41 43 Ch' ella ci vide passarsi davante. Ed egli a me: La tua città, ch' è piena 49 52 55 76 Giusti son due, ma non vi sono intesi: 73 Se il ciel gli addolcia o lo inferno gli E quegli Ei son tra le anime più nere; 97 100 109 In vera perfezion giammai non vada, Di là, più che di qua, essere aspetta.' Noi aggirammo a tondo quella strada, 112 Parlando più assai ch' io non ridico: Venimmo al punto dove si digrada: Quivi trovammo Pluto il gran nimico. 115 CANTO SETTIMO. 'Pape Satan, pape Satan aleppe,' Cominciò Pluto colla voce chioccia. E quel Savio gentil, che tutto seppo 55 Ed egli a me: 'Vano pensiero aduni: 52 61 64 79 Similemente agli splendor mondani Ordinò general ministra e duce, Che permutasse a tempo li ben vani, Di gente in gente e d'uno in altro sangue, Oltre la difension de' senni umani: Perchè una gente impera, e l'altra langue, Seguendo lo giudizio di costei, 83 Che è occulto, come in erba l' angue. Vostro saper non ha contrasto a lei : Questa provvede, giudica e persegue Suo regno, come il loro gli altri Dei. Le sue permutazion non hanno triegue: 88 Necessità la fa esser veloce, 85 116 Vidi genti fangose in quel pantano, Ignude tutte e con sembiante offeso. Questi si percotean non pur con mano 112 Ma con la testa col petto e co' piedi, Troncandosi coi denti a brano a brano. Lo buon Maestro disse: Figlio, or vedi L' anime di color cui vinse l'ira: Ed anche vo' che tu per certo credi, Che sotto l'acqua ha gente che sospira, 118 E fanno pullular quest'acqua al summo, Come l'occhio ti dice, u' che s' aggira. Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo 121 Nell' aer dolce che dal sol s' allegra, Portando dentro accidioso fummo: Or ci attristiam nella belletta negra." 124 Quest' inno si gorgoglian nella strozza, Che dir nol posson con parola integra.' Cosi girammo della lorda pozza 127 Grand' arco tra la ripa secca e il mezzo, Con gli occhi volti a chi del fango ingozza: Venimmo al piè d' una torre al dassezzo. CANTO OTTAVO. Io dico seguitando, ch' assai prima 129 Che noi fussimo al piè dell' alta torre, Gli occhi nostri n' andar suso alla cima, Per due fiammette che i' vedemmo porre, 4 E un' altra da lungi render cenno Tanto ch' a pena il potea l'occhio torre. Ed io mi volsi al mar di tutto il senno; 7 Dissi: Questo che dice? e che risponde Quell' altro foco? e chi son quei che il fenno?' Ed egli a me: 'Su per le sucide onde 10 Già puoi scorger quello che s' aspetta, Se il fummo del pantan nol ti nasconde.' Lo duca mio discese nella barca, 31 49 52 Benedetta colei che in te s' incinse. Quei fu al mondo persona orgogliosa; 46 Bontà non è che sua memoria fregi : Così s'è l'ombra sua qui furiosa. Quanti si tengon or lassù gran regi, Che qui staranno come porci in brago, Di sè lasciando orribili dispregi!' Ed io: Maestro, molto sarei vago Di vederlo attuffare in questa broda, Prima che noi uscissimo del lago.' Ed egli a me: Avanti che la proda Ti si lasci veder, tu sarai sazio: Di tal disio converrà che tu goda.' Dopo ciò poco vidi quello strazio Far di costui alle fangose genti, Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio, 55 58 63 Tutti gridavano: A Filippo Argenti!' 61 S'appressa la città che ha nome Dite, 68 82 Da' ciel piovuti, che stizzosamente Dicean: Chi è costui, che senza morte Va per lo regno della morta gente?' 94 97 E il savio mio Maestro fece segno Di voler lor parlar segretamente. Allor chiusero un poco il gran disdegno, 88 E disser: Vien tu solo, e quei sen vada, Che si ardito entrò per questo regno. Sol si ritorni per la folle strada: Provi se sa; chè tu qui rimarrai Che gli hai scorta si buia contrada.' Pensa, Lettor, se io mi sconfortai Nel suon delle parole maledette : Ch' io non credetti ritornarci mai. O caro duca mio, che più di sette Volte m' hai sicurtà renduta, e tratto D'alto periglio che incontra mi stette, Non mi lasciar,' diss' io, 'così disfatto: 100 E se 'l passar più oltre c' è negato, Ritroviam l'orme nostre insieme ratto.' E quel signor che li m' avea menato 103 Mi disse: 'Non temer, chè il nostro passo Non ci può torre alcun : da tal n'è dato. Ma qui m' attendi; e lo spirito lasso 106 Conforta e ciba di speranza buona, Ch' io non ti lascerò nel mondo basso." Così sen va, e quivi m' abbandona 100 Lo dolce padre, ed io rimango in forse; Che 'l si e 'l no nel capo mi tenzona. Udir non pote' quel ch' a lor si porse: 112 CANTO NONO. Quel color che viltà di fuor mi pinse, 127 Lo cominciar con l' altro che poi venne, Ver' è ch' altra fiata quaggiù fui, 20 22 Pertrarne un spirto del cerchio di Giuda. Quell' è il più basso loco e il più oscuro, 28 E il più lontan dal ciel che tutto gira: Ben so il cammin: però ti fa sicuro. Questa palude che il gran puzzo spira, 31 Cinge d'intorno la città dolente, U' non potemo entrare omai senz' ira.' Ed altro disse, ma non l' ho a mente; 34 Perrochè l' occhio m' avea tutto tratto Ver l'alta torre alla cima rovente, Dove in un punto furon dritte ratto Tre furie infernal di sangue tinte, Che membra femminili aveano ed atto, E con idre verdissime eran cinte : 37 40 43 46 Serpentelli ceraste avean per crine Onde le fiere tempie eran avvinte. E quei che ben conobbe le meschine Della regina dell' eterno pianto : 'Guarda,' mi disse, 'le feroci Erine, Questa è Megera dal sinistro canto : Quella che piange dal destro è Aletto: Tesifone è nel mezzo:' e tacque a tanto. Con l' unghie si fendea ciascuna il petto; Batteansi a palme e gridavan si alto 50 Ch' io mi strinsi al poeta per sospetto. "Venga Medusa; sì 'l farem di smalto,' 52 Dicevan tutte riguardando in giuso: 'Mal non vengiammo in Teseo l'assalto.' 'Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso; 55 Che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, Gli occhi mi sciolse, e disse: Or drizza il nerbo 73 76 82 Del viso su per quella schiuma antica, Per indi ove quel fummo è più acerbo,' Come le rane innanzi alla nimica Biscia per l'acqua si dileguan tutte, Fin che alla terra ciascuna s' abbica; Vid' io più di mille anime distrutte 79 Fuggir così dinanzi ad un che al passo Passava Stige colle piante asciutte. Dal volto rimovea quell' aer grasso, Menando la sinistra innanzi spesso; E sol di quell' angoscia parea lasso. Ben m' accors' io ch' egli era del ciel messo, 85 E volsimi al Maestro: e quei fe' segno, Ch'io stessi cheto, ed inchinassi ad esso, Ahi quanto mi parea pien di disdegno! 88 Venne alla porta, e con una verghetta L'aperse, che non ebbe alcun ritegno. 'O cacciati del ciel, gente dispetta,' Comincià egli in su l' orribil soglia, 'Ond' esta oltracotanza in voi s' alletta? Perchè ricalcitrate a quella voglia, 91 94 107 E non fe' motto a noi : ma fe' sembiante D'uomo cui altra cura stringa e morda, Che quella di colui che gli è davante. 103 E noi movemmo i piedi in ver la terra, Sicuri appresso le parole sante. Dentro v' entrammo senza alcuna guerra: Ed io, ch' avea di riguardar disio La condizion che tal fortezza serra, Com' io fui dentro, l'occhio intorno invio; E veggio ad ogni man grande campagna Piena di duolo e di tormento rio. Si come ad Arli, ove Rodano stagna, 112 Si com' a Pola presso del Quarnaro, Che Italia chiude e suoi termini bagna, Fanno i sepolcri tutto il loco varo :, 115 Cosi facevan quivi d' ogni parte, Salvo che il modo v' era più amaro; Chè tra gli avelli fiamme erano sparte, 118 Per le quali eran si del tutto accesi, Che ferro più non chiede verun' arte. |