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sima Flavia Publicia, alla quale appartiene una di quelle tre.

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Fu posta dunque da due centurioni, i quali per l'influenza della Vestale aveano ottenuto tale dignità, e quantunque non abbia la data consolare deve certamente appartenere alla seconda metà del terzo secolo dell'èra nostra per il confronto delle altre.

È poi molto probabile che discoperto intieramente l'atrio molte altre di queste basi ci saranno restituite.

Nel magnifico edifizio ora scoperto furono trovati numerosi frammenti di marmi nobilissimi, un busto di Annio Vero, e molte iscrizioni le quali però non si riferivano alle Vestali ed erano venute chi sa come in quel luogo. Una però ne ho trovato io stesso frugando fra le macerie e gli scarichi, e che sembra appartenente ad un' altra Vestale Massima, ma ne resta solo questo meschino frammento:

CIA(Publicia?)

(v)V
(maxi)MA

Abolito il culto di Vesta e sciolto il sacro suo sodalizio, questo luogo fu occupato forse da private dimore, e chi sa a quanti usi

(1) Centuriones deputati, cioè designati.

(2) Grati posuerunt.

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GLI ODIERNI SCAVI FRA IL PALATINO ED IL FORO

diversi fu destinato col volgere dei secoli fino al suo interrimento. È certo che nel medio evo era ancor frequentato, giacchè vi fu rinvenuto un tesoretto di monete di quell' epoca, spettanti in gran parte a re Anglo-Sassoni, una fibula recante il nome del Papa Marino II (962-946), ed un bollo che sembra del pontefice Giovanni VII, cioè dei primi anni dell'ottavo secolo.

L'abbandono totale di questi luoghi, come di tanti altri monumenti, deve essere avvenuto dopo la grande distruzione di Roberto Guiscardo (a. 1084), e d'allora in poi le rovine, le terre, e le posteriori costruzioni hanno intieramente nascosto gli antichi edifizî che oggi con plauso di tutti rivedono la luce.

Dopo tutto ciò sarebbe inutile spender parole per dimostrare la somma importanza di queste escavazioni, e l'opportunità loro per completare il grandioso sterro del Foro romano con le sue adiacenze. Chiunque pertanto ama le nostre classiche antichità e desidera che i nostri insigni monumenti siano sempre più conosciuti, deve rallegrarsi di questi scavi e lodarne lo zelo infaticabile del ministro Baccelli, il quale in mezzo a mille ostacoli ha saputo ideare ed intraprendere il colossale lavoro. Ma giacchè egli tanto ha fatto fin qui, compia l'opera con animo coraggioso, e restituito intieramente il monumentale gruppo di Vesta, torni a rivolgere la sua attenzione al Foro, e distrutte quelle ignobili casipole che ne cuoprono il lato settentrionale fra la chiesa di s. Adriano ed il tempio di Antonino e Faustina, restituisca alla pubblica ammirazione le venerande rovine che devono occultarsi sotto quelle moderne costruzioni. Allora si che potremo contemplare tutto il complesso dei grandiosi monumenti che adornavano il massimo Foro di Roma, e discesi dal Palatino e percorso l'atrio di Vesta e la Basilica Giulia, potremo pure aggirarci fra le arcuazioni della Basilica Emilia, e contemplare il basamento del famoso tempio di Giano segnale di pace e di guerra, e l'area sacrosanta del comizio, e le mura di quella Curia dove i nostri padri dettarono leggi al mondo intiero.

Roma, 10 novembre 1883.

O. MARUCCHI.

RIVISTA BIBLIOGRAFICA

Armellini Mariano. Lezioni popolari di archeologia cristiana. — Roma per cura della Voce della verità, 1883.

Il cimitero di s. Agnese, le Catacombe romane, la scoperta della cripta di s. Emerenziana ed altre opere non meno erudite che importanti hanno fatto annoverare il sig. Armellini tra i più reputati archeologi di Roma. Con questa novella pubblicazione un altro titolo egli si è acquistato alla bella fama di cui meritamente gode.

Il ch. autore dopo averci dato alcuni cenni preliminari di questa scienza nobilissima, ch'è l'archeologia, giovandosi specialmente dell'autorità d'un illustre archeologo francese, il Martigny, viene a discorrere delle fonti principali per lo studio dell'antichità cristiana, e dandoci rapide, ma esatte notizie sopra i grandi Padri e Dottori dei primi secoli, fa campeggiare le figure di s. Clemente romano, di Erma, di Dionigi l'Areopagita, di Papia, di s. Giustino e così giù giù fino a Minucio Felice, a L. Firmiano Lattanzio, ad Eusebio. E non trascurando quanti altri sussidî possono venirgli d'altronde, ci dà notizia dei celebri filosofumeni, libro scoperto nel 1842 in uno dei cenobî del monte Athos, degli Atti dei martiri, degli antichi martirologî, de' calendarî, de' libri liturgici, del catalogo filocaliano e da ultimo del libro pontificale.

Apertasi in tal modo la strada con averci schierato innanzi agli occhi, dirò così, i documenti che per un archeologo cristiano sono la prima e indispensabile fonte di ogni suo sapere, il sig. Armellini passa alla seconda parte, dove si diffonde a discorrere degli usi e monumenti cristiani dei primi tre secoli. Qui è dove risplende in modo specialc la valentia dello scrittore. Quando si scrive pel popolo due sono li scogli, contro i quali urtano e si frangono non di rado anche gl'ingegni più eletti: o dir troppo o troppo poco. Il sig. Armellini ha evitato l'uno e l'altro: in lui c'è sobrietà, ma non scarsezza, c'è misura, ma non difetto, e, quel che più monta, il tutto è con tanta lucidezza 39

A. VI. V. II.

d'espressione ed ordine di cose e varietà d'idee, che anche i più profani rimangono allettati, e non possono staccarsi facilmente dal libro. In questa parte si discorre della diffusione del cristianesimo in Roma, e ci fa vedere, giovandosi eziandio di documenti recentissimi, quanti illustri personaggi vi appartenessero fin dal primo secolo. << Non appena però rafforzata e di tenero virgulto divenuto albero poderoso › (pag. 87), la Chiesa va soggetta a contraddizioni d'ogni fatta, alle più nere calunnie, a orribili persecuzioni. Ed ecco il sig. Armellini è portato dalla natura stessa delle cose a ragionarci dei martiri, dei confessori, dei lapsi, dei libelli, delle indulgenze. Fattaci quindi la storia dei rapporti della chiesa colla società civile, della gerarchia ecclesiastica, dei servi e liberi, della liturgia, della lingua, delle vesti, della disciplina, dell' arcano, del battesimo, della liturgia funebre delle catacombe, chiude il volume con un lungo capitolo sulla pittura, scultura ed epigrafia cristiana.

Io ho accumulato i titoli delle materie, e neppure gli ho nominati tutti; ma anche da questi rapidissimi cenni si può arguire la ricchezza delle notizie onde il libro è prezioso.

Quantunque tutto il volume non meriti che lodi, pure una cosa, a mio avviso, va particolarmente encomiata, ed è che lo scrittore dà saggio d' una imparzialità poco comune. Pur troppo, per mal inteso zelo o per poco discernimento o per qualsiasi altra ragione, al vero soventi volte si accoppia il falso, il dubbio si difende o si combatte come certo, alla storia si sostituisce la leggenda. Ma l'Armellini, mercè i suoi studî larghi e ben addentro com'è nei progressi che fa ogni giorno più l'archeologia il cui studio a' giorni nostri non è più una sterile erudizione (come ben dice il ch. Autore) nè mero pascolo di cristiana pietà, ma è divenuto un corpo di scienza, usando di sana critica e col suo fine criterio rifiutando il falso, ondechessia venuto, ben mostra ch' egli non ha di mira che la verità, nient'altro che la verità.

Noi plaudiamo di cuore al sig. Armellini, e facciamo voto che il suo libro abbia la più larga diffusione, trovandosi in esso aggruppate in bell'ordine tante nozioni quante appena si è fatto rinvenire in grossi volumi, e quante sono più che sufficienti perchè si abbiano idee nette e ben distinte dell'Archeologia cristiana.

A. A.

Brunelli Geremia, Franciscalia, prose e versi.

i fratelli Bracali, 1883.

Pistoia, presso

La triste fungaja di poesie bolse, sbilenche, sgrammaticate, che in questi ultimi tempi hanno miseramente ammorbato il nostro bel paese

quanto è lungo è largo, ha messo nella più parte delle persone colte tal nausea, che al sol vedere un libriccino di versi ti senti costretto come per istinto a volger gli occhi altrove e quasi a turarti le nari, come ti fosse capitato innanzi fango o cancrena; peggio poi se il libriccino sia smagliante di colori e strano di rabeschi, e mostri in capo un titolo studiosamente pedantesco o fantastico; segno allora pressochè certo esser il più delle volte la merce che ti si vuol vendere, non pur avariata, ma forse putrida affatto e pestilenziale. Non è così del volumetto che annunziamo, pubblicato dall' egregio prof. d. Geremia Brunelli. Quantunque pur esso abbia i suoi lenocinî dell'arte tipografica, come e quanto tutta quella miriade di libricciattoli che vorrebbero coprire le miserie e le vergogne loro con quel po' di vernice e di orpello, ti senti nondimeno rassicurato subito dal titolo, benchè bizzarretto pur esso la parte sua, e dal nome dell' autore, già chiaro per altri lavori, ma in ispecie per averci data la più bella traduzione delle classiche poesie del sommo pontefice Leone XIII; traduzione che al Brunelli fruttò il premio bandito dall'Unità cattolica.

Innanzi tutto va data lode all'autore, perchè non usa metri barbari, ai quali, checchè altri voglia dire, mal sa assuefarsi l'armonico orecchio italiano. Il primo componimento è un carme genetliaco, che ti richiama a memoria le più care ballate ed i più dolci canti d'amore de' nostri grandi poeti.

Dammi, dammi la mandòla,

O valletto, e il mio liuto;

Della gioia la parola

Vo' cantarvi e il mio saluto:

Tutt' Ascesi è in festa, e anch'io

Vo' cantare un verso mio.

Canta e suona a tutte l'ore

Il ramingo trovatore.

Oggi è nato un bel bambino
Alla donna del mercante;
Sembra agli occhi un serafino,

Sembra un angiolo al sembiante;
Dicon tutti un gran portento
Del bambino il nascimento.

Porgi, porgi a me i liuto,
Vo' cantarvi il mio saluto.

E così con questa melodia di versi va innanzi per lungo tratto, senza mai cadere in bassezze, o dare nel manierato, il che è tanto facile a chi tratta tal sorta di composizioni.

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