Sayfadaki görseller
PDF
ePub

APPENDICE.

Che il trattato secondo sia anteriore al 1300 vi sono prove soltanto di conghiettura, ma tutt' altro che spregevoli.

La profondità delle dottrine e l'eccellenza del terzo può convenire egualmente agli anni innanzi, come agli anni dopo il trecento; chè, chi nel trecento poteva disegnare il piano della Divina Commedia, poteva anche qualche anni innanzi scrivere le belle pagine del trattato terzo. Però la ricordanza di alcune circostanze dell' epoca, in cui fu scritta la seconda Canzone, consiglia a ritenerlo scritto piuttosto dopo il trecento.

Il quarto ci somministra prove validissime per dirlo scritto non prima del Luglio 1301, non dopo il 1308. Al capo terzo è detto:

Federico di Soave, ultimo imperadore de' Romani (ultimo dico per rispetto al tempo presente; non ostante che Ridolfo e Adolfo e Alberto poi eletti sieno appresso la sua morte e de' suoi discendenti“: e al capo sesto: „Ponetevi mente, nemici di Dio, a' fianchi, voi che le verghe de' Reggimenti d' Italia prese avete. E dico a Voi, Carlo e Federigo regi...". Vivevano adunque, quando Dante scrivevalo, Carlo II di Napoli e l'imperatore Alberto: il primo morì l'anno 1309, il secondo fu ucciso il dì 1 Maggio 1308.

[ocr errors]

Al capo quattordicesimo si legge: Pognamo che Gherardo da Cammino fosse stato nepote del più vile villano che mai bevesse del Sile o del Cagnano, e la obblivione ancora non fosse del suo avolo venuta; chi sarà oso di dire che Gherardo da Cammino fosse vile uomo? e chi non parlerà meco dicendo, quello essere stato nobile? Certo nullo, quanto vuole che sia presuntuoso, chè egli il fu, e fia sempre la sua memoria". Che qui Dante parli di Gherardo già morto, chi potrebbe soltanto proporne il dubbio? Che Gherardo poi vivesse nel 1300 ne abbiamo l'autorità di Dante stesso; il quale nel canto 16° del Purgatorio ce lo dice vivo:

„Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio

Di ch'è rimaso della gente spenta,

In rimproverio del secol selvaggio ?“

Gli è vero che il sig. Fraticelli, si è adoperato, e certamente con non poco ingegno, di persuaderci che quivi Dante avesse fatto accortamente parlare Marco Lombardo, come ignaro del presente,

secondo quel principio della Divina Commedia, che quelle anime conoscono ben il futuro, ma non il presente:

"Quando s' appressano o son, tutto è vano Nostro intelletto, e s' altri nol ci apporta, Nulla sapem di vostro stato umano“.

(Inf. 10, 103.)

Ma un tal modo d' interpretar Dante, dove ci condurrebbe? Fortunatamente la storia viene in soccorso alla verità storica della Divina Commedia, attestandoci che Gherardo da Cammino era vivo nel Luglio 1301. Eccone il prezioso documento, che mi gode l'animo di far noto agli amatori di Dante, e che toglierà di mezzo non poche questioni. Il documento fu tratto dal primo dei due volumi pag. 46 della raccolta intitolata: „Nonnulla documenta quae ad Partis Transalpinae Patriarchatus Aquilejensis Historiam referuntur. Utini 1850“, trascritta da P. G. Bianchi, ed esistente nell' Archivio del Giovanneo in Graz.

,,1301 26 Luglio Cividale.

„Procuratori del Comune di Cividale onde trattar la pace tra il „Vicedomino, il Conte di Gorizia e Gerardo da Cammino da una „parte, e il Conte di Ortemburch e le Comunità di Udine e di Gemona dall' altra.

"

,,Antonio da Cividale not.

„Die VI exeunte Julio, in Civitate Austria, super Domo Com„munis. Presentibus DD. Hermanno de Budrio et Johanne Bernardi Canonicis Civitatensibus, Tralino Canonico Utinensi et aliis.

[ocr errors]

„D. Paulus Castaldio et Consilium Civitatense ibidem ad sonum „campane more solito congregati nomine suo et Communis Civitaten,,sis communiter et concorditer fecerunt, constituerunt et ordinave„runt DD. Henricum de Portis et Candidum de Canuccio, Guilelmum „de Saciletto et Thomasinum de Rubiquaces presentes, et D. Fulche„rum de Savergnano et Nicolaum Advocatum de Civitate, licet ab,,sentes et tres eorum suos et dicti Communis certos Nuncios, Syn-, „dicos et Procuratores legitimos super discordia, guerra, lite, con„troversia et questione que vertitur vel verti videtur inter venerabi,,lem virum D. Ghilonem Canonicum Aquilejensem et Vicedominum Patriachatus Aquilejensis et Capitulum Aquilejense ac Magnificos „viros DD. Haynricum illustrem Comitem Goritie et Girardum „de Camino et suos seguaces et coadjutores ex parte una, et Ma„gnificum virum D. Maynardum illustrem Comitem de Ortumburch „Patriarchatus Aquilejensis Capitaneum Generalem et Communitates Utini, Glemone et Civitatis et eorum coadjutores ex parte altera;

"

[ocr errors]

,,ad tractandum faciendum et complendum una cum dictis D. Comite „Maynardo et hominibus seu sindicis Utini et Glemone pacem, con„cordiam et compositionem, si commode esse poterit. . . . ecc. ecc. „Da una copia esistente in Udine presso i sig. Fabrizio. P. G. Bianchi".

...

E poichè da quest' altro documento, a p. 49 dello stesso volume, si ritrae che nel 1302 Riccardo da Cammino fosse in guerra con Ottobono, Patriarca d' Aquileja; ne verrebbe che Gherardo morisse o negli ultimi mesi del 1301, o nei primi dell' anno seguente:

[ocr errors]

1302. Notizie intorno al Patriarca Ottobono estratte dal libro „de Antiquitatibus di Fabio Quintiliano Ermagora.

[ocr errors]

Ottobonus Patavinus Episcopus LXIX. Patriarcha grave bellum „gessit cum Carinthiae ducibus et Ricardo Caminensi, cui plures tunc Forijulienses tum Carni Castellani adhaerebant. . . . ecc. ecc. Da una copia esistente presso l' Ab. Pirona.

"

P. G. Bianchi".
Nè quelle parole di Cunizza nel nono del Paradiso:
„Ma tosto fia che Padova al palude
Cangerà l'acqua che Vicenza bagna,
Per essere al dover le genti crude.

E dove Sile e Cagnan s'accompagna,
Tal signoreggia e va con la tesť alta,
Che già per lui carpir si fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la disfalta
Dell' empio suo pastor. . . . .“

(v. 46-53.)

colle quali allude alla morte di Riccardo, porranno punto in contraddizione l'Allighieri, come crede il sig. Fraticelli, quasi che Dante ci avesse voluto con esse dire, che Gherardo fosse già morto, e che gli fosse già succeduto nella signoria di Treviso il figlio Riccardo. L' Ottimo nel suo Commento ci fa intendere, che Cunizza tiene li un linguaggio profetico: „Poi che ha satisfatto all' Autore quanto al nome e alla sorte sua, qui antidice la morte di messer Riccardo da Cammino, e le future guerre de' Padovani e de' Vicentini, ed il futuro male che riceverà la città di Feltre". T. 3. E per vero molto egregiamente.

Se Cunizza le insidie contro Riccardo, che pur furono, come si sa dalla storia, appena nel 1312, le dice come se fossero presenti: „Che già per lui carpir si fa la ragna“; perchè il signoreggia e va con la testa alta, ch'è la causa di quelle insidie, si vorrebbe rapportarlo all' anno

[ocr errors]

1300, e dedurre da ciò contro l'autorità della stessa Divina Commedia, che Riccardo fosse già Signore di Treviso, e che Gherardo fosse morto? Il tempo a cui si allude col,,signoreggia e va con la testa alta", è lo stesso che quello del si fa la ragna". Se non che, ora che sappiamo che Riccardo era già in guerra col Patriarca di Aquileja nel 1302, e che forse fin d'allora si tramava alla sua vita; non potremmo vedere nella prossimità del fatto una ragione di ciò che l' allusione al signoreggiare di Riccardo e al suo andar colla testa alta sian espressi col modo presente, mentre che le sventure dei Padovani, e il tradimento del pastor di Feltre, che dovevano succedere molto più tardi, sono annunziate col tempo futuro? Oppure, e non potrebbe Dante averci voluto far sapere con quella forma di dire, che Riccardo, vivente ancora il suo vecchio padre, andasse colla testa alta, e la facesse da Signore, e così si preparasse già fin da quel tempo l'odio che doveva più tardi fargli la ragna per carpirlo?

Ma si creda pur ciò che si vuole di quei versi, resterà ciò non pertanto ad evidenza provato, che Gherardo da Cammino viveva nel 1300, come disse Dante, poichè viveva, come ne attesta il riferito documento, anco nell'anno seguente: e quindi anche, che il trattato quarto del Convito, in cui si accenna a Gherardo già morto, e ad Alberto ancora vivo, non può essere nè anteriore alla fine del 1301, nè posteriore al 1308.

L'epoca poi precisa di questo trattato sta indicata nel capo 29 con questi detti: „Potrebbe dire ser Manfredi da Vico, che ora Pretore si chiama e Prefetto"; e gli amatori di Dante dovrebbero indagare chi sia questo Manfredi ed in qual anno fosse egli Pretore e Prefetto.

Il primo trattato, che è l' Introduzione all' opera intera, dev' essere stato scritto quando Dante aveva già in pronto la materia di tutti i quattordici trattati che dovevano seguirlo, ai quali nulla più mancava che darne l' ultima mano e ritoccarli specialmente per migliorarne lo stile. Scrivendolo, egli sa già alcune parti accessorie dell' ultimo: „Per che sì caro costa quello che si priega non intendo qui ragionare, perchè sufficientemente si ragionerà nell' ultimo trattato di questo libro". Dov'è da notare quel sufficientemente; con che parerebbe dirne anche l'estensione data alla pertrattazione. Scrivendo il terzo, al c. 15. dice, che le virtù talvolta per vanità o per superbia si fanno meno belle o meno gradite, siccome nell' ultimo trattato veder si potrà". Al capo 24 del trattato quarto fa noto che nel trattato settimo si parlerà del freno della Temperanza. Al capo

[ocr errors]

27, pure del quarto, si legge: „Ma perocchè di Giustizia nel penultimo trattato di questo libro si tratterà". E al capo primo del trattato secondo sta: „nel penultimo trattato si mostrerà per che per li savii sia trovato il senso allegorico".

Tutti questi accenni illustrano benissimo quelli detti al capo primo dell' opera: „quello ch'io a poco a poco ricolgo", e ci danno diritto a ritenere che la materia dei diversi trattati sia stata raccolta ad epoche diverse, e ch' egli, scrivendo il primo, le dava l'ultima

mano.

A qual' epoca ciò avvenisse, se negli ultimi anni della gioventù di Dante innanzi al 1310, se più tardi, non è facile a stabilirsi. Però la calma, il patetico dell' allusione al suo lungo e travagliato esilio, ch' ei ne fa al capo terzo, potrebbe farci inclinare piuttosto per un' epoca di parecchi anni posteriore al 1310. „Ahi piaciuto fosse al Dispensatore dell' universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata; chè nè altri contro a me avria fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustamente: pena, dico, d'esilio e di povertà. Poichè fu piacere de' cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gettarmi fuori del suo dolcissimo seno (nel quale nato e nutrito fui fino al colmo della mia vita, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto il cuore di riposare l'animo stanco e terminare il tempo che m'è dato) per le parti quasi tutte, alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando, contro a mia voglia, la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertà: e sono vile apparito agli occhi a molti, che forse per alcuna fama in altra forma mi avevano imaginato; nel cospetto de' quali non solamente mia persona invilío, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare".

Che queste aggiunte poi e questi schiarimenti sulle epoche dei quattro trattati del Convito, anzichè indebolire, rafforzino le ragioni portate nella dissertazione a definire il senso delle parole: „e in questa di poi quella già trapassata", è, come può giudicarne chiunque, per sè manifesto.

« ÖncekiDevam »