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sibus et 9 diebus fere. Il che equivarrebbe, tenuto conto dei due epicicli di cui parla Dante, a 38 mesi e 18 giorni; perchè l'anno persiano è di dodici mesi di trenta giorni precisi. In tal modo, salvo qualche leggera differenza, ci avvicineremmo ai calcoli del Lubin.

Questo però è il caso di domandarci se Dante si attenne scrupolosamente ad Alfragano. Io ritengo di no. E tale convinzione mi viene dal fatto che Iacopo, suo figliuolo, assegna al giro di Venere nell' epiciclo solo sette mesi e nove giorni. Eccone le parole:

Venus in sette mesi

e nove di compresi

il suo epiciclo gira.

Dottrinale, c. XV.

Certo la fonte diretta di queste parole del Dottrinale non potè essere Alfragano, se si pensa che gli anni, i mesi e i giorni assegnati da Iacopo al giro di Giove e di Saturno nei loro epicicli, differiscono pure da quelli che loro si assegnano in quell'opera. E una volta che il figliuolo affermò risolutamente che Venere percorre l'epiciclo in 219 giorni, mi pare logico doversi conchiudere che così pensasse anche il padre. Del resto chi ci autorizza a dire: Dante per questa parte seguí Alfragano? È una libertà che noi ci prendiamo.

Stabilita la durata dell'epiciclo di Venere e l'epoca precisa della morte di Beatrice, l'apparizione della denna gentile si determina da sè; basta aggiungere quattordici mesi e diciotto giorni al 18 giugno 1290. Così si viene al 5 settembre 1291, che rappresenta appunto l'epoca, in cui la donna gentile fu veduta da Dante per la prima volta. Non si prendano però le frasi come sono, nè si creda che io pretenda asserire ciò con precisione matematica; sarebbe troppo. Ho detto il 5 settembre 1291, seguendo i dati del Convito; ma, s'intende, Dante quando scriveva, non poteva

ricordare i più minuti particolari; alcune volte nemmeno era possibile. Se l'epoca dell' apparizione non fu proprio quel giorno, vuol dire che sarà stata ai primi di quel mese, o in quel torno di tempo: Un giorno di più o di meno poco importa.

Ma che Dante nel darci l'epoca precisa fosse spinto dal desiderio di chiarire le cose, e non lo facesse per trarci in errore, lo possiamo desumere dalla Vita Nuova, la quale conferma quanto dicemmo. Ivi troviamo:- In quel giorno, nel quale si compiva l'anno, che questa donna (Beatrice) era fatta de' cittadini di vita eterna, io mi sedea in parte, nella quale, ricordandomi di lei, disegnava un Angelo sopra certe tavolette e mentre io 'l disegnava, volsi gli occhi e vidi lungo me uomini a' quali si convenia di fare onore. E' riguardavano quello ch'io facea; e secondo che mi fu detto poi, eglino erano stati già alquanto anzi che io me n'accorgessi. Quando li vidi, mi levai, e salutando loro dissi: Altri era testè meco, e perciò pensava. Onde partiti costoro, ritornaimi alla mia opera, cioè del disegnare figure d'angeli. Facendo ciò, mi venne un pensiero di dire parole per rima, quasi per annovale di lei, e scrivere a costoro, li quali erano venuti a me: e dissi allora questo sonetto, che comincia: « Era venuta... » (c. XXXV). Era dunque già trascorso un anno dalla morte di Beatrice. Solo dopo alquanto tempo (c. XXXVI), mentre egli, triste e pensoso, riandava con la mente al tempo passato, fu veduto dalla donna gentile. Che alquanto tempo abbia un significato elastico, nessuno lo nega; ma, è chiaro, non può essere adoperato per indicare degli anni. Nel passo citato rappresenta un intervallo di circa due mesi, dal giugno al principio di settembre. E con quel medesimo valore Dante l'adoperò anche nel Convito (II, 13), quando ci narra che, smarrito per la perdita della sua donna, prese a leggere, «dopo alquanto tempo », Boezio e Cicerone per consolarsi. L'opinione del Lubin e dell'Angelitti

dovrebbe per questo solo cadere, poichè tre anni costituiscono, in ogni modo, un intervallo troppo lungo; l'espressione per altro è troppo semplice per essere intesa diversamente. Ma lasciamo da parte il Lubin: Vorrei mettere in evidenza altri punti deboli del suo lavoro, se la materia da svolgere non me l'impedisse; potrò farlo in seguito, presentandomisi l'occasione.

Se dunque la donna gentile apparve a Dante il 5 settembre del 1291, il primo sonetto della Vita Nuova, « Videro gli occhi miei...», il primo che per lei fu scritto, dev'essere riportato a quell'epoca. Su ciò non deve sorgere dubbio. Ma gli altri due sonetti che seguirono a questo, registrati cronologicamente nella Vita Nuova, non sappiamo quando furono composti. Ne possiamo fissare il tempo solo con approssimazione, perchè i limiti estremi nei quali vanno compresi, sono il settembre del 1291 e il marzo del 1294; vale a dire l'epoca alla quale va riportato il primo sonetto <«< Videro gli occhi miei...», e quella nella quale fu scritta la canzone << Voi, che intendendo... ». La ragione è semplicissima: Le rime della Vita Nuova sono disposte cronologicamente. «< Gentil pensiero...», che è l'ultimo sonetto di quell'operetta per la donna pietosa, risale all'epoca della canzone << Voi, che intendendo...». Ce ne persuade un attento esame del contenuto.

In tutti e due i componimenti si svolge il medesimo concetto, e senza diversità, si può dire. L'anima parla, il cuore risponde; l'uomo si trova smarrito, senza soccombere nella lotta. Il dialogo si alterna con vivacità e con efficacia, con tenerezza di sentimento. È una lotta che non dispiace; è un succedersi di pianto e di riso, che rende men dolorosa la vita; è la storia di tutti gli esseri, che nella gioia e nel dolore, nel sacrificio e nel piacere, nell' ebbrezze liete e tristi della vita vorrebbero farsi violenza, ma non possono; è quel tentennare dell' uomo, che da solo non è ca

pace di segnare un passo innanzi nel cammino destinatogli. Del resto se noi confrontiamo della Vita Nuova i capitoli che si riferiscono alla donna gentile e precedono << Gentil pensiero... », con i capitoli rispettivi del Convito, soprattutto con il tredicesimo del trattato III, dove abbiamo quasi la storia di quest'amore e l'occasione che fece scrivere « Voi, che intendendo...», troveremo lo stesso motivo e lo stesso momento. Accennerò qualche somiglianza.

Nella Vita Nuova il Poeta, dopo averci descritto l'apparizione della donna, ci dice ch'egli cominciò a sentire, a poco a poco, quasi un bisogno di vederla, tanto che molte volte, «non potendo lagrimare nè disfogare » la sua tristezza, se ne « andava per vedere questa pietosa, la quale pareva che tirasse le lagrime» fuori degli occhi suoi (XXXVII). Nel Convito si ripete lo stesso. La figura della donna, dice Dante, gli era rimasta fissa nella mente. Egli l'immaginava come una donna gentile, e non se la poteva figurare in atto alcuno, se non misericordioso; «per che si volentieri lo senso di vero l'ammirava, che appena lo» poteva « volgere da quella...». E come suole accadere in simili casi, che il cuore non può distaccarsi dalla persona amata, egli « da questo immaginare » cominciò « ad andare là, ov'ella si dimostrava veracemente... sicchè in piccol tempo, forse di trenta mesi», cominciò « tanto a sentire della sua dolcezza, che 'l suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero ». (1) Io venni confessa in altri termini nella Vita Nuova a tanto per la vista di questa donna, che gli occhi miei si cominciaro a dilettare troppo di vederla. Onde molte volte me ne crucciava... e più volte bestemmiava la vanità degli occhi miei e dicea loro nel mio pensiero: Or voi solevate far piangere chi vedea la vostra dolorosa condizione, ed ora pare che vogliate dimenticarlo per questa

(1) È

sempre

il cap. 13 del II trattato del Convito.

donna che vi mira - (XXXVIII). Si potrebbe leggere con profitto anche il cap. II del medesimo trattato del Convito.

Ma per meglio persuaderci di quanto poco fa asserivo, si osservi l'occasione del sonetto e della canzone: L'occasione fu la stessa; non vi fu quasi alcuna differenza. «< Gentil pensiero... » veniva scritto per mostrare la forza che su di lui esercitava la nuova donna, e la secreta battaglia alla quale egli doveva soggiacere (ond' io avendo così più volte combattuto in me medesimo, ancora ne volli dire alquante parole; e perocchè la battaglia de' pensieri vinceano coloro che per lei parlavano, mi parve che si convenisse di parlare a lei —. Vita N., XXXIX); « Voi, che intendendo... » veniva scritta sotto la medesima impressione, quando egli era tutto meravigliato dello stato d'animo in cui si trovava: -Per che io, sentendomi levare dal pensiero del primo amore alla virtù di questo, quasi maravigliandomi, apersi la bocca nel parlare della proposta canzone-(Conv., II, 13). Se non che la Vita Nuova rappresentava per Dante il trionfo di Beatrice su qualunque altro sentimento carnale: La donna gentile, che gli era apparsa come un angelo a consolazione della sua vedova vita, doveva in seguito scomparire di fronte alla donna celeste. Egli ne aveva inteso la potenza e ne aveva saputo apprezzare la virtù; ma quella donna che prima l'aveva «< trasmutato», operando in lui miracoli, doveva poi apparir vile agli occhi suoi, o meglio agli occhi del lettore, perchè tutto l'interesse si concentrasse nella vaga sembianza d' una donna indiata: Lo spirito doveva vincere sulla carne. Tornerà di nuovo la donna bella e gentile ad ispirargli altre rime; la sua musa si ridesterà tra i fremiti e le angoscie del pianto, dopo i sorrisi e le brevi gioie; ma egli di quei canti ci terrà celato l'intimo senso che nascondono; le vive espressioni del cuore saranno coperte dal velo dell'allegoria: La donna trasformata in un essere simbolico, sarà oggetto d'un altro suo lavoro, il Convito. E allora essa non appa

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