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Cinque volte racceso, e tante casso
Lo lume era di sotto dalla luna,
Poi ch' entrati eravam nell' alto passo,
Quando n' apparve una montagna bruna

Per la distanza, e parvemi alta tanto 134
Quanto veduta non n' aveva alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
Chè dalla nuova terra un turbo nacque,
E percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fe' girar con tutte l' acque, 139
Alla quarta levar la poppa in suso,
E la prora ire in giù, com' altrui piacque,
Infin che il mar fu sopra noi richiuso,' 142

CANTO VENTESIMOSETTIMO.
Già era dritta in su la fiamma e queta,
Per non dir più, e già da noi sen gía
Con la licenza del dolce Poeta;
Quando un' altra, che dietro a lei venia, 4
Ne fece volger gli occhi alla sua cima,
Per un confuso suon che fuor n' uscia.
Come il bue Cicilian che mugghiò prima 7
Col pianto di colui (e ciò fu dritto)
Che l' avea temperato con sua lima,
Mugghiava con la voce dell' afflitto,

Si che, con tutto ch' ei fosse di rame,
Pure e' pareva dal dolor trafitto:

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25

La voce, e che parlavi mo Lombardo, Dicendo: "issa ten va, più non t'adizzo:" Perch'io sia giunto forse alquanto tardo, 22 Non t' incresca restare a parlar meco: Vedi che non incresce a me, ed ardo. Se tu pur mo in questo mondo cieco Caduto sei di quella dolce terra Latina ond' io mia colpa tutta reco, Dimmi se i Romagnuoli han pace o guerra ; Ch' io fui de' monti là intra Urbino 29 E il giogo di che 'l Tever si disserra.' Io era ingiuso ancora attento e chino, 31 Quando il mio Duca mi tentò di costa, Dicendo: 'Parla tu, questi è Latino,'

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61

Non esser duro più ch' altri sia stato, Se il nome tuo nel mondo tegna fronte.' Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato Al modo suo, l' acuta punta mosse Di qua, di là, e poi diè cotal fiato: 'S' io credessi che mia risposta fosse A persona che mai tornasse al mondo, Questa fiamma staria senza più scosse : Ma perocchè giammai di questo fondo 64 Non tornò vivo alcun, s' i' odo il vero, Senza tema d' infamia ti rispondo. Io fui nom d'arme, e poi fui cordelliero, 67 Credendomi, sì cinto, fare ammenda : E certo il creder mio veniva intero, Se non fosse il gran Prete, a cui mal prenda, Che mi rimise nelle prime colpe;

71

E come e quare voglio che m' intenda. Mentre ch' io forma fui d'ossa e di polpe, 73 Che la madre mi diè, l' opere mie Non furon leonine, ma di volpe. Gli accorgimenti e le coperte vie

76

Io seppi tutte; e si menai lor arte, Ch' al fine della terra il suono uscie. Quando mi vidi giunto in quella parte 79 Di mia etade, ove ciascun dovrebbe Calar le vele e raccoglier le sarte, Ciò che pria mi piaceva, allor m' increbbe, E pentuto e confesso mi rendei; 83 Ahi miser lasso! e giovato sarebbe.

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Là 've il tacer mi fu avviso il peggio, E dissi: "Padre, da che tu mi lavi Di quel peccato, ov' io mo cader deggio, 109 Lunga promessa con l' attender corto Ti farà trionfar nell' alto seggio." Francesco venne poi, com' io fui morto, 112 Per me; ma un de' neri Cherubini

Gli disse: "Non portar; non mi far torto.

Venir se ne dee giù tra' miei meschini, 115

Perchè diede il consiglio frodolente, Dal quale in qua stato gli sono a' crini; Ch' assolver non si può chi non si pente, 118 Nè pentere e volere insieme puossi, Per la contradizion che nol consente." O me dolente! come mi riscossi,

121

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Noi passammo oltre, ed io e il Duca mio, 133 Su per lo scoglio infino in sull' altr' arco Che copre il fosso, in che si paga il fio A quei che scommettendo acquistan carco.

CANTO VENTESIMOTTAVO.

+

Chi poria mai pur con parole sciolte
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch' i' ora vidi, per narrar più volte?
Ogni lingua per certo verria meno
Per lo nostro sermone e per la mente,
Ch' hanno a tanto comprender poco seno.
S' ei s' adunasse ancor tutta la gente
Che già in sulla fortunata terra
Di Puglia fu del suo sangue dolente
Per li Troiani, e per la lunga guerra
Che dell' anella fe' si alte spoglie,
Come Livio scrive, che non erra:
Con quella che sentì di colpi doglie

7

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13

Per contrastare a Roberto Guiscardo, E l'altra, il cui ossame ancor s' accoglie A Ceperan, là dove fu bugiardo

10

Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo Ove senz' arme vinse il vecchio Alardo: E qual forato suo membro, e qual mozzo 19 Mostrasse, da equar sarebbe nulla Al modo della nona bolgia sozzo. Già veggia per mezzul perdere o lulla, 22 Com' io vidi un, così non si pertugia, Rotto dal mento infin dove si trulla: Tra le gambe pendevan le minugia; La corata pareva, e il tristo sacco Che merda fa di quel che si trangugia. Mentre che tutto in lui veder m'attacco, 28 Guardommi, e con le man s' aperse il

petto,

25

Dicendo: 'Or vedi come io mi dilacco: Vedi come storpiato è Maometto.

31

Dinanzi a me sen va piangendo Ali Fesso nel volto dal mento al ciuffetto:

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E tutti gli altri che tu vedi qui,

Fur vivi; e però son fessi così. Un diavolo è qua dietro che n' accisma 37 Si crudelmente, al taglio della spada Rimettendo ciascun di questa risma, Quando avem volta la dolente strada; 40 Perocchè le ferite son richiuse

Prima ch' altri dinanzi gli rivada.

Ma tu chi se' che in sullo scoglio muse, 43
Forse per indugiar d' ire alla pena,
Ch' è giudicata in sulle tue accuse?'
'Nè morte il giunse ancor, nè colpa il

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mena,'
Rispose il mio Maestro, a tormentarlo;
'Ma per dar lui esperienza piena,
A me, che morto son, convien menarlo 49
Per lo inferno quaggiù di giro in giro :
E questo è ver così com' io ti parlo.'
Più fur di cento che, quando l'udiro, 52
S'arrestaron nel fosso a riguardarmi,
Per maraviglia obbliando il martiro.
'Or di' a Fra Dolcin dunque che s' armi, 55
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
S' egli non vuol qui tosto seguitarmi,
Si di vivanda che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch' altrimenti acquistar non
lieve.'

Poi che l' un piè per girsene sospese,
Maometto mi disse esta parola,
Indi a partirsi in terra lo distese.
Un altro, che forata avea la gola

58

saria

61

64

E tronco il naso infin sotto le ciglia, E non avea ma' ch' un' orecchia sola, Restato a riguardar per maraviglia 67 Con gli altri, innanzi agli altri aprì la

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Con la lingua tagliata nella strozza, Curio, ch' a dire fu così ardito! 102 Ed un ch' avea l' una e l'altra man mozza, Levando i moncherin per l' aura fosca, Si che il sangue facea la faccia sozza, Gridò: 'Ricordera' ti anche del Mosca, 106 Che dissi, lasso! "Capo ha cosa fatta," Che fu il mal seme per la gente tosca.' Ed io gli aggiunsi: 'E morte di tua schiatta;' 109 Perch' egli accumulando duol con duolo Sen gio come persona trista e matta. Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, E vidi cosa ch' io avrei paura, Senza più prova, di contarla solo; Se non che coscienza mi assicura,

112

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55

Tal era quivi, e tal puzzo n' usciva, Qual suol venir delle marcite membre. Noi discendemmo in sull' ultima riva 52 Del lungo scoglio, pur da man sinistra, Ed allor fu la mia vista più viva Giù ver lo fondo, là 've la ministra Dell' alto Sire, infallibil giustizia, Punisce i falsator che qui registra. Non credo che a veder maggior tristizia 58 Fosse in Egina il popol tutto infermo, Quando fu l' aer si pien di malizia, Che gli animali infino al picciol vermo 61 Cascaron tutti, e poi le genti antiche, Secondo che i poeti hanno per fermo, Si ristorar di seme di formiche;

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Come a scaldar si poggia tegghia a tegghia,

Dal capo al piè di schianze maculati : E non vidi giammai menare stregghia 76 A ragazzo aspettato dal signorso, Nè da colui che mal volentier vegghia; Come ciascun menava spesso il morso 79 Dell' unghie sopra sè per la gran rabbia Del pizzicor, che non ha più soccorso. E si traevan giù l' unghie la scabbia, 82 Come coltel di scardova le scaglie, O d' altro pesce che più larghe l'abbia. 'O tu che colle dita ti dismaglie,' 85 Cominciò il Duca mio all' un di loro, E che fai d' esse tal volta tanaglie, Dinne s' alcun Latino è tra costoro Che son quinc' entro, se l' unghia ti basti

Eternalmente a cotesto lavoro.'

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Che veggendo la moglie con due figli Andar carcata da ciascuna mano, Gridò: Tendiam le reti, sì ch' io pigli 7 La leonessa e i leoncini al varco: ' E poi distese i dispietati artigli, Prendendo l' un che avea nome Learco, 10 E rotollo, e percosselo ad un sasso; E quella s' annegò con l' altro carco. E quando la fortuna volse in basso L'altezza de' Troian che tutto ardiva, Si che insieme col regno il re fu casso; Ecuba trista misera e cattiva,

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Mi disse: 'Quel folletto è Gianni
Schicchi,

E va rabbioso altrui così conciando.'
'O,' diss' io lui, 'se l'altro non ti ficchi 34
Li denti addosso, non ti sia fatica
A dir chi è, pria che di qui si spicchi.'
Ed egli a me: 'Quell'è l' anima antica 37
Di Mirra scellerata, che divenne
Al padre, fuor del dritto amore, amica.
Questa a peccar con esso così venne,
Falsificando sè in altrui forma,
Come l' altro che là sen va sostenne,
Per guadagnar la donna della torma, 43
Falsificare in sè Buoso Donati,

40

Testando, e dando al testamento norma.'

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