostenere una lezione anzichè un'altra; il compito e il diritto può spettare soltanto alla persona competente, la quale è riuscita con lo studio e con la dovuta preparazione a penetrare l'intimo senso delle cose, e s'è impadronito, come fosse cosa propria, della materia che tratta. Questa deve prima divenire sangue e sostanza, <«< quasi alimento che di mensa leve » (Purg., XXV, 49), se vuol essere discussa e trattata con competenza. Un semplice ravvicinamento potrà essere bene spesso sufficiente a farci sorprendere un codice in contradizione, e a fornirci gli argomenti per correggerlo. Lo studioso dev'essere il giudice coscienzioso, che rende a ciascuno, secondo i propri meriti, Punicuique suum: Non sarà il numero dei manoscritti che potrà atterrirlo, come non è il numero dei testimoni che fa decidere il magistrato; ma sarà il criterio giusto ed equanime, che gli fornirà i mezzi per risolvere la questione. E noi lo vedremo nel corso del nostro lavoro, quante volte, prendendo le parti di uno o due codici soltanto, ci schiereremo con loro, anche quando sessanta o settanta di essi ci saranno contrari. Il critico vale spesso più dei codici.

Noi quindi terremo conto di tutto, non trascurando nemmeno quello che sembrerebbe insignificante. Per questo non

temo che altri rifacendosi sul mio lavoro e allo studio dei manoscritti esaminati, possa alterare o variare la lezione da me data. Noi non discuteremo certo se convenga scrivere, per esempio, 'l anzichè il, i' anzichè io, pensero invece di pensiero, su' invece di suo, omne invece di ogni o cose simili, che sarebbe il caso di discutere soltanto qualora si avesse da fare con un autografo. Simili questioni ci sarebbero non solo d'impaccio nella nostra ricostruzione, ma si renderebbero affatto inutili e dannose, non avendo base alcuna d'appoggio sulla quale fondarle.

Nell'ordinare i manoscritti secondo la correttezza delle prime canzoni del Convito, faremo due classificazioni: Nella prima comprenderemo i più antichi, quelli del secolo XIV; nella seconda i più recenti, quelli del secolo xv. Tra i manoscritti del secolo XIV dobbiamo assegnare il primo posto al naz. palat. 180, il supposto autografo del Petrarca, come ritenne il Palermo. Dopo di esso vengono subito i due magliab. VI, 143, VII, 991, poi il barber. 3953, poi il riccard. 1050 e il chigiano L, VIII, 305, poi i due laurenz. plut. XC sup. 136, XL, 46, poi il riccard. 1035. Il magliab. VII, 1040 e il naz. palat. 315 debbono essere d'una certa attendibilità, a volerli giudicare dalla canzone « Le dolci rime...».

Tra i manoscritti del sec. xv assegno il primo posto al casanat. 433, poi metto il barber. 3662, poi il rediano 184 e il laurenz. plut. XL, 49, poi il riccard. 1007, poi il vatic. 3213 e il riccard. 1040. Degli altri naturalmente non tengo conto, essendo per questa classificazione trascurabili, e presentando delle tre canzoni un testo scorretto.

Ma simile criterio non è, come dicevo, sufficiente e sempre sicuro. Il valore dei manoscritti non può essere

fondato su tale classificazione esclusivamente, mancando in essi quell' uniformità e ordinatezza che si richiederebbe. In alcuni, come nel naz. palat. 180 e nel riccard. 1050, quest'uniformità si manifesta quasi regolare dal principio alla fine; in altri invece no, come nel laurenz. plut. XC sup. 136 0 nel riccard. 1035. Se il magliab. VII, 991 è corretto per le prime tre canzoni del Convito, per le altre è abbastanza scorretto. Il magliab. VI, 143 alcune volte, come verso la fine di « Doglia mi reca...», è uno dei più trascurabili. Questa mancanza di uniformità nei vari componimenti di un medesimo manoscritto, si accentua quasi sempre negli esemplari del sec. xv o d'epoca posteriore. Il rediano 184, per es., e in parte il vatic. 3213, se possono stare per qualche rima alla pari dei codici migliori, per altre invece vanno collocati in uno degli ultimi posti. Ciò si manifesta perfino nei manoscritti più scorretti, come nel vatic. 7182 e nei due urbinati 686, 687. Il casanat. 433 e il barber. 3662, ambedue d'un certo valore, sono invece uniformi quasi da per tutto.

Da questa specie di classificazione, basata sulla correttezza delle prime canzoni del Convito, risulta che nessuno dei manoscritti esaminati, sia da solo, sia accompagnato da qualche altro, potrebbe esser preso a guida esclusivamente. Noi pertanto, prendendo di vista i migliori, quelli cioè che ci sembrano più corretti, non trascureremo gli altri; ma, tenendo conto di tutti, cercheremo di assegnare a ciascuno, senza parzialità, il valore che merita, sulla scorta di quei criteri correttivi che esponemmo.

Le difficoltà però aumentano per quelle rime che non rientrano nel numero delle quindici «< canzoni distese ». Quando esse vengono riportate alla rinfusa, o frammischiate ad altre di diverso autore, o in numero di due o tre solamente, come dovremo contenerci nel darne il testo? Sappiamo forse noi a quale esemplare va dato maggiore im

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