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saputo salvare nel periodo del traviamento. Oh! se anche quel nuovo amore non avesse ecceduto i limiti dell'altro! Chi era stata mai quella donna, che aveva saputo far vibrare le corde più riposte del suo cuore? Ed egli qual colpa ne aveva, se la lontananza dalla patria e la solitudine dell'esilio l'avevan fatto ricadere nei ceppi d'Amore? Aveva cantato come il povero schiavo percosso dalla sferza crudele del padrone. Stette un momento pensoso: Per tutte e due quelle donne egli aveva scritto rime amorose; ebbene, si sarebbero potute confondere; di due amori se ne poteva fare uno solo: Era l'unico mezzo che l'avrebbe salvato dall' infamia di tanta passione. E così fece; la Pargoletta fu confusa con la donna gentile. Fu allora che sorse il Convito.

Gettata la prima pietra, bisognava adattare ogni cosa all'edificio da costruire; ma non era così facile. Alcune poesie erano troppo passionate per riuscirvi; la volontà non era sufficiente a raggiungere l'intento. E Dante, spirito eminentemente simbolico, figlio di un secolo superstizioso e visionario, da cui raccolse tutto il retaggio, non riuscì a nascondere le difficoltà incontrate. La penna venne meno; l'aquila s'intese mancare le forze. Non sarebbe una stranezza, s'io affermassi che questa fu una delle ragioni, per cui tralasciò di scrivere il Convito: Certe canzoni non erano allegorizzabili, per quanto vi si fosse adoperato; del resto egli aveva già raggiunto in parte l'intento.

Se dunque la raccolta si apre con una canzone per la Pargoletta, che è, come dicevo, la più sensuale, e si chiude con un'altra che si riferisce pure alla medesima donna e pareggia in sensualità con la precedente, nessuna meraviglia; le due canzoni che gli davano più da pensare, e che meno si prestavano a una spiegazione simbolica, dovevano essere il punto di partenza e d'arrivo per il suo lavoro. In seguito vedremo come, per meglio riuscire nell' intento,

Dante si vide costretto d'intramezzare alle rime scritte per la Pargoletta, alcune di quelle composte per la donna gentile.

Non eran però queste solamente le difficoltà che doveva vincere. Le difficoltà interne erano moltissime, è vero; ma v'era anche l'opinione pubblica che bisognava sfatare. Le sue canzoni, lette con avidità, s'erano diffuse e avevano dato luogo a ciarle maligne. Già una volta, nella lettera al Malaspina, se n'era dovuto giustificare; in quella lettera che servi di presentazione a una delle ultime poesie scritte per la Pargoletta, e precisamente alla canzone « Amor, dacchè convien...». Sicchè, tutti lo sapevano, quella non poteva essere torta a significato allegorico; una canzone almeno (<«< Amor dacchè... ») bisognava riconoscerla scritta sotto la forza d'amore, di quell'amor terribilis et imperiosus, di cui si parla nell'epistola. Riconoscerne una sola di tal genere era poco male; del resto Dante doveva farlo, se non voleva smentirsi da sè stesso. La cosa dunque era naturalissima.

E i manoscritti ce ne dànno la chiave, senza bisogno di ricorrere a tante congetture. Riprendiamo infatti, dopo quanto s'è detto, lo schema già riportato, e rileggiamone gli argomenti: Essi sono una conferma alle mie asserzioni. Il vatic. 3213, l'urbin. 686, il rediano 184, l'ottobon. 2864, e quanti insomma hanno lo schema completo con tutti gli argomenti, quando giungono alla quindicesima canzone, cioè ad << Amor, dacchè convien ...», dicono così: Canzone quintadecima di Dante, nella quale si duole della rigidità d'una crudel donna (1). Chi è mai questa donna crudele? In tutti gli altri argomenti si parla d'una donna ben nota, che viene

(1) È naturale, v'è qualche leggera differenza da manoscritto a manoscritto, ma la sostanza non cambia. Per esempio, il red. 184 (e non è il solo) dice: si duole della rigidità d'una sua manza e del luogo.

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chiamata, quasi per antonomasia, signora del poeta, quella ch'era conosciuta da tutti per ispiratrice dei suoi canti (si dice infatti semplicemente sua donna); nell'argomento invece dell'ultima canzone si parla d'una crudel donna.(1) La cosa non potrebbe trovare la sua spiegazione, se non ammettendo quanto dicevo poco fa. La lettera al Malaspina parlava chiaro; la voce pubblica del resto non poteva essere sfatata del tutto. Sicchè quell' una crudel donna vorrebbe alludere a una persona diversa, da quella per la quale Dante voleva far credere d'aver composto le altre canzoni; vale a dire alla Pargoletta del Casentino. E mi dà piacere osservare che le conclusioni alle quali ero pervenuto, furono confermate pienamente dalla scoperta del barber. 3662, e poi anche dal laurenz. SS. Annunziata 122, i quali nell'argomento che premettono a quella canzone, « Amor dacchè...», dicono senz'altro ch'essa fu composta per una crudel donna di Casentino; donna che rappresenta appunto, come vedremo, la Pargoletta. Sicchè, non v'è dubbio, la donna dell'ultima canzone è differente dall'altra. In quell'una dobbiamo vedere la mano d'artista. E, si noti, questa canzone è collocata proprio in fine, dopo le altre 14, come un componimento di più; quasi non fosse, come le altre, destinata al Convito. Così Dante, non senza un certo studio e una lunga meditazione, venne a rendere ancora più intricata la matassa imbrogliatissima, e a prima vista inestricabile, dei suoi amori: Egli stesso ne dovette provare una certa compiacenza.

Più studio la questione, cercando di spogliarmi di qualunque elemento soggettivo, e più debbo persuadermi che la cosa dovette essere proprio com'io l'ho descritta. Basta del resto un po' di buon senso, dopo lo studio dei manoscritti esaminati, per convenirvi.

(1) E anche gli argomenti latini dicono lo stesso: Idem Dantes conqueritur de crudelitate cuiusdam impiae dominae.

Assodato anche questo punto, che cioè l'ordinamento esposto delle rime del Convito risale a Dante, ci possiamo domandare a quale epoca della sua vita vada riportato. Fu prima o dopo l'estensione della prosa? Non è possibile rispondere con esattezza matematica; ma ci viene in aiuto la ragione. Certo l'ordinamento che presentano i manoscritti, si discosta leggermente da quello vero: Le due canzoni che, come possiamo desumere dal Convito, dovevano essere commentate nel XIV e nell' ultimo trattato, sono leggermente spostate; l'ultima si trova in una sede che a lei non spetta, e lo stesso la prima. Ammesso che fin da principio Dante avesse ideato quello schema, e si fosse quindi proposto di seguirlo, non ci sapremmo spiegare simili incongruenze; nè perchè mai egli avrebbe incominciato il commento dalla seconda e non dalla prima, trascurando « Così nel mio parlar... ». Non è dunque improbabile riportare quest' ordinamento a un'epoca posteriore alla prosa.

Stanco forse e impedito di proseguire, consapevole delle difficoltà che in seguito avrebbe dovuto incontrare, per la materia che gli si sarebbe prestata malamente, Dante sospese il lavoro, soddisfatto, ma non del tutto, di quanto aveva tentato. Egli gettò con abilità il seme, che poi avrebbe dovuto germogliare; ma prima di licenziare il lavoro, volle dare allo schema l'ultima toccata: Fu allora che le carte, già abbastanza imbrogliate, ebbero il finale e decisivo ordinamento. L'unificazione delle due donne era stata la prima idea balenatagli. Già le prime tre canzoni per la donna gentile, da lui sollevata con la forza del genio a divinità, gli avevano fornito la materia dei primi trattati; non ne rimanevano che due, «E' m'incresce... », « Poscia ch'Amor... >>; e queste, presele d'un getto, senza cambiar loro la disposi

zione che avevano, le frappose alle altre della Pargoletta. L'opera era compiuta; lo scopo era stato raggiunto: Non rimaneva che arrestarsi, poichè l'andare oltre sarebbe stato lavoro inutile e gravoso. La grande concezione della Divina Commedia lo rapiva nell'estasi della visione, e le sue forze dovevano concentrarsi tutte quante nell'opera, che gli avrebbe assicurato la fama dei secoli.

Se l'ordinamento che presentano i manoscritti, non è quello che Dante s'era proposto in origine, ma rappresenta solo un ripiego, al quale ricorse per identificare le due donne, dobbiamo ora ricercare quale esso fosse, ricostruendo il vero schema del Convito con l'aiuto di tutto il lavoro preparatorio, che fin qui siamo venuti facendo. Credo opportuno premettere che le canzoni del Convito dovettero essere disposte per ordine cronologico o di composizione. Non si confonda però lo schema originario con quello che ci fu poi lasciato da Dante; chè sono due cose distinte. Ciò potrebbe trarci in errore, o per lo meno servirebbe a condurci lontano dalla soluzione del problema. Che Dante si proponesse fin da principio di mantenere l'ordine cronologico, è una deduzione legittima. Si osservi infatti: Le prime tre canzoni sono disposte, come vedremo, cronologicamente; si commenta prima « Voi, che intendendo... », poi le altre due che furono a vicenda scritte più tardi; le due ultime («< Tre donne... » e «Doglia mi reca... ») sono fuori del numero di quelle amorose, e sappiamo ch'erano destinate per gli ultimi due trattati. Se dunque per il Convito, come abbiamo dimostrato, non si debbono ricercare altre canzoni all'infuori di quelle che i manoscritti registrano tra le quindici distese, e se le prime tre sono disposte cronologicamente, e le ultime due d'argomento morale sono come di

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