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5.

SIDERO gli occhi miei quanta pietate
Era apparita in la vostra figura, (1)
Quando guardaste gli atti e la statura,(2)
Ch'io facia (3) pel dolor molte fïate.
Allor m'accorsi che voi pensavate

La qualità della mia vita oscura, (4)
Sicchè mi giunse nello cor paura

Di dimostrar cogli occhi mia viltate. (5)

Un giorno che Dante, triste e pensoso, ricordava il tempo passato, vide, alzando gli occhi, - una gentil donna giovane e bella molto, la quale da una fenestra lo riguardava molto pietosamente quant'alla vista -. Fu allora ch' egli, ripensando alla morta Beatrice, provò un immenso desiderio di piangere, e, quasi vergognoso di mostrare la sua debolezza, propose, partendosi da lei, di scrivere il presente sonetto: Il cap. XXXVI della Vita Nuova, dov' esso è contenuto, ne è l'argomento. Già vedemmo a pag. 71 perchè vada riportato al 5 settembre del 1291.

(1) Sul vostro volto.

(2) Qui statura vuol dire positura, non stato o condizione, come qualcuno ritenne. La frase corrispondente della Vita N. è stava pensoso. Il doloroso ricordo del passato faceva stare Dante immobile e riconcentrato in sè stesso. Atti risponderebbe quasi ad aspetto; è quel complesso di cose esteriori, che

si potevano scorgere in lui, guardan-
dolo. Eccone infatti il commento :
con dolorosi pensamenti tanto, che mi
faceano parere di fuori d' una vista
di terribile sbigottimento (V. N.,
cap. corrispondente).

(3) S' intende, questo verbo non si riferisce a tutti e due i sostantivi atti e statura, ma ad atti solamente.

IO.

E tolsimi dinanzi a voi, sentendo.
Che si movean le lagrime dal core,
Ch'era sommosso dalla vostra vista. (6)
Io dicea poscia nell'anima trista:

Ben è con quella donna quell'amore, (7)
Lo qual mi face andar così piangendo. (8)

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Ogni qualvolta la gentil donna già presentataci nell'altro sonetto, vedeva Dante, si faceva pallida «d'una vista pietosa... quasi come d'amore »; ond' egli, racconta nella Vita N., si ricordava spesso di Beatrice, che di simile colore gli si mostrava. «E... molte volte, non potendo» piangere « nè disfogare la sua tristezza », se n' andava a mirare quella pietosa, che dagli occhi, con la sua vista, pareva gli tirasse fuori le lagrime. Questo è l'argomento del sonetto presente. Si veda quanto già dissi a pag. 71.

(1) Intendi: Nessun viso di donna, per quanto sovente vedesse occhi gentili e dolorose lacrime, si dipinse mai di pallore (color d'amore) e si atteggiò a pietà (di pietà sembianti), come il

vostro. Gli occhi son detti gentili per distinguerli da quelli che non sentono amore e non si commuovono facilmente. Alcuni mss. legg. Occhi gentili ed amorosi pianti.

5.

Come lo vostro, qualora davanti
Vedetevi la mia labbia (2) dolente;

IO.

Sicchè per voi mi vien cosa alla mente,
Ch'io temo forte non lo cor si schianti. (3)
Io non posso tener gli occhi distrutti,(4)
Che non riguardin voi spesse fïate,
Pel desiderio di pianger ch'egli hanno: (5)
E voi crescete si lor volontate,

Che della voglia si consuman tutti;
Ma lagrimar dinanzi a voi non sanno.

(2) Ogni qualvolta vi vedete dinanzi il mio aspetto dolente.

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(5) Siccome gli occhi avevano desiderio di piangere, Dante non doveva far altro per contentarli che guardare la donna gentile. E certo molte volte non potendo lagrimare, ne disfogare la mia tristizia, io andava per vedere questa pietosa donna, la quale parea che tirasse le lagrime fuori delli miei occhi per la sua vista (V. N., cap. corrisp.). Cfr.: Spesse fïate venemi alla

mente...

SONETTO III.

L'amaro lagrimar che voi faceste,
Occhi miei, così lunga stagione,
Faceva lagrimar (1) l'altre persone
Della pietate, come voi vedeste.

Era naturale, il nostro poeta dovette, a poco a poco, incominciare a dilettarsi un po' troppo della vista di quella donna, onde molte volte se ne crucciava, bestemmiando la vanità degli occhi suoi. Ormai egli s'era innamorato, e sentiva accentuarsi nel proprio cuore quella lotta, che sarebbe cessata solo con l'appagamento dei suoi desiderii. Il nuovo amore sembrava volesse spegnere l'antico: E affinchè questa battaglia fosse conosciuta anche dagli altri, Dante propose di fare il presente sonetto, comprendendo in esso l'orribile condizione, in cui si trovava. — È piacevole ad un tempo e pietoso udire come egli se la pigli coi propri occhi e li apostrofi e sgridi, come due fanciulli che non vogliono stare a dovere

5.

IO.

Ora mi par che voi l'obliereste,
S'io fossi dal mio lato si fellone,
Ch'io non ven disturbassi ogni cagione,
Membrandovi colei, cui voi piangeste. (2)
La vostra vanità (3) mi fa pensare,

E spaventami sì, ch'io temo forte
Del viso d'una donna che vi mira.
Voi non dovreste mai, se non per morte,

La nostra donna, ch'è morta, obliare:
Così dice il mio core, e poi sospira. (4)

(1) Questa è la lez. dei mss, migliori, sebbene altri leggano: Facea maravigliar. Forse lo scambio fu fatto per evitare il lagrimar del primo verso. Ma questa volta, anche senza l'aiuto dei mss., potevamo conchiudere bene ugualmente, perchè la Vita N. ce ne dà la chiave. Dice infatti:

Or voi (occhi miei) solevate far piangere chi vedea la vostra dolorosa condizione (cap. corrisp.). Qui Dante col dire altre persone, vuole alludere in modo speciale alla donna gentile, la quale da una fenestra lo « riguardava molto pietosamente quant' alla vista; sicchè tutta la pietade pareva in lei accolta ». Infatti le parole di questa 1a quart. erano frutto dell'esperienza (come voi vedeste). Del resto la meraviglia così intesa, quale risulterebbe dalla lezione errata, non apparisce mai nelle rime che si ri

feriscono alla donna gentile.

Intendi dunque: L'amaro lagrimar che voi, occhi miei, faceste per così lungo tempo, facea lagrimar, per la pietà che voi destavate, l'altre persone, come già poteste vedere nella donna gentile.

(2) Colei, s'intende, è Beatrice. Cfr.:

Ed ora pare che vogliate dimenticarlo per questa donna, che vi mira... ma quanto far potete, fate; che io la vi rimembrerò molto spesso, maledetti occhi (V. N., cap. corrisp.).

(3) L'esser vuoti di lacrime, la vostra incapacità di piangere.

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SONETTO IV.

Gentil pensiero, (1) che parla di vui,
Sen viene a dimorar meco sovente,
E ragiona d'amor si dolcemente,

Che face consentir lo core in lui. (2)

Questo è l'ultimo sonetto della Vita N. che parla della donna gentile. In esso troviamo lo stesso motivo del precedente; vi si descrive la lotta tra il vecchio e il nuovo amore, quasi nello stesso

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