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di lettere si trova come abbreviatura anche in alcune monete dei Tolomei.

Essendo dunque già conosciuta ed usata questa unione di segni, cosa v'è di più naturale che i cristiani fino dai primi tempi se ne siano serviti per indicare il santo nome di Cristo di cui quelle lettere appunto erano le iniziali?

Si dirà che niuna iscrizione cristiana con data certa ci autorizza a definire con sicurezza una tale questione. Ma si deve osservare che nell' immenso numero di iscrizioni cristiane, quelle fornite di data consolare appartengono quasi esclusivamente al quarto ed al quinto secolo, e che le più antiche conservate nei musei o restate ancora nelle nostre catacombe quasi mai portano la indicazione cronologica; tanto che nella grande raccolta epigrafica del Laterano ordinata magistralmente dal de Rossi, fra le iscrizioni consolari otto solamente appartengono ai primi tre secoli, mentre numerosissime sono quelle dal quarto secolo in poi: e questo fatto si verifica pure costantemente studiando l'immenso materiale epigrafico dei cimiteri cristiani. È quindi evidente che si deve in ciò riconoscere l'effetto di un cambiamento d'uso nello stile epigrafico, che cioè mentre nei primi secoli non vi era generalmente il costume di notare sui sepolcri la data consolare, come vediamo anche nei monumenti pagani, dal quarto in poi e specialmente dal principio della pace della Chiesa, questa indicazione cronologica prima assai rara, divenne abbastanza frequente.

Stando le cose in tal modo non deve formarci difficoltà se non abbiamo trovato fino ad ora il monogramma sopra iscrizioni con data consolare anteriore a Costantino, perchè essendo esse in piccolissimo numero, sarebbe questo un caso di coincidenza fortuita la cui mancanza non può far legge.

Nè può recarsi in campo per impugnare questa tesi la grande frequenza del monogramma nelle iscrizioni certamente del quarto secolo, perchè niuno ha mai negato che dopo l'uso fatto di questo segno dal primo imperatore cristiano, esso sia divenuto solenne e frequentissimo nei monumenti.

battuta nella zecca di Aquileja, appartenente alla collezione del chiarissimo P. Garrucci, e pubblicata da questo illustre archeologo nella sua Storia dell'arte cristiana, tomo VI, tav. 481.

La questione è se desso sia stato o no adoperato dai fedeli prima di Costantino, e, come ho già detto, oramai ciò si ammette generalmente dagli archeologi, ed il de Rossi ed il Garrucci con la loro autorità hanno dato gran peso a siffatta sentenza.

Se però una tale questione è risoluta in teoria, a me sembra che si manchi da alcuni archeologi nella prattica applicazione di questo principio: giacchè spesso avviene che trovandosi una iscrizione o un monumento qualsiasi insignito del monogramma, appunto perciò si giudica posteriore a Costantino. E procedendo in tal guisa non si troverà mai certamente un monogramma del secolo terzo: perchè nelle iscrizioni consolari di quel secolo difficilmente lo troveremo essendo rarissime, e quelli stessi che talvolta ci si presentano, e che potrebbero appartenere a quel tempo, sono invece per una tendenza preconcetta giudicati dell'epoca della pace. A me pare quindi che dovremmo levarci dall'animo questo pregiudizio, e procedere con più franchezza nel riconoscere che molte iscrizioni col monogramma appartengono al terzo secolo, come lo indica talora o la paleografia o lo stile, e specialmente quelle dove il monogramma è adoperato quale compendium scripturae, come ha insegnato il de Rossi. (1)

E a questa classe io giudico appartenere la iscrizione del catecumeno Vittore che ho qui pubblicato. Essa infatti è scritta in greco, ciò che è già un indizio di antichità, sapendosi che le iscrizioni greche divengono tanto più rare quanto più ci allontaniamo dai primi tre secoli; oltre a ciò il monogramma vi è posto come vera abbreviazione del nome di Cristo (Iɛgov Xpioτov), abbreviazione naturalissima e consentanea al greco dettato della epigrafe. Di più lo stile è semplice e laconico quale usavasi nei tempi anteriori alla pace, e vi manca la indicazione del giorno della morte, o la xaranais o depositio che diviene frequentissima nel quarto secolo. Io infine sono fermamente convinto, anche per la paleografia di questa iscrizione, che essa appartiene

(1) Tali sarebbero, per citare alcuni esempi, la iscrizione di « Eutichianus Dei Servus IXOYC » (Mamachi Origines IV, p. 11) e quella del cimitero di Callisto « Vincentia in petas pro Phebe ecc. Cosi pure l'altra << Deo Sancto uni» (Mamachi Origines III. p. 18), ed una greca bellissima pubblicata dal ch. Armellini nella Cripta di s. Emerenziana, p. 102.

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224 senza dubbio al terzo secolo della Chiesa, cioè al tempo in cui cominciarono ad aggrupparsi numerose tombe cristiane intorno ai sepolcri dei due invitti martiri della via Tiburtina, Lorenzo ed Ippolito. E se molte iscrizioni senza data consolare si attribuiscono tuttavia con certezza al secondo o al terzo secolo per i loro caratteri intrinseci, e se ne deducono importanti conseguenze da tutti accettate, non so perchè la difficoltà di giudicare una iscrizione debba nascere proprio allora che vi si trova il monogramma. Le regole epigrafiche riconosciute vere dall'esperienza devono essere applicate ugualmente in tutti i casi, e da queste possiamo avere la stessa certezza che ci potrebbe dare la data cronologica. Io perciò per le ragioni che ho esposto addito francamente in questa pregevole iscrizione uno degli esempi non rarissimi, ma neppure frequenti, del monogramma di Cristo adoperato prima di Costantino: esempio forse più eloquente ed istruttivo di parecchi altri che se ne potrebbero addurre, perchè in esso appariscono a mio parere caratteri più sicuri di antichità.

DI UNA PREGEVOLE ED INEDITA ISCRIZIONE CRISTIANA

E per siffatto particolare acquistando non comune importanza cotesto marmo, esso meriterebbe di venir conservato nel Museo lateranense dove si trova la più preziosa raccolta di cristiana epigrafia, ovvero nella cripta di s. Ippolito or ora scoperta, che sta a pochi passi dalla vigna Vannutelli, e al cui cimitero probabilmente appartenne; tanto più che questa grandiosa cripta è già adorna nelle sue pareti di altre pregevoli iscrizioni locali.

È perciò da sperarsi che la cara epigrafe del nostro Vittore non vada lungi da Roma ad arricchire qualche straniera collezione, come spesso avviene, ma che si provveda da coloro cui spetta affinchè essa sia collocata in uno dei due luoghi che ho indicato, dove starebbe nella sede sua naturale, ed esposta perpetuamente allo studio di tutti.

Roma, 25 luglio 1883.

O. MARUCCHI.

STUDI STORICI SUL REGNO DI S. PIO V.

(Continuazione: v. A. VI, vol. I, fasc. VI, pag. 793-807.)

CAPITOLO VIII.

La Polonia.

Si correva gran pericolo, scrive il biografo di Pio V, Maffei, di vedere in Polonia rinnovato quel che accadde in Inghilterra, la separazione cioè di questo stato dalla chiesa Romana (1) per causa delle libidini smodate del suo re Sigismondo II Augusto, che succedette nel trono al padre ancor vivente, per eccezione fatta alla legge fondamentale di Polonia.

« Senza il consenso degli Stati re Sigismondo sposò Barbara Radzvi stata moglie d'un semplice gentiluomo, e, lei morta, chiese ed ottenne la mano di Caterina d'Austria vedova del duca di Mantova. Sul principio tutto andò bene, egli era contentissimo delle eccellenti qualità della regina; ma ben presto l'armonia fu turbata, all'amore subentrò l'in

(1) Maffei, Vita di Pio V, pag. 190.

A. VI. V. II.

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differenza, e dopo di averla relegata a Radom e di averle negato quei trattamenti convenienti al suo grado, il suo balzano cervello gli suggerì di far divorzio da lei. I pretesti che allegava per venire a questo gravissimo passo, si erano la sterilità della principessa, e l'incesto di cui si pretendeva colpevole perchè la regina era sua cognata ». Egli fingeva, scrive il De Solignac, che la dispensa della corte di Roma, non poteva calmare i suoi rimorsi, affettava di stimare più di lei la purità delle sue leggi, e perciò domandava di spezzare un legame che tanto lo opprimeva!

Queste si erano le scuse; ma il vero motivo, soggiunge lo storico, che gl'ispirava un cotal modo di procedere erano le passioni che mai aveva saputo dominare; erano gli amori falsi e frivoli, a cui si era abbandonato completamente, che non gli permettevano più di aver riguardi e compiacenze per la regina. (1)

A rimuoverlo dal concepito disegno non valsero le istanze, e le minacce di Cesare, non le rimostranze degli ambasciatori, e siccome il male andava sempre più aggravando anche per causa degli adulatori che, peste di tutte le corti, soffiavano nel fuoco, così il nostro Pio V, si credette in dovere d'impiegare ogni maggiore sollecitudine per spegnere cotali ardori.

Come preliminare scrisse al re un Breve, in cui gli diceva che la sua risoluzione non poteva essergli stata inspirata che dagli eretici i quali non avevano altro scopo che di indurlo a separarsi dalla comunione di Roma, perchè ella non avrebbe mai potuto tollerare un divorzio illegittimo e la violazione del vincolo sacramentale.

Soggiunse il Pontefice che la nascita di un successore alla corona dipendeva unicamente dalla divina

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(1) De Solignac, Hist. générale de Pologne, tom. V, pagg. 89-90.

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