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Fin dall' inverno (1572) egli aveva sofferto dolori acutissimi alla vescica, a cagione della pietra, e non avendo voluto sottoporsi all' operazione, il male andò sempre aumentando. E siccome le sue forze diminuivano a vista d'occhio, così il maestro di casa credette opportuno di mescolare nella minestra di legumi un poco di brodo: ma accortosi della frode: « amico, gli disse dolcemente, volete voi dunque che per sì poco che ho da vivere, io trasgredisca le leggi che ho sempre professato ed osservato inviolabilmente durante cinquantatre anni? »

Quando le crudeli sofferenze della pietra gli crescevano oltre misura, il santo vegliardo alzava gli occhi al cielo esclamando: Domine adauge dolores, sed auge etiam patientiam; -- Signore! aumentate il male, ma accrescete altresì la pazienza.

Tuttavolta per non allarmare il popolo, che già si mostrava addoloratissimo prevedendo la prossima sua fine, con uno sforzo sovrumano volle benedirlo dalla loggia di s. Pietro, e sentendosi alquanto rinascere le forze annunciò l'intenzione di fare a piedi la stazione delle sette chiese. I suoi famigliari cercarono di rimuovere la sua volontà; ma invano! Egli si pose in cammino sostenuto sotto le braccia e tutti credettero che dovesse morire per istrada. Pertanto come Dio volle arrivò a s. Giovanni in Laterano, ove fu scongiurato di differire all' indomani il resto del suo pellegrinaggio; ma egli rivolti gli occhi al cielo rispose : « Colui che ha fatto tutto per sua grazia, compirà egli stesso opera sua » e così dicendo arrivò alla Scala Santa, l'ultimo gradino della quale baciò tre volte per prendere congedo da quel luogo. Quivi si fermò ad ascoltare diversi Inglesi sfuggiti dalle unghie di Elisabetta, gli accolse con grande bontà, promise loro di aiutarli ed emettendo un profondo sospiro: Mio Dio, disse egli, voi sapete se io sono

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stato sempre pronto a spargere il mio sangue per quella nazione! »

Più si avvicinava il momento supremo, e più la serenità cresceva nel suo volto: la mattina del 30 aprile annunciò a tutti che le ore di sua esistenza erano ormai contate, e pregò il Vescovo di Segni, prefetto della sua cappella, di somministrargli l'estrema unzione; il viatico già lo aveva ricevuto.

Compiuta la ceremonia volle avere presso di sè i cardinali più influenti e pieno di coraggio, indirizzò loro le seguenti parole: «Se avete amato la mia vita mortale ricolma d'una quantità di miseria, dovete molto più amare quella vita immortale e felicissima, di cui per la misericordia del mio Dio, spero bentosto di godere nel cielo. Voi non ignorate che il mio più grande desiderio, sarebbe stato di vedere abbattere l'impero degl' infedeli: ma poichè i miei peccati ed i miei delitti mi hanno reso indegno di gustare la soddisfazione di vedere un così bel giorno, adoro la profondità dei giudizî di Dio. Sia fatta la sua volontà, mi riconosco indegno di questa grazia! Non mi resta dunque che di raccomandarvi con tutta l'anima questa Chiesa che Dio aveva affidato alla mia custodia. Fate ogni sforzo per eleggermi un successore pieno di zelo della gloria di Dio, che non sia attaccato a nessun altro interesse di questo mondo e che non cerchi se non il bene della cristianità.» (1)

Lo sforzo fatto per pronunciare queste parole lo fece cadere sfinito sul letto di morte: da questo momento, tenendo fisso sempre lo sguardo al cielo, recitò continuamente

(1) De Falloux, Hist. de St. Pie V.

orazioni, e terminato che ebbe questo passo di uno dei

vesperi pasquali

Quaesumus Auctor omnium,

In hoc paschali gaudio

Ab omni mortis impetu
Tuum defende populum

rese la sua candida anima al Creatore.

Era il 1° maggio 1572: aveva 68 anni di età e ne aveva regnato sei, tre mesi e ventitre giorni.

« La sua perdita, scrive il protestante Ranke, fu immediatamente sentita, ed in un modo, che il Pontefice non vi avrebbe mai pensato: egli aveva costituito una vigorosa unità, e lasciava dopo di lui una potenza organizzata per mantenere la direzione impressa al mondo cattolico » (1) Roma, 25 ottobre 1883.

V. DE BROGNÒLI.

(1) Ranke, op. cit. vol. II, pag. 178.

GLI ODIERNI SCAVI

FRA

IL PALATINO ED IL FORO

Eseguendosi in questi giorni grandiose escavazioni sotto il Palatino nella parte prospiciente verso il Foro romano, non sarà inutile richiamare l'attenzione dei lettori sulla importanza di questa località, e dir qualche cosa del risultato già ottenuto dai presenti scavi e di ciò che possiamo sperare dalla loro continuazione.

Il Palatino, che dallo stesso Romolo fu circondato di mura, costituì la primitiva città dei Ramnensi incontro al colle Saturnio, abitato già dai Sabini, e presso gli altri castelli fortificati del settimonzio. Il recinto della Roma quadrata, in parte ancora visibile, circuiva il Palatino, e da Tacito conosciamo l'andamento preciso del suo esterno pomerio, il quale partendo dal Foro boario passava nella valle Murcia presso l'Ara di Conso, e toccando le Curie vecchie ed il Sacello dei Lari finiva poi nel Foro romano. (1) Nelle mura si aprivano quattro porte, delle quali si può riconoscere ancora la posizione: ma solamente di due fra queste ci è pervenuto il nome, cioè la Mugonia e la Romana. Quest'ul tima sembra che si chiamasse così dal Rumon, cioè dal fiume cui conduceva, e però il suo nome era equivalente a quello di Porta del fiume, (2) e l'altra derivò forse la sua appellazione dal mu

(1) Annal. XII, 24.

(2) V. Guidi, Bull. archeol. comunale, Aprile-giugno 1881.

gito dei buoi che vi passavano sotto rientrando nel chiuso, ed era perciò un ricordo dei tempi primitivi allorchè il Palatium formava l'ovile fortificato dei pastori albani.

La porta romana essendo indicata dagli scrittori come posta sopra la Via nuova e nel basso del Clivo della Vittoria, dovea stare nella punta del Palatino che guarda verso il Velabro: e la Mugonia da molti e sicuri indizî vien collocata in quell' altura che domina l'arco di Tito, e quasi di fronte alla strada moderna di s. Bonaventura. Delle altre due che fino ad ora restano anonime, rimangono tracce nell' altro versante del monte, e di una fra queste si riconosce ancora l'antico accesso fra le sporgenze delle mura romulee.

Il Palatino, che ricordava le origini della città, conteneva pure insigni monumenti religiosi, come il tempio di Giove Statore eretto da Romolo dopo la pace stabilita con i Sabini, il tempio della Vittoria che dava il nome ad una delle sue strade, il santuario di Cibele contenente la sacra pietra portata da Pessinunte, due edifizì sacri a Giove, il gran tempio di Apollo, ed infine il sacello di Romolo presso il luogo ove si credeva fosse il tugurio di Faustolo. Questo monte fin dai tempi della repubblica fu un centro di nobili abitazioni, e vi dimorarono illustri personaggi, come Q. Lutazio Catulo vincitore dei Cimbri, Cicerone ed Ortensio, e i due facinorosi Catilina e Clodio.

Nella casa d'Ortensio abitò prima modestamente Augusto, (1) ma poi, desideroso di fissare stabilmente la residenza imperiale nel luogo stesso dove avea dimorato il fondatore della città, ingrandi quella casa ed aggiunte che vi ebbe le altre contigue diè origine alla Domus augustana. Questo primo nucleo dell'immenso Palazzo cesareo fu ampliato dai successori di Augusto, e così la principesca dimora occupò pian piano quasi tutto il monte, restando le stesse pubbliche strade racchiuse entro le sue immense sostruzioni.

La parte del Palatino ove oggi si eseguiscono gli scavi è quella che guarda direttamente verso il Foro, e perciò la precisa località ove estendevasi la parte del palazzo aggiunta da Caligola alle case di Tiberio e di Augusto. Questa porzione del palazzo ha poi un' importanza speciale per lo studio della urbana

(1) Sveton. in Aug. 72.

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