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Non credo che da alcuno mi sarà seriamente opposto che quel lavoro votivo potrebb' essere, anzichè la Commedia, le Canzoni comentate nel Convito; benchè siavi stato chi asserì, che Dante nella donna gentile, a cui quelle Canzoni sono sacrate, avesse onorato Beatrice. Rispetto il nome di chi tanto asseriva; ma per me, in simili questioni, l'autorità di Dante va sopra ogni altra. Se non vuolsi far conto della rivalità, che nel racconto della V. N. si legge esservi stata tra l'amore per Beatrice e quello per la donna gentile, e delle fasi che nella lotta subirono quei due amori, l' uno sull' altro a vicenda trionfanti, ciò che dovrebb' essere più che sufficiente per non identificarli in un oggetto solo; si badi per lo meno alla dichiarazione espressa di Dante, il quale ci afferma (come vedremo appresso), che la donna gentile del Convito è la stessa della V. N. e a quello che senza velo ne disse al capo nono del trattato secondo del Convito, ove si espresse: „sarà bello terminare lo parlare di quella viva Beatrice beata, della quale più parlare in questo libro non intendo". Se quelle Canzoni sono in lode di Beatrice, com'è che Dante, in sul principio dell' opera, dichiarava di non voler più parlare di lei in quella? Dunque Beatrice non è la donna delle Canzoni, poichè di questa egli continua a dire; anzi al capo primo del trattato quarto ne dichiara espresso: „Per mia donna intendo sempre quella che nella precedente Canzone è ragionata, cioè quella virtuosissima Filosofia". Nè le Canzoni dunque, nè il loro comento sono quell' opera, in cui Dante si riservava di parlare di Beatrice più degnamente, e in cui sperava di dire di lei quello che mai non fu detto di alcuna, ma la Commedia, ove ripete lo stesso pensiero dicendo:,,L' aqua ch'io prendo giammai non si corse“ 1).

Posto ciò ne consegue che Dante, quando fu al termine della V. N., lavorava già con amore alla Commedia. Possiamo anzi asserire ch' egli ne aveva già fatto il maraviglioso piano, ed avutone di già tale saggio di quella divina poesia, da esserne ormai sicuro del felice esito, pel quale di null' altro più abbisognava se non del tempo:,,che la mia vita, pregava egli soltanto, per alquanti anni perseveri!"

Ma oltre a questa conclusione, ne possiamo trarre un' altra, ed è, che Dante si accinse a scrivere la Vita Nuova dopo quella Mirabile Visione, la quale lo fece risolvere di non dire più per Beatrice poesie liriche.

1) Parad. 2. v. 7.

Di fatti, si confronti quell' ultimo paragrafo della V. N. col primo della stessa, che ne è come l'introduzione, e se ne sarà convinti.

„In quella parte del libro della mia memoria, scrive Dante, dinanzi alla quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica, la quale dice: Incipit Vita Nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole, le quali è mio intendimento d'assemprare in questo libello, e se non tutte almeno la loro sentenzia“ 1). La Vita Nuova non è dunque un libro compilato contemporaneamente alle poesie che vi si leggono, o di mano in mano che quelle nascevano; ma posteriormente quando Dante si pensò di assemprarle nello scopo di dare non una completa e semplice raccolta di quante ne aveva sino allora scritte, sì bene un saggio a fine di farne conoscere la sentenzia. E poichè questo assempramento finisce col sonetto, appresso al quale gli apparve la Mirabile Visione, nella quale vide cose che lo fecero proporre di non dir più di Beatrice infino a tanto che non potesse più degnamente trattare di lei, ragion vuole si dica che Dante siasi accinto a quell' assempramento posteriormente a quel sonetto, ch'è l'ultimo dell' opera, e che Dante ha creduto necessario di riportare a fine di farne conoscere la sentenzia delle sue ultime poesie di quel periodo, e quindi anche dopo la Mirabile Visione che gli apparve appresso a quel sonetto, e col cenno della quale chiuse il racconto della Vita Nuova.

Se non avessimo delle ragioni fondate per ritenere che Dante debbe avere, almeno una volta, o interamente o in parte modificato, cangiato il piano del suo poema; posto che la visione fittizia di questo è nella primavera dell' anno 1300, potremmo dalle cose predette conchiudere con sicurezza che la Visione del poema è quella stessa Mirabile Visione annunziata nella chiusa della Vita Nuova e quindi anche fermare fin d'ora che la Vita Nuova non fu da Dante finita innanzi la primavera dell' anno 1300, sì bene qualche mese dopo, quando Dante era già alquanto innoltrato nel lavoro del Poema. E siccome la V. N. è un libro che non dovrebbe avere occupato molto tempo un Dante; potremmo del pari ragionevolmente dire che non deve esservisi egli neppure accinto molti mesi innanzi all' epoca, in cui lo ebbe terminato.

Ma, poichè per testimonianze autorevoli, che trovano pure appoggio nelle parole di Dante: „Donne che avete intelletto d'Amore" "), ebbe egli molti anni innanzi al 1300 l'idea di un lavoro, in cui 1) V. N. §. 1. 2) V. N. §. 19.

doveva entrarvi l' Inferno; le espressioni di quell' ultimo paragrafo della V. N. potrebbero alludere a quella visione che gli diede quella prima idea; e per ciò ad una visione di molti anni anteriore a quella ch'è la fittizia del poema. Nel qual caso la presa risoluzione di non far più poesie in onore di Beatrice e di assemprare parte delle già fatte in un libello, potrebbe spettare anche ad un' epoca anteriore.

Il perchè, a rinvenire l'epoca di quella Mirabile Visione, non v' ha via più sicura di quella che ne dà la successione stessa dei fatti riportati nella Vita Nuova. La quale via, come che non sia necessario di rifarla tutta, potendone bastare all' intento gli ultimi tratti, quelli cioè dalla morte di Beatrice in poi; pure mi sia lecito di tracciarla sin dal suo principio: poichè, così facendo, ci sarà dato di conoscere, oltre che con sicurezza l'epoca ricercata, anche la vera sentenzia delle poesie di Dante, fatte nel periodo compreso dal racconto della V. N.; il vero scopo di essa V. N.; e la relazione súa alla Divina Commedia e al Convito: lo che è appunto ciò che dà tanta importanza a conoscere la vera epoca della V. N.; mentre non ogni epoca assegnatale dai critici s' accorda egualmente con quelle questioni.

II. Dante dettoci, nel paragrafo secondo di questa operetta, com' egli all' età di nove anni, avendo veduto per la prima volta Beatrice, essa pure novenne, n' era stato preso d'amore; nel terzo ci racconta che nove anni appresso, cioè all' età sua di anni diciotto, essendo stato da lei per la prima volta salutato (ed era l'ora nona del mattino) gli parve di vedere tutti i termini della beatitudine; che al suono di quelle parole, che per la prima volta venivano ai suoi orecchi, fu preso da tanta dolcezza che, come inebriato, si partì dalle genti, ricorse al solingo luogo d' una sua stanza, e pensando a quella cortesissima, gli sopraggiunse un soave sonno, nel quale (essendo la prima ora delle nove ultime ore della notte!!) gli apparve la meravigliosa visione del Signor, Amore, che teneva nelle braccia la donna che avealo salutato, e nell' una delle mani una cosa che tutta ardeva ed era il cuore di Dante. Queste ed altre circostanze della visione poterono in lui tanto, che gli diedero animo, non solo di farle il suggetto del suo primo lavoro poetico, ma di più di dirigerne i detti a tutti i fedeli d'amore, cioè ai poeti erotici, pregandoli di un giudizio sulla sua visione. Il giovinetto pone già ben alto sua mira! Questo lavoro, che è il primo sonetto della V. N., gli valse l'amicizia di valenti poeti, tra i quali fu Guido Cavalcanti. V. N. §. 3.

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Nei tre successivi paragrafi dice come dopo quella visione l'anima sua erasi tutta data a pensare di Beatrice; quanto triste n'era la condizione, in cui avealo ridotto Amore; della curiosità nelle genti a sapere l'oggetto del suo cuore; dell' arte sua per celarlo, facendosene schermo per mesi ed anni d' un' altra donna, per cui, a fin che riuscisse meglio la frode, fece anche alcune cosette per rima, delle quali non è sua intenzione di scrivere in questo libretto se non in quanto facessero a trattare di quella gentilissima Beatrice“.

Gli è per ciò che nel settimo ci riporta il sonetto per la partenza di quella donna, poichè Beatrice fu immediata cagione di certe parole che vi si leggono, mentre nel sesto accenna, senza riportarla, ad un' Epistola sotto forma di Serventesi, fatta per ricordare il nome di Beatrice, ed accompagnarlo di molti nomi delle donne più belle della città, e specialmente del nome di quella che fu schermo al suo segreto. Dov'è da notare, che Dante ci avverte che, se accenna a questa epistola, lo fa unicamente per ciò che componendola maravigliosamente addivenne che tra i sessanta nomi di donne quivi lodate, il nome di Beatrice non sofferse di stare se non in sul nove.

Se Dante nacque nel 1265, l' anno suo diciottesimo cadde nel 1283: al quale se aggiungiamo soltanto circa tre anni, che è il meno che possiamo dare all' espressione,,con questa donna mi celai alquanti mesi ed anni", l'epoca della partenza di questa donna sarebbe nell' anno 1286, cioè nel ventunesimo di Dante.

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Recatici all' ottavo due sonetti, fatti in morte di bella giovine per ciò che avendola egli veduta più volte in compagnia di Beatrice, la morte di lei porgevagli occasione di toccar delle lodi di questa, nel nono ci riporta il sonetto sopra una visione, nella quale Amore gl' indica un' altra donna da farsene, schermo per celare l'amore per Beatrice, e nel decimo ci racconta le tristi conseguenze d' un tal consiglio da lui seguito. Egli non fu abbastanza cauto in questa seconda finzione, e diede motivo che altri ne sparlasse amaramente. Venuto per questo in mala voce, Beatrice, come l' ebbe scontrato, gli negò il suo dolcissimo saluto: quel saluto, di che la sola speranza di averlo (come dice nell' undecimo) accendeva in lui una fiamma di "caritade, la quale facevagli perdonare a chiunque l'avesse offeso; e l'atto del riceverlo lo rendeva immobile, rapito in un' estasi di beatitudine.

Non è quindi da farsene maraviglia, se il negato saluto lo abbia immerso nel dolore e nel pianto; se il sonno, sopraggiunto alla stanchezza dell' affanno e del pianto, sia stato accompagnato da fanta

stiche visioni. A lui appare il suo Signor, Amore, e sospirando lo invita a non più fingere: fili mi, tempus est, ut praetermittantur simulata nostra; gli espone la causa del negato saluto; gli fa sapere essere già noto a Beatrice l'amoroso segreto; gli ordina di farglielo manifesto per rima, e di aprirle francamente com' egli, Dante, fosse suo tosto dalla puerizia, e come da lei non siasi smagato mai. Questa visione (chè fu nell' ora nona del di) è il suggetto della Ballata al paragrafo dodicesimo.

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Al povero innamorato toccò poscia una sventura. Invitato da un amico alle nozze di una gentildonna per servire alle donne ivi raccolte, come tra quelle vide Beatrice (e il presentimento gliel' aveva di già annunciata) tramortì, uscì di sè, fu trasfigurato in modo che fatto scopo dei ragionari e delle risa di quelle donne e di Beatrice stessa, l'amico credette bene di trarlo fuori della sala. Da ciò le doglianze contro Beatrice, i rimproveri a se stesso di volerla vedere, mentre non poteva sostenerne la vista, e le ragioni a propria discolpa, e le riflessioni sul proprio stato. Il che gli serve di materia ai tre bellissimi sonetti, nei quali per la prima volta dirige la parola a Beatrice. Sono i sonetti ai paragrafi 13°, 14°, 15°.

Queste contrarietà furono cagione che Dante prendesse nuova materia per la sua Musa. Ma sentiamone lui stesso:

Τα

,,Poichè io dissi questi tre sonetti, così egli al §. 17, ne' quali parlai a questa donna, però che furo narratorii di tutto quasi lo mio stato, credeimi tacere, perocchè mi parea avere di me assai manifestato. Avvegnachè sempre poi tacessi di dire a lei, a me convenne ripigliare materia nova e più nobile che la passata. E perocchè la cagione della nova materia è dilettevole a udire, dirò quanto potrò più brevemente". E conformemente a ciò nel paragrafo diciottesimo, dettoci che finora il saluto di Beatrice era il fine del suo amore, poichè in quello dimorava la beatitudine che era fine di tutti i suoi desiderj, e come d'ora innanzi, dacchè quello gli fu negato, il suo Signor, Amore, avea posto la beatitudine di lui in quello che non può venirgli meno, cioè in quelle parole che lodano Beatrice', continua:

„Proposi di prendere per materia del mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima: e pensando a ciò molto, pareami avere impresa troppo alta materia, quanto a me, sicchè non ardia di cominciare: e così dimorai alquanti dì con desiderio di dire e con paura di cominciare".

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