130 Cinque volte racceso, e tante casso Per la distanza, e parvemi alta tanto 134 CANTO VENTESIMOSETTIMO. Si che, con tutto ch' ei fosse di rame, 10 25 La voce, e che parlavi mo Lombardo, Dicendo: "issa ten va, più non t'adizzo:" Perch'io sia giunto forse alquanto tardo, 22 Non t' incresca restare a parlar meco: Vedi che non incresce a me, ed ardo. Se tu pur mo in questo mondo cieco Caduto sei di quella dolce terra Latina ond' io mia colpa tutta reco, Dimmi se i Romagnuoli han pace o guerra ; Ch' io fui de' monti là intra Urbino 29 E il giogo di che 'l Tever si disserra.' Io era ingiuso ancora attento e chino, 31 Quando il mio Duca mi tentò di costa, Dicendo: 'Parla tu, questi è Latino,' 59 61 Non esser duro più ch' altri sia stato, Se il nome tuo nel mondo tegna fronte.' Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato Al modo suo, l' acuta punta mosse Di qua, di là, e poi diè cotal fiato: 'S' io credessi che mia risposta fosse A persona che mai tornasse al mondo, Questa fiamma staria senza più scosse : Ma perocchè giammai di questo fondo 64 Non tornò vivo alcun, s' i' odo il vero, Senza tema d' infamia ti rispondo. Io fui nom d'arme, e poi fui cordelliero, 67 Credendomi, sì cinto, fare ammenda : E certo il creder mio veniva intero, Se non fosse il gran Prete, a cui mal prenda, Che mi rimise nelle prime colpe; 71 E come e quare voglio che m' intenda. Mentre ch' io forma fui d'ossa e di polpe, 73 Che la madre mi diè, l' opere mie Non furon leonine, ma di volpe. Gli accorgimenti e le coperte vie 76 Io seppi tutte; e si menai lor arte, Ch' al fine della terra il suono uscie. Quando mi vidi giunto in quella parte 79 Di mia etade, ove ciascun dovrebbe Calar le vele e raccoglier le sarte, Ciò che pria mi piaceva, allor m' increbbe, E pentuto e confesso mi rendei; 83 Ahi miser lasso! e giovato sarebbe. Là 've il tacer mi fu avviso il peggio, E dissi: "Padre, da che tu mi lavi Di quel peccato, ov' io mo cader deggio, 109 Lunga promessa con l' attender corto Ti farà trionfar nell' alto seggio." Francesco venne poi, com' io fui morto, 112 Per me; ma un de' neri Cherubini Gli disse: "Non portar; non mi far torto. Venir se ne dee giù tra' miei meschini, 115 Perchè diede il consiglio frodolente, Dal quale in qua stato gli sono a' crini; Ch' assolver non si può chi non si pente, 118 Nè pentere e volere insieme puossi, Per la contradizion che nol consente." O me dolente! come mi riscossi, 121 Noi passammo oltre, ed io e il Duca mio, 133 Su per lo scoglio infino in sull' altr' arco Che copre il fosso, in che si paga il fio A quei che scommettendo acquistan carco. CANTO VENTESIMOTTAVO. + Chi poria mai pur con parole sciolte 7 13 Per contrastare a Roberto Guiscardo, E l'altra, il cui ossame ancor s' accoglie A Ceperan, là dove fu bugiardo 10 Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo Ove senz' arme vinse il vecchio Alardo: E qual forato suo membro, e qual mozzo 19 Mostrasse, da equar sarebbe nulla Al modo della nona bolgia sozzo. Già veggia per mezzul perdere o lulla, 22 Com' io vidi un, così non si pertugia, Rotto dal mento infin dove si trulla: Tra le gambe pendevan le minugia; La corata pareva, e il tristo sacco Che merda fa di quel che si trangugia. Mentre che tutto in lui veder m'attacco, 28 Guardommi, e con le man s' aperse il petto, 25 Dicendo: 'Or vedi come io mi dilacco: Vedi come storpiato è Maometto. 31 Dinanzi a me sen va piangendo Ali Fesso nel volto dal mento al ciuffetto: E tutti gli altri che tu vedi qui, Fur vivi; e però son fessi così. Un diavolo è qua dietro che n' accisma 37 Si crudelmente, al taglio della spada Rimettendo ciascun di questa risma, Quando avem volta la dolente strada; 40 Perocchè le ferite son richiuse Prima ch' altri dinanzi gli rivada. Ma tu chi se' che in sullo scoglio muse, 43 46 mena,' Poi che l' un piè per girsene sospese, 58 saria 61 64 E tronco il naso infin sotto le ciglia, E non avea ma' ch' un' orecchia sola, Restato a riguardar per maraviglia 67 Con gli altri, innanzi agli altri aprì la Con la lingua tagliata nella strozza, Curio, ch' a dire fu così ardito! 102 Ed un ch' avea l' una e l'altra man mozza, Levando i moncherin per l' aura fosca, Si che il sangue facea la faccia sozza, Gridò: 'Ricordera' ti anche del Mosca, 106 Che dissi, lasso! "Capo ha cosa fatta," Che fu il mal seme per la gente tosca.' Ed io gli aggiunsi: 'E morte di tua schiatta;' 109 Perch' egli accumulando duol con duolo Sen gio come persona trista e matta. Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, E vidi cosa ch' io avrei paura, Senza più prova, di contarla solo; Se non che coscienza mi assicura, 112 115 55 Tal era quivi, e tal puzzo n' usciva, Qual suol venir delle marcite membre. Noi discendemmo in sull' ultima riva 52 Del lungo scoglio, pur da man sinistra, Ed allor fu la mia vista più viva Giù ver lo fondo, là 've la ministra Dell' alto Sire, infallibil giustizia, Punisce i falsator che qui registra. Non credo che a veder maggior tristizia 58 Fosse in Egina il popol tutto infermo, Quando fu l' aer si pien di malizia, Che gli animali infino al picciol vermo 61 Cascaron tutti, e poi le genti antiche, Secondo che i poeti hanno per fermo, Si ristorar di seme di formiche; 64 Come a scaldar si poggia tegghia a tegghia, Dal capo al piè di schianze maculati : E non vidi giammai menare stregghia 76 A ragazzo aspettato dal signorso, Nè da colui che mal volentier vegghia; Come ciascun menava spesso il morso 79 Dell' unghie sopra sè per la gran rabbia Del pizzicor, che non ha più soccorso. E si traevan giù l' unghie la scabbia, 82 Come coltel di scardova le scaglie, O d' altro pesce che più larghe l'abbia. 'O tu che colle dita ti dismaglie,' 85 Cominciò il Duca mio all' un di loro, E che fai d' esse tal volta tanaglie, Dinne s' alcun Latino è tra costoro Che son quinc' entro, se l' unghia ti basti Eternalmente a cotesto lavoro.' 88 Che veggendo la moglie con due figli Andar carcata da ciascuna mano, Gridò: Tendiam le reti, sì ch' io pigli 7 La leonessa e i leoncini al varco: ' E poi distese i dispietati artigli, Prendendo l' un che avea nome Learco, 10 E rotollo, e percosselo ad un sasso; E quella s' annegò con l' altro carco. E quando la fortuna volse in basso L'altezza de' Troian che tutto ardiva, Si che insieme col regno il re fu casso; Ecuba trista misera e cattiva, 13 16 Mi disse: 'Quel folletto è Gianni E va rabbioso altrui così conciando.' 40 Testando, e dando al testamento norma.' |