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15.

20.

Le mie bellezze sono al mondo nuove,
Perocchè di lassù mi son venute;
Le quai non posson esser conosciute,
Se non per conoscenza d'uomo, in cui
Amor si metta per piacere altrui. (7)
Queste parole si leggon nel viso

D' un' angioletta, che ci è apparita :

Ond' io, che per veder la mirai fiso, (8)

Ne sono a rischio di perder la vita. (9)
Perocch' io ricevetti tal ferita

Da un, ch' io vidi dentro agli occhi sui, (10)

Ch' io vo piangendo, e non m' acquetai pui. (11)

(7) Le bellezze di questa donna non posson esser conosciute, se non da uomo innamorato, cioè da uomo, in cui si metta (penetri) Amore, a causa (per) del piacere che altri destano in lui.

(8) Leggo così, perchè questa è la lez. dei due mss. più autorevoli (p, cg. -c anche: p. 315, v. 3214), mentre i più leggono guardar. La vulgata campar sarebbe molto significativa, nel caso fosse vera, ma è arbitraria: lo st. legge cantar; il m. VII, 722 contar. Intendi : Ond' io, che desideroso di vederla e di ammirarne le bellezze, la mirai fiso, la guardai con troppo piacere...

(9) Si osservi qual luminoso riscontro presentano queste parole (20-21) con le rime della Pargol.: Che fu tra l'altre la mia vita eletta Per dare esempio altrui, ch'uom non si metta In rischio di mirar la sua figura (Son. V). Sicchè anche la pargoletta di questa ballata aveva prodotto in Dante quei medesimi effetti della donna crudele di Casentino. Nelle poesie scritte per la Pargol., Dante confessa ch'egli fu indotto ad amarla con tanta costanza, a causa dell'abbandono e della solitudine

in cui egli si trovava.

(10) Da Amore, che, dimorando negli occhi di essa, saettava chi la mirava. Cfr.: Negli occhi porta la mia donna Amore.

(11) Lez. comune. Pui vale poi; quindi intendi D'allora in poi (pui) io non mi sono più acquietato e dato pace. Qualche raro esemplare (m. XXI, 121, VII, 1010) legge, e non m'acqueto poi (pui): ma in questo caso poi non mi pare che possa stare con un presente; correrebbe solo, e bene, se invece di pui (poi) avessimo avuto più: il che

non è.

Se questa ballata si riferisse a Beatrice, non ci sapremmo spiegare come mai l'Alighieri potesse dire d'aver pianto e d'essersi disperato per la profonda ferita, ch'essa aveva aperto nel suo cuore. Beatrice lo sconvolse fin nell'intime fibre, ma la prima volta nemmeno ebbe tanta potenza, se vogliamo prestar fede alle parole del Poeta, e la sua apparizione nemmeno fu tanto improvvisa, come pare dovette essere quella della pargoletta qui descritta.

LE DUE CANZONI MORALI

DEL

CONVITO

SANTI. Il Canzon. di Dante Alighieri, II.

30

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Questa canzone, che è essenzialmente morale, doveva far parte del Convito, ed era appunto destinata, come Dante ci avvertì, a chiusa di quell' opera: vedi a pag. 22. L'argomento che qui si svolge, è la virtù presa nel vero senso della parola, la virtù che deve guidare l'uomo nel «< corto e breve viaggio» della vita. Chi si discosta da essa diviene servo vilissimo, come l'avaro, che, dominato dalla sete dell'oro, si crea una schiavitù volontaria, e non può avere un momento di pace. Tale confronto costituisce, per così dire, l'episodio più bello e più importante del componimento. Questa canzone fu ricordata da Dante stesso nel De l'ulg. Eloq. (II, 2), dove ci disse di aver voluto celebrare con essa la Virtù o la Rettitudine, che dev' essere presa dall'uomo quale direttrice della propria volontà.

Per determinare il tempo in cui la canzone fu scritta, abbiamo mezzi credo sufficienti, perchè un esame attento del contenuto ci assicura ch'essa va ravvicinata con altre rime, delle quali s'è stabilito il probabile tempo di composizione. Queste sarebbero le due ultime canzoni scritte per la donna gentile, vale a dire quella che incomincia «Le dolci rime... » e l'altra che le segui a breve distanza, «<Poscia ch' Amor... ». Infatti, se si osserva bene, è sempre un medesimo concetto quello che ci mena gradatamente dal principio alla fine. La prima, come dicemmo, è la canzone della nobiltà o gentilezza. Ivi si parla « del valore, per lo qual veramente è l'uom gentile» (12); si riprova il giudizio di coloro, « che voglion che di gentilezza sia principio ricchezza» (15). Dante con essa si proponeva di combattere la nobiltà dell'origine e delle ricchezze, che per sè sono nulla, quando riman

5.

Parole quasi contro a tutta gente, (3)
Non vi maravigliate,

gono scompagnate dalla virtù e dalla nobiltà dell'animo. Questo concetto ritorna anche nella canzone seguente «Poscia ch' Amor... Nella prima s'era detto che la virtù è sempre necessaria per la leggiadria, ma che non è virtù soltanto quella che la forma; sono varie cose riunite insieme, che fanno un tutto armonico e bello (101-120). Nella seconda si ripete lo stesso. Le due definizioni della leggiadria rispecchiano in ambedue i componimenti lo stesso motivo, si può dire senza variazione. Per la gentilezza, per il valore, è necessaria la virtù, senza la quale non può esistere (« è gentilezza dovunque virtute »); ma essa da sola non basta, occorre qualche cosa di più, giacchè non tutti gli uomini virtuosi, « la gente onesta », possono e debbono essere leggiadri: «Sarà dunque causata, mischiata di più cose (Poscia ch'Amor..., 84). Sicchè le due canzoni sono collegate tra loro intimamente; la definizione della seconda ci richiama quella della prima; solo che nella seconda l'argomento è svolto con maggiore ampiezza e trattato più di proposito. Qui infatti troviamo una vera e propria definizione ragionata della leggiadria: «Sollazzo è, che convene Con esso Amore e l'opera perfetta » (89).

La canzone «Doglia mi reca...» prende appunto le mosse di qui. Stabilito che per la leggiadria occorrono due cose, virtù e bellezza (Poscia ch'Amor..., 89-95), e che cessa mancando una di esse, il Poeta viene subito a constatare un dato di fatto, la mancanza di una di queste condizioni, per conchiudere che sulla terra non v'è amore nel vero senso della parola, e quindi leggiadria. Anzi quando la canzone si apre, il Poeta accenna a un fatto già noto, ch'egli non crede opportuno dimostrare, essendo manifesto ed avendone già parlato nella canzone precedente. Gli uomini, aveva detto, non amano mai per virtù;

Non sono innamorati

Mai di donna amorosa:

Ne' parlamenti lor tengono scede:

Non moverieno il piede

Per donneare a guisa di leggiadro;

Ma come al furto il ladro,

Cosi vanno a pigliar villan diletto.

«Poscia ch'Amor...», 48.

Parole che giustificano il principio della canzone «< Doglia mi reca.....»、

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