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43

Ch' ella ci vide passarsi davante.
'O tu, che se' per questo inferno tratto,'
Mi disse, riconoscimi, se sai :
Tu fosti, prima ch' io disfatto, fatto.'
Ed io a lei: L'angoscia che tu hai
Forse ti tira fuor della mia mente,
Si che non par ch' io ti vedessi mai.
Ma dimmi, chi tu se', che in si dolente 46
Loco se' messa, ed a si fatta pena
Che, s' altra è maggio, nulla è sì spia-
cente.'

Ed egli a me: La tua città, ch' è piena 49
D' invidia si che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco :
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco;
Ed io anima trista non son sola,

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76

Giusti son due, ma non vi sono intesi: 73
Superbia, invidia ed avarizia sono
Le tre faville che hanno i cori accesi.'
Qui pose fine al lagrimabil suono.
Ed io a lui: Ancor vo' che m' insegni,
E che di più parlar mi facci dono.
Farinata e Tegghiaio, che fur si degni, 79
Jacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca,
E glialtriche a ben far posergl' ingegni,
Dimmi ove sono, e fa ch' io li conosca ; 82
Chè gran disio mi stringe di sapere,

Se il ciel gli addolcia o lo inferno gli
attosca.'

E quegli Ei son tra le anime più nere;
Diversa colpa giù li grava al fondo: 86
Se tanto scendi, li potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo, 88
Pregoti che alla mente altrui mi rechi:
Più non ti dico e più non ti rispondo,'
Gli diritti occhi torse allora in biechi: 91
Guardommi un poco, e poi chinò la testa:
Cadde con essa a par degli altri ciechi.
E il duca disse a me: Più non si desta 94
Di qua dal suon dell' angelica tromba;
Quando verrà la nimica podesta,
Ciascun ritroverà la trista tomba,
Ripiglierà sua carne e sua figura,
Udirà quel che in eterno rimbomba.'
Si trapassammo per sozza mistura
Dell'ombre e della pioggia a passi lenti,
Toccando un poco la vita futura :
Perch' io dissi: 'Maestro, esti tormenti 103
Cresceranno ei dopo la gran sentenza,
O fien minori, o saran si cocenti?'
Ed egli a me: Ritorna a tua scienza, 106
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
Più senta il bene, e così la doglienza,
Tuttochè questa gente maledetta

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100

109

In vera perfezion giammai non vada, Di là, più che di qua, essere aspetta.' Noi aggirammo a tondo quella strada, 112 Parlando più assai ch' io non ridico: Venimmo al punto dove si digrada: Quivi trovammo Pluto il gran nimico. 115

CANTO SETTIMO.

'Pape Satan, pape Satan aleppe,' Cominciò Pluto colla voce chioccia. E quel Savio gentil, che tutto seppo

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55

Ed egli a me: 'Vano pensiero aduni: 52
La sconoscente vita che i fe' sozzi,
Ad ogni conoscenza or li fa bruni;
In eterno verranno alli due cozzi;
Questi risurgeranno del sepulcro
Col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro 58
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
Qual ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
De' ben, che son commessi alla Fortuna,
Perchè l' umana gente si rabbuffa.
Chè tutto l' oro ch'è sotto la luna,

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79

Similemente agli splendor mondani Ordinò general ministra e duce, Che permutasse a tempo li ben vani, Di gente in gente e d'uno in altro sangue, Oltre la difension de' senni umani: Perchè una gente impera, e l'altra langue, Seguendo lo giudizio di costei, 83 Che è occulto, come in erba l' angue. Vostro saper non ha contrasto a lei : Questa provvede, giudica e persegue Suo regno, come il loro gli altri Dei. Le sue permutazion non hanno triegue: 88 Necessità la fa esser veloce,

85

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116

Vidi genti fangose in quel pantano, Ignude tutte e con sembiante offeso. Questi si percotean non pur con mano 112 Ma con la testa col petto e co' piedi, Troncandosi coi denti a brano a brano. Lo buon Maestro disse: Figlio, or vedi L' anime di color cui vinse l'ira: Ed anche vo' che tu per certo credi, Che sotto l'acqua ha gente che sospira, 118 E fanno pullular quest'acqua al summo, Come l'occhio ti dice, u' che s' aggira. Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo 121 Nell' aer dolce che dal sol s' allegra, Portando dentro accidioso fummo: Or ci attristiam nella belletta negra." 124 Quest' inno si gorgoglian nella strozza, Che dir nol posson con parola integra.' Cosi girammo della lorda pozza 127 Grand' arco tra la ripa secca e il mezzo, Con gli occhi volti a chi del fango ingozza: Venimmo al piè d' una torre al dassezzo.

CANTO OTTAVO.

Io dico seguitando, ch' assai prima

129

Che noi fussimo al piè dell' alta torre, Gli occhi nostri n' andar suso alla cima,

Per due fiammette che i' vedemmo porre, 4 E un' altra da lungi render cenno Tanto ch' a pena il potea l'occhio torre. Ed io mi volsi al mar di tutto il senno; 7 Dissi: Questo che dice? e che risponde Quell' altro foco? e chi son quei che il fenno?'

Ed egli a me: 'Su per le sucide onde 10 Già puoi scorger quello che s' aspetta, Se il fummo del pantan nol ti nasconde.'

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Lo duca mio discese nella barca,
E poi mi fece entrare appresso lui,
E sol quand' io fui dentro parve carca.
Tosto che il duca ed io nel legno fui,
Secando se ne va l'antica prora
Dell' acqua più che non suol con altrui
Mentre noi corravam la morta gora,

31

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49

52

Benedetta colei che in te s' incinse. Quei fu al mondo persona orgogliosa; 46 Bontà non è che sua memoria fregi : Così s'è l'ombra sua qui furiosa. Quanti si tengon or lassù gran regi, Che qui staranno come porci in brago, Di sè lasciando orribili dispregi!' Ed io: Maestro, molto sarei vago Di vederlo attuffare in questa broda, Prima che noi uscissimo del lago.' Ed egli a me: Avanti che la proda Ti si lasci veder, tu sarai sazio: Di tal disio converrà che tu goda.' Dopo ciò poco vidi quello strazio Far di costui alle fangose genti, Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio,

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Tutti gridavano: A Filippo Argenti!' 61
El' Fiorentino spirito bizzarro
In sè medesmo si volgea co' denti.
Quivi il lasciammo, chè più non ne narro:
Ma negli orecchi mi percosse un duolo,
Perch' io avanti l'occhio intento sbarro:
Lo buon Maestro disse: 'Omai, figliuolo,

S'appressa la città che ha nome Dite, 68
Co' gravi cittadin, col grande stuolo.'
Ed io: Maestro, già le sue meschite 70
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie, come se di foco uscite
Fossero.' Ed ei mi disse: Il foco eterno
Ch' entro l' affoca, le dimostra rosse, 74
Come tu vedi in questo basso inferno.'
Noi pur giugnemmo dentro all' alte fosse,
Che vallan quella terra sconsolata: 77
Le mura mi parean che ferro fosse.
Non senza prima far grande aggirata, 79
Venimmo in parte dove il nocchier forte
'Uscite,' ci gridò, qui è l' entrata.'
Io vidi più di mille in sulle porte

82

Da' ciel piovuti, che stizzosamente Dicean: Chi è costui, che senza morte Va per lo regno della morta gente?'

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E il savio mio Maestro fece segno Di voler lor parlar segretamente. Allor chiusero un poco il gran disdegno, 88 E disser: Vien tu solo, e quei sen vada, Che si ardito entrò per questo regno. Sol si ritorni per la folle strada: Provi se sa; chè tu qui rimarrai Che gli hai scorta si buia contrada.' Pensa, Lettor, se io mi sconfortai Nel suon delle parole maledette : Ch' io non credetti ritornarci mai. O caro duca mio, che più di sette Volte m' hai sicurtà renduta, e tratto D'alto periglio che incontra mi stette, Non mi lasciar,' diss' io, 'così disfatto: 100 E se 'l passar più oltre c' è negato, Ritroviam l'orme nostre insieme ratto.' E quel signor che li m' avea menato 103 Mi disse: 'Non temer, chè il nostro passo Non ci può torre alcun : da tal n'è dato. Ma qui m' attendi; e lo spirito lasso 106 Conforta e ciba di speranza buona, Ch' io non ti lascerò nel mondo basso." Così sen va, e quivi m' abbandona

100

Lo dolce padre, ed io rimango in forse; Che 'l si e 'l no nel capo mi tenzona.

Udir non pote' quel ch' a lor si porse: 112
Ma ei non stette là con essi guari,
Che ciascun dentro a prova si ricorse.
Chiuser le porte que' nostri avversari 115
Nel petto al mio signor che fuor rimase,
E rivolsesi a me con passi rari. 117
Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase
D' ogni baldanza, e dicea ne' sospiri :
'Chi m' ha negate le dolenti case?'
Ed a me disse: 'Tu, perch' io m'adiri, 121
Non sbigottir, ch' io vincerò la prova,
Qual ch' alla difension dentro s' aggiri.
Questa lor tracotanza non nuova, 124
Chè già l'usaro a men segreta porta,
La qual senza serrame ancor si trova.
Sopr' essa vedestù la scritta morta :
E già di qua da lei discende l' erta,
Passando per li cerchi senza scorta,
Tal che per lui ne fia la terra aperta.' 130

CANTO NONO.

Quel color che viltà di fuor mi pinse,

127

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Lo cominciar con l' altro che poi venne,
Che fur parole alle prime diverse.
Ma nondimen paura il suo dir dienne, 13
Perch' io traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenza ch'ei non tenne.
In questo fondo della trista conca 16
Discende mai alcun del primo grado,
Che sol per pena ha la speranza cionca?'
Questa question fec' io; e quei: 'Di rado
Incontra,' mi rispose, che di nui
Faccia il cammino alcun per quale io
vado.

Ver' è ch' altra fiata quaggiù fui,
Congiurato da quella Eriton cruda
Che richiamava l' ombre a' corpi sui.

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Pertrarne un spirto del cerchio di Giuda. Quell' è il più basso loco e il più oscuro, 28 E il più lontan dal ciel che tutto gira: Ben so il cammin: però ti fa sicuro. Questa palude che il gran puzzo spira, 31 Cinge d'intorno la città dolente, U' non potemo entrare omai senz' ira.' Ed altro disse, ma non l' ho a mente; 34 Perrochè l' occhio m' avea tutto tratto Ver l'alta torre alla cima rovente, Dove in un punto furon dritte ratto Tre furie infernal di sangue tinte, Che membra femminili aveano ed atto, E con idre verdissime eran cinte :

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Serpentelli ceraste avean per crine Onde le fiere tempie eran avvinte. E quei che ben conobbe le meschine Della regina dell' eterno pianto : 'Guarda,' mi disse, 'le feroci Erine, Questa è Megera dal sinistro canto : Quella che piange dal destro è Aletto: Tesifone è nel mezzo:' e tacque a tanto. Con l' unghie si fendea ciascuna il petto; Batteansi a palme e gridavan si alto 50 Ch' io mi strinsi al poeta per sospetto. "Venga Medusa; sì 'l farem di smalto,' 52 Dicevan tutte riguardando in giuso: 'Mal non vengiammo in Teseo l'assalto.' 'Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso; 55 Che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi,

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Gli occhi mi sciolse, e disse: Or drizza il nerbo 73

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Del viso su per quella schiuma antica, Per indi ove quel fummo è più acerbo,' Come le rane innanzi alla nimica Biscia per l'acqua si dileguan tutte, Fin che alla terra ciascuna s' abbica; Vid' io più di mille anime distrutte 79 Fuggir così dinanzi ad un che al passo Passava Stige colle piante asciutte. Dal volto rimovea quell' aer grasso, Menando la sinistra innanzi spesso; E sol di quell' angoscia parea lasso. Ben m' accors' io ch' egli era del ciel messo, 85 E volsimi al Maestro: e quei fe' segno, Ch'io stessi cheto, ed inchinassi ad esso, Ahi quanto mi parea pien di disdegno! 88 Venne alla porta, e con una verghetta L'aperse, che non ebbe alcun ritegno. 'O cacciati del ciel, gente dispetta,' Comincià egli in su l' orribil soglia, 'Ond' esta oltracotanza in voi s' alletta? Perchè ricalcitrate a quella voglia,

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E non fe' motto a noi : ma fe' sembiante D'uomo cui altra cura stringa e morda, Che quella di colui che gli è davante. 103 E noi movemmo i piedi in ver la terra, Sicuri appresso le parole sante. Dentro v' entrammo senza alcuna guerra: Ed io, ch' avea di riguardar disio La condizion che tal fortezza serra, Com' io fui dentro, l'occhio intorno invio; E veggio ad ogni man grande campagna Piena di duolo e di tormento rio. Si come ad Arli, ove Rodano stagna, 112 Si com' a Pola presso del Quarnaro, Che Italia chiude e suoi termini bagna, Fanno i sepolcri tutto il loco varo :, 115 Cosi facevan quivi d' ogni parte, Salvo che il modo v' era più amaro;

Chè tra gli avelli fiamme erano sparte, 118 Per le quali eran si del tutto accesi, Che ferro più non chiede verun' arte.

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