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Non è effetto di superstiziosa idolatria, se i dantofili trattano con tanto studio e zelo parecchie questioni, per sè del tutto accessorie, sulla vita e sulle opere di Dante da farle più volte il suggetto di lunghi trattati e di calde polemiche. Ciò che sarebbe superfluo e talvolta anche ozioso ove d'ogni altro scrittore si trattasse, in Dante si è della massima importanza. Egli seppe per tal modo trasfondersi nelle sue opere, ed in tal guisa, secondo i tempi nei quali scrisse, fondervi insieme sè e la società e il loro suggetto, che in alcune di esse la perfetta intelligenza dell' ultimo dipende dalla conoscenza degli altri due. Più volte accadde che l' illustrazione di un accenno biografico o storico, per l' innanzi in alcune opere di Dante o trascurato o franteso, ne portasse la luce sopra parti essenziali: che, poste per ciò in armonia coll' opera stessa, fecero molte questioni o sciolte o affatto nulle. Si può anzi dire che quanto vi ha tuttora di oscuro e di conteso nel suggetto delle opere di Dante, si debba principalmente a ciò che non ne sono ancora ben conosciute le fasi della sua vita intellettuale, morale e civile; e che i suoi tempi, che sono pure tanta parte nelle sue opere, non ci sono presentati nè nell' interezza nè nel lume, nei quali ve li ha riposti Dante. Donde ne viene che tutto ciò che può recare luce o sulla biografia dell' Allighieri, o sulle sue opere, o sulle condizioni de' suoi tempi in quanto questi si riferiscano o a lui o alle opere di lui, sarà da ritenersi sempre mai utilissimo.

E poichè questa fusione è un fatto che, spero, non mi sarà conteso; tant'è ch'io non dubito punto di stabilirla come una delle note caratteristiche delle opere di Dante; ne consegue, che le opere sue debbano considerarsi qual fonte autorevole per conoscere la società del suo tempo qual essa era; e specialmente poi per conoscerla secondo che egli la rayvisava e la fece un elemento de' suoi scritti. Di più, che sieno esse da considerarsi qual fonte principale, a cui

tutti gli altri debbono essere subordinati sempre che si tratti di conoscere o lui o le sue opere.

E per vero, mentre i biografi di Dante, non esclusi i più prossimi a lui di tempo, ce ne danno un ritratto, nei cui lineamenti e nelle cui tinte mal armonizzanti, non possiamo ravvisare il cantore della Rettitudine, come piacque a lui stesso d'intitolarsi, e come lo fanno vedere le sue Canzoni filosofiche; nè il cantore della Regenerazione Sociale, quale si mostrò nella Divina Commedia; le sue opere, lette ponderatamente e senza prevenzioni, ne presentano un' imagine che porta per iscritto espressi i caratteri del grande cittadino, del grande filosofo cristiano, del grande poeta, che d'accordo ai suoi principj, alle sue dottrine, alle sue tendenze, ai suoi costumi imprende i canti della Rettitudine e della Regenerazione Sociale per ricondurre l'uomo e la società sulla via tracciata loro dalla Provvidenza. Mentre pei suoi apologisti stessi egli è un cittadino che per odio di parte muta la sua fede politica; i suoi scritti tutti, di qualunque epoca siensi, non ne propugnano se non un identico principio, e sempre con quello zelo che lo caratterizza. Per essi, egli che sa di dover istare

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come torre, fermo, che non crolla Giammai la cima per soffiar di venti" 1);

che si propose, rimossa ogni menzogna, di far manifesta tutta sua visione *), in cui gli furono mostrate,,Pur l' anime che son di fama note", le quali egli si fa ad onore di percuotere facendo,,... come'l vento Che le più alte cime più percuote" ); egli, dico, per essi è timido e si lasciò consigliare da paura allor che studiossi, forzando le sue rime, di farci credere che vi sieno allegorie e simboli a celebrare bellezze intellettuali là, dove non vi erano che battiti di cuore per bellezza mortale. -E cosi accade a chi vuol credere più a sè o ad altri che a Dante stesso.

Ma, supposta vera questa sola asserzione, ne seguirebbe che Dante mentisse allorchè ci diceva che la donna gentile non fu una creatura umana, ma,,la bellissima e onestissima figlia dell' Imperadore dell' universo... Filosofia" "); ch' egli tenesse un linguaggio d'ipocrita allorchè, accennando a quell' amore, scriveva: „,Temo l'infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le soprannominate Canzoni, in me avere signoreggiato" 5); che si mo

1) Purg. 5. v. 14.
5) ivi I. c. 2.

2) Par. 17. 127. 3) ivi. 134. 4) Conv. II. c. 16.

strasse ben semplice allorchè confidava di provvedere al suo nome soggiungendo:,,la quale infamia si cessa, per lo presente di me parlare, interamente; lo quale mostra che non passione, ma virtù sie stata la movente cagione"; che mentisse pure allorchè voleva farne sapere che „l'anno medesimo che nacque questa Canzone (la seconda del Convito) per affaticare lo viso molto a studio di leggere" 1) s' era guasta la vista: mentre avrebbe dovuto dire più veracemente, che lo splendore d' un bel volto ne lo aveva abbacinato; che mentisse allorchè voleva farci credere, senza acquistar per ciò maggior merito, che il senso di quelle Canzoni era scientifico e morale; che mentisse quindi anche arrogandosi impudentemente un titolo che non gli competeva, come fece nel libro de Vulgari Eloquio, quando asseriva ch' egli, l'amico di Cino, aveva in quelle Canzoni cantato la Rettitudine 2); e quando nel Convito scriveva:,,proposi di gridare alla gente che per mal cammino andavano, acciocchè per diritto calle si dirizzassono, e cominciai una Canzone, nel cui principio dissi: Le dolci rime d'Amor ch' io solia“ 3); in breve, che quasi tutto ciò che Dante nel Convito raccontò di sè e de suoi studj, e dell' effetto intellettuale e morale da essi ritratto, e, possiamo dire anche, tutto quello che intorno ad essi egli s'era riservato ancora di dirci negli altri undici trattati dell' opera stessa, non fosse che pretta menzogna. Chi potrebbe a tali tratti ravvisare l'autore della Divina Commedia ? Eppure tutto ciò, e più ancora, ne consegue dal modo di sciogliere una questione accessoria, o che per lo meno come accessoria viene trattata!

Non sarà dunque tempo nè opera gittata se colla scorta delle opere di Dante imprendo ad indagare in quale epoca sia stata da lui scritta la Vita Nuova; poichè la diversa soluzione anche di questo quesito riflette diversa luce sopra altre questioni di maggior rilievo, come avremo occasione di accertarcene.

I. Dante chiude il libro della Vita Nuova con queste parole: „Appresso a questo Sonetto apparve a me una mirabile Visione, nella quale vidi cose che mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta, in fino a tanto che io non potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì come ella sa veracemente. Sicchè se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, spero di dire di lei quello che mai non fu detto di alcuna. E poi piaccia a Colui,

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eh'è Sire della cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, che gloriosamente mira nella faccia di Colui, qui est per omnia saecula benedictus". V. N. §. 43.

Nella solennità di questi detti si sente l' espressione di un' anima profondamente commossa: commossa dall' affetto per la sua donna; commossa dalla grandezza del suggetto o dall' eccellenza del piano di un lavoro suggeritogli dalla Mirabile Visione; commossa dalla compiacenza che prova nell' occuparsene; commossa dall' ardente brama di compierlo. Egli non dirà più per la sua donna nè Sonetti, nè Ballate, nè Canzoni, perchè vuole più degnamente onorarla. Le farà un poema che dovrà tenerlo occupato più anni; un poema, in cui dirà di lei quello che non fu mai detto di alcuna. E quando avrà soddisfatto questa brama del suo cuore, quando avrà innalzato a lei questa perenne memoria di sua devozione, che lo collocherà sesto nella scuola del Signore dell' Altissimo Canto 1), allora, non prima, sarà pago che sia tronco il filo di sua vita; poichè allora saranno ormai finiti tutti i suoi terrestri desiderj. — E il suo voto fu avverato: poichè quell' anima eminentemente cristiana, appena finito quel suo canto votivo, rifece il viaggio all' Empireo per non più lasciarlo!

In questo brano della Vita Nuova ci viene dunque detto: Primo che una Mirabile Visione lo fece risolvere di non dire più in onore di Beatrice sino a tanto che non potesse trattare di lei più degnamente. Ma poichè nella V. N. non vi sono in onore di Beatrice se non sonetti, ballate e canzoni, forme cioè di poesia lirica; possiamo ritenere che con quel proponimento, di non dire più di quella benedetta, egli abbia voluto dirci che non l'avrebbe più celebrata con poesie liriche. Secondo, che Dante studiava già a tutto potere su quel lavoro più onorifico per Beatrice, suggeritogli dalla Mirabile Visione, e che n'era tanto innanzi che ne presentiva già tutta l'eccellenza. Ma, poichè sappiamo che Dante oltre alle poesie liriche non iscrisse in onore di Beatrice altro che la Commedia; e poichè quest' è di un' eccellenza maravigliosa e tale che oggidì pure dopo tanti secoli non si vede ancora chi a tanta altezza siasi neppure avvicinato; possiamo, senza tema d' errare, ritenere, che Dante colla promessa di quel poema votivo, in cui avrebbe detto della sua donna quello che mai non fu detto di alcuna, alludesse alla divina Commedia,

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1) Inf. 4. v. 95.

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