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sono termini diversi. Come dunque, posta la diversità ed eterogeneità tra eccitazione e sensazione dall'intensità della prima si passa all'intensità della seconda?

Vero è, illustre mio Amico, che cotesti scienziati, con cui noi ci troviamo alle prese, non vogliono saperne della diversità ed eterogeneità che si scorge tra l'eccitazione e la sensazione. Devoti tutti a Bernardino Telesio, per cui la sensazione non è che una conversione del moto (Vedi F. Fiorentino, Bernardino Telesio, ossia Studi storici su l'idea della natura nel risorgimento italiano, Firenze, 1872, vol. I, p. II, c. VI), devoti al patriarca dell'evoluzionismo, Herbert Spencer, secondo cui « les sensations sont les aspects subjectifs des changements qui objectivement sont des pulsations nerveuses », (Presso Fr. Bouillier, La vraie conscience, Paris, 1882, p. 34), insegnano essere la sensazione non altro che un eccitazione trasformata, come opinano che « tutti gli atti interni, i particolari e gli astratti, le volizioni, i sentimenti, l'intelligenza non sono che aspetti trasformati della sensazione» (Buccola, Op. cit. p. 20), e che l'anima è una trasformazione del corpo e della materia, (Ardigò, Opere filosofiche, Mantova, 1882, vol. 1, p. 210). « Gli stimoli di senso sono forme di movimento, che operando sugli apparecchi terminali si trasformano in quello che dicesi eccitamento fisiologico, il quale va a costituire la sensazione » (Buccola, Op. cit. p. 99), a cui consuona il Delboeuf (Op. cit. p. 171-172), Ma io chieggio di sapere da questi dotti chi ha dato loro la facoltà di domandar la sensazione un movimento, un eccitamento trasformato; io bramerei mi dicessero com'è possibile trasferire l'equivalenza e trasformazione delle forze nel campo biologico e zoologico quando profondi filosofi e naturalisti non l'ammettono neppure nel regno inorganico. Vorrei mi dicessero come un fenomeno meccanico, esteriore, transitorio, inorganico, un fenomeno governato con leggi e processi fisico-chimici può convertirsi in un fatto psichico ch'è quanto dire opposto al meccanico, in un fatto vitale, immanente, immateriale com' è la sensazione (Vedi Salis Seewis, Della conoscenza sensitiva, Prato, 1881, p. 514), benchè lo neghi il Moleschott (La circolazione della vita, Trad., sulla 4. ediz. tedesca, del prof. C. Lombroso, Milano, 1870. Lett. XVIIIa, p. 319). Essi non l'han dimostrato, ed ho fede che mai arriveranno a dimostrarlo. Onde l'eterogenia della sensazione rimane sempre un'as

serzione gratuita dei nostri psicofisici. Epperciò, resta indubitato che eccitazione e sensazione sono diversi tra loro ed irreducibili; e quindi l'intensità della seconda non tiene all' intensità dell'eccitazione o stimolo esteriore.

Per misurare una cosa ci vuol l'unità di misura; nel caso nostro volendo misurare l'intensità della sensazione, qual sarà cotesta unità? « La sensation differentielle, c'est-à-dire la plus petite sensation perceptible » risponde Delboeuf (Op cit. p. 8), poichè la sensation, prosegue a dire, ne peut être mesurée que par une sensation » (Ivi p. 124). Or qual'è la sensazione differenziale, la più piccola sensazione percettibile? E la troviamo prescindendo dall'eccitazione questa sensazione differenziale o la deduciamo da da quella? Se la troviamo senza l'eccitazione perchè non desumere allo stesso modo i gradi successivi dell'atto sensitivo senza ricorrere all' intensità dello stimolo esterno? Trovata l'unità di misura come sappiamo noi quando l'unità vien raddoppiata, triplicata, quadruplicata ecc. ossia come sappiamo noi quando è s2, s3, s1, ecc.? Nol sappiamo certo guardando lo stimolo estrinseco perchè questo non ci dà l'unità di misura; nol sappiamo per introspezione ed analisi diretta della sensazione, perchè secondo noi tale osservazione neppur essa ci darebbe la cifra numerica, netta e completamente definita della intensità sensitiva, e secondo i nostri antagonisti questo metodo è chiamato « un inganno continuo» (Buccola, Op. cit. p. 8) e incomunicabili si addomandano i fatti interni. Nè l'osservazione immediata e diretta ci darebbe dunque il grado della sensazione, nè l'osservazione dell'eccitamento. Che se taluno venisse a dire che per unità di misura andrebbe presa la più piccola eccitazione percettibile, potrebbesegli rispondere, che: 1o la più piccola eccitazione percettibile misurerebbe i gradi successivi dello stimolo esterno, mai un fatto di specie diversa; 2° chi sa quale intensità sensitiva corrisponderebbe nel nostro soggetto all'eccitazione differenziale?

Nè l'esperienza e i fatti appoggiano guari cotesti psicometri. Chi non sa che basta sovente uno stimolo piccolissimo per produrre vivissima e intensissima sensazione? Chi non sa che altre volte a fortissime eccitazioni tien dietro debole commovimento sensibile? E che tutto ciò ha molto del relativo e dipende assaissimo dal clima, dal temperamento, dallo stato patologico, dalle condizioni psichiche e organiche del soggetto (Vedi Herzen, Phy

siologie de la volonté, Paris, 1874, chap. VI), dai modificatori biologici, psichici, fisicochimici, patologici, come dice Buccola (Op. cit. c. VI), dalla massa di sensibilità organica, come concede l'istesso Delboeuf (Op. cit. p. 32), dalla massa dei tessuti costituenti i diversi sensi? (Vedi Giovanni Cantoni, Studi su la Filosofia naturale, Pavia, 1865, p. 87.) Il dinamismo sensibile obbedisce certamente ad una legge, ma con tutte quelle eccezioni e restrizioni che reclamano lo stato soggettivo dell'organismo e l'ambiente in cui si vive. In ordine alle esperienze che si dicon fatte per misurare l'intensità delle sensazioni io le credo tanto poco sicure e dimostrative quanto stimo impossibile all'uomo di costringere alle severe leggi del calcolo e della geometria fenomeni che, non essendo nè grandezze nè corpo, si sottraggono ad ogni misura. D'altronde, nè meno gli stessi psicometri sono pienamente contenti degli esperimenti fatti in proposito.

Ma come! potrebbero dire qui i nostri avversari, com'è che voi negate potersi misurare le sensazioni se parlate continuo di sensazioni più o meno forti, più o meno vive, più o meno acute, più o meno avvertite? Adagio un pochino: anche della bellezza diciamo ch'è più o meno grande, anche di un idea affermiamo ch' è più o meno grande; ma che perciò? Diremo dunque che la tal bellezza è di 10 gradi, facciamo esempio, e che la tal' idea è lunga, larga e profonda 20 metri? « Sans doute, une sensation peut être plus ou moins vive, inais cela suffit-il pour que la sensation soit une quantitè? » scrive il Tannery (Presso Delboeuf, op. cit. p. 111). Delboeuf a queste parole soggiunge: « du moment qu' une chose peut être plus ou moins grande, fùt-ce la beauté, füt-ce le plaisir que me cause la vue d'un beau tableau, ou l'audition d'un opéra, fût-ce même le plus ou moins d'obscurité que presente à la pensée un raisonnement métaphysique, ou peut dire de cette chose qu'elle a une grandeur, qu' elle a sa mesure, et elle est mesurable théoriquement» (Op. cit. p. 123). Ma io l' invito a riflettere che il dire più o meno grande, è per approssimazione e non va al di là dell' eguaglianza, della superiorità e della inferiorità. Il Wundt si ostina e scrive: « La sensation a en elle le caractère d'une grandeur, car une sensation peut, comme chacun l'aperçoit dans sa conscience, être plus grande ou moindre qu' une autre. Nous distinguons continuellement des sensations de lumière fortes et faibles, des sensations de bruit fortes

et faibles, etc. Ce fait appartient à l'aperception immédiate; il est au-dessus de toute discussion. La sensation porte, en outre, avec elle le caractère d une grandeur mesurable, car, a) nous sommes capables de determiner avec exactitude si deux sensation qualitativement égales, par exemple deux forces lumineuses, sont ou ne sont pas égales l'une à l'autre; nous avons, par exemple deux forces lumineuses, sont ou ne sont pas égales l'une à l'autre; nous avons, par conséquent, dans notre aperception immédiate une mesure pour l'égalité des sensations; b) nous avons aussi, dans certains cas déterminés, conscience si une sensation a augmenté ou diminué autant qu'une autre. C'est notamment ce qui arrive dans le cas où cette diminution atteint un minimum appréciable de grandeur (eine eben merkliche Grösse). Ces changements d'un minimum appréciable dans les sensations sont nécessairement égaux les uns aux autres en grandeur. Si le changement de l'une ou de l'autre des deux sensations comparées était plus grand ou plus petit que celui de l'autre, il serait par cela même plus grand ou moindre que le minimum appréciable, ce qui serait contraire à la supposition. La sensation a donc completèment le caractère de la grandeur mesurable. » (Presso Delboeuf, Op. cit. p. 130.) Come non s'accorge il nostro psicofisiologo che se diciamo che una sensazione è più o meno grande d' un' altra, se parliamo di sensazioni forti e deboli, se discorriamo di sensazioni eguali e disuguali, e avvertiamo il crescere e il diminuire delle medesime; tutto ciò non esce dai limiti dell'approssimazione e giammai prende abito definito e geometrico? Laonde colle suddette espressioni noi non diamo la misura delle sensazioni, epperciò colle stesse nulla si prova in favore della psicometria. Se i fatti psichici denominiamo coi vocaboli del mondo materiale gli è per la povertà della lingua, anzi, a parlar più vero, gli è per l' indole di nostra natura che sendo costituita d'anima e di corpo, dall'osservazione sensibile trae i termini per esternare i fenomeni psichici.

Ma se i fenomeni morali e psichici, riprende Delboeuf, non si traducono in cifre ed in formole, essi lasciano nello spirito un che di misterioso (Op. cit. p. 118). Lasciano qualche cosa di misterioso, sì, come fatti psichici, ma qual'è quella scienza dell'anima o delle sue funzioni che non presenta misteri? E fuor dell'anima combien reste-t-il, avverte il lodato Tannery, de phénoménes mysterieux et obscurs?» (Presso Delboeuf, Op. cit.

p. 134.) Il corpo e l'organismo ne presentano tanti che in fatto. di fisiologia, organologia, cerebrologia s'è quasi nell'infanzia. (Vedi T. Mamiani, Sulla psicologia e la critica della conoscenza. Lettere al prof. Sebastiano Turbiglio. Roma, 1880, p. 70. Delle questioni sociali e particolarmente dei proletarj e del capitale. Roma, 1882, p. 173. F. Mecacci, Sulla teorica della imputabilità morale nel delitto. Roma, 1882, p. 33, 226-227. Maudsley, Fisiologia e patologia dello spirito, la vers. ital. pel dott. D. Collina. Napoli 1872, p. 7.) Eppure, corpo, organi, cerebro, sistema nervoso e gangliforme sono cose « que tout le monde ou à peu près peut être appelé à le voir et a l'étudier » dètta egli stesso il professore di Liegi (Op. cit. p. 2). Che meraviglia dunque se circa i fatti psichici s'addensino ancor tante tenebre, quando sono incomunicabili all' esterno? Sennonchè, molta parte del mistero ce la mettono essi i nostri psicometri negando il metodo psicologico, l'auto-osservazione, l'analisi soggettiva. I fatti dello spirito vogliono conoscere per benissimo studiando il sistema cerebrale e interrogando le circumvoluzioni, i bugni, le anfrattuosità di quell'organo. Ma, Dio buono! dal corpo non viene che corpo, dal cervello non scaturisce l'anima, e perciò neppur la genuina natura del senso. Nel romanzo storico che Alessandro Dumas intitola Giuseppe Balsamo quando questo personaggio dimanda all' anatomico Marat se trovò mai l'anima nel corpo gli vien risposto: «Io non la vidi mai per entro i corpi che frugai col mio coltello anatomico. » (Capo CV. Il corpo e l'anima. Ediz. Milano, 1882, p. 598.) Che dubbio? Puossi egli trovar l'invisibile e l'immateriale in un soggetto palpabile e corporeo? Se dunque v'è del mistero e delle tenebre nei fenomeni sensitivi, ed essi li studino per quella via che merita, senza ricorrere ad un mezzo apparentemente sicuro, ma che in realtà compromette la natura della sensazione.

Si par dunque chiaro e manifesto, pregiatissimo Filosofo ed Amico, che l'intensità delle sensazioni, ossia il loro grado, non può misurarsi e venir tradotto in cifre ed espressioni geometricamente esatte e definite. Laonde, arbitrario ci sembra il sistema psicometrico che pretende di sostituire tavole numeriche e formole algebriche ai trattati psicologici sin qui in uso. Il che viemmeglio risalta se giriamo l'occhio alla maniera con cui pretendono misurare i gradi della sensitività. Dicono, qualmente abbiamo

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