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qut & priores multo fuerunt, & ante natum Philosophiae nomen pro sapientibus habebantur.

Di qui è che il Sig. Biagio Garofalo nelle sue dotte considerazioni intorno alla Poesia de gli Ebrei e de' Greci, ed il Sig. Marchese Gioseffo Gorini nel suo Teatro Tragico riflettono assai bene, che l'idea della Poesia non consiste mica, come tanti hanno creduto, e credono tuttavia, in rappresentare il finto sotto sembianza del vero, o nel tesser versi numerosi ed armonici per dilettare i sensi, e cattar plauso da coloro, che si appagano del superficial delle cose; ma nella vera Sapienza, cioè nell'insegnare la retta maniera di vivere, gli onesti costumi e civili, e le massime della più purgata Filosofia, su questi fondamenti ella dee chiamarsi arte la più bella e la più utile dell'uom ragionevole, che sia stata inventată. Anzi si può ben dire, ch'ella tanto le altre scienze sopravanzi in eccellenza, quanto è più grave la maniera, con che ci fa comprendere il vero, ed amare il buono. Le altre scienze hanno sempre molto d'austero ne' loro precetti, e pochi però son quelli, che vogliano faticare per conquistarle; laddove la Poesia, che al dire di Polidoro Virgilio (a), quasi tutte in sè le contiene, insinuandosi colle sue favolette, colla soavità del verso, e colla viva imitazion del costume, alletta gli animi, gl'innamora, gl'incatena per modo che soavemente li costringe ad ap prendere senza fatica, e quasi scherzando, la forza della verità, ed a sottomettersi più facilmente e di genio alle leggi del gusto: ondè che le città della Grecia insegnavano alla Gioventù prima d' ogn'altra cosa la Poesia, e Pericle, al riferir di Suida e di Aristofane, instituì, che poste in versi le leggi della Patria, al

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Popolo si cantassero; sicuri di promuoverne per questa via infallibilmente l'osservanza.

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Quindi da tutto ciò che veniam pur ora di dire, chiaramente si scorge, che la Poesia es sendo arte antichissima ed eccellente, e dovendo, come tale, a qualche onesto giovamento e comodo della vita umana determinarsi, necessariamente aver debbe per fine non tanto il

dilettare, quanto l'instruire, vendosi, dicia-,

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mo così, della dilettazione, che in ogni sua composizione ella intende, per insinuare più pianamente negli animi altrui i suoi insegnamenti; ond'è che Giulio Cesare Scaligero (a) conformandosi alla definizione, che nella sua Etica assegna all'arte, Aristotele disse, che Poeta enim docet, non solum deledat, ut quidam arbitratur.

E posto ciò, uomini del tutto ignoranti del pubblico bene nimici, e simili in ciò spezialmente ad Epicuro, convien che sieno coloro, ch'una sì bell'arte dispregiano, e poco men che non dissi, la vorrebbono sbandeggiata dal Mondo. Credono essi ch'ella oltre all' essere affatto inutile, renda disadatto all' esercizio delle arti, e de'carichi della Repubblica chi la possiede: quasi che non si possa esser buon Medico, buon Avvocato, buon Oratore, buon Po litico, ed essere a un tempo stesso Poeta. Ma per chiarirsi subito d'una tal falsità, basta rivolgere alquanto in dietro lo sguardo Dante il Petrarca, il Filicaja, il Redi, il Lemene il Maggi, ed innumerabili altri, non furono tutti insigni Poeti Eppure non sostennero, eglino con somma gloria del loro nome, e vantaggio de' popoli, altri le prime cariche della Repub blica, altri solennissime Ambascerie, altri la

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Porpora ne' Senati, altri il Magistero nelle U niversità, illustrando le Matematiche e la Me dicina, ed altri finalmente i Politici maneggi della lor Patria?

Io so troppo bene esser avvenuto più volte che persone dotte e di conto abbiano anch'esse malmenata ne' loro scritti la Poesia; ma se ben si guarda, non biasimarono eglino Parte) poetica, ma bensì que' poeti, che di si lodevo le facoltà non ne seppero fare ch'un uso cattivo; e ciò in due modi: quando essi dandosi temerariamente a credere di sapere una tal ar te, che di fatto non sanno, la maneggiano male; locchè viene da ignoranza: ovvero, quando essendone o non essendone pratici, a reo e nequitoso fine studiosamente la torcono, e la indrizzano; locchè da malvagità si deriva. Ma questa è disavventura, che non solo alla Poe sia, ma a qualunque più santa facoltà e scienza può accadere; non essendo maraviglia, che le acque tuttoche chiare, se passano per un canale fangoso diventino anch'esse torbide e listate di fango, e per questo Boezio nell' aureo suo libro de Consolatione Philos. asserisce esservi due sorte di Muse, l'une chiamate Poetiche, e Paltre Filosofiche. Le prime sono quelle che, egli appella Scenicas meretriculas le quali coloro lascivi canti ingenerano, e fonientano ne cuori umani le passioni, e gli affetti più sregolati, e tanto non si studiano di corregger li, che anzi il più delle volte insegnano altrui il male, il quale tanto più facilmente nell' uman cuore s'insinua, quanto è più esatta e lusinghes vole la descrizione, che glielo, pone dinanzi agli occhi. Hæc sunt come soggiunge lo stes so Boezio, quæ infructuosis affectum spinis uberem fructibus rationis segetem necant hominumque mentes assuefaciunt morbo, non liberant. Queste sono quelle Muse, che scacciò della sua Città il divino Platone: a Platone, ce ne

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fa fede il gran Tullio (a), educuntur Poetæ ex ena Civitate quam finxit ille, cum mores opti- · mos & optimum Reipubblica statum exquireret. Le Filosofiche sono quelle che l'intelletto istruiscono e migliorano il costume, e di queste favellando Platone chiamolle Divinum Genus. Sicchè chiaro si vede, che la Poesia, se viene adoperata con quel fine pel quale è stata instituíta, è la più bella, la più eccellente, la più lodevole facoltà, nella quale esercitandosi l'umano ingegno è sicuro di partorire a sè onore e gloria, e agli altri giovamento e diletto.

Quattro sono, come insegna Aristotele nel principio della sua Poetica, le spezie di Poesia cioè Epopeja, Tragedia, Commedia, e Ditirambica quest'ultima abbraccia tutta la Lirica, la quale per avviso dello stesso Filosofo fu la prima a porsi in uso dagli uomini, i qua li cominciando a cantare le virtuose azioni degli Eroi, e le lodi di Dio, diedero a questa s mirabil arte principio. Il Sonetto adunque che noi spezialmente in questa Dissertazione ci siamo presi a considerare, si contiene sotto la Lirica, ed è, giusta il comune sentimento de' Letterati, il più vago e leggiadro Componimento, che vanti la nostra Lingua Toscana. Si chiama Sonetto, quasi volessimo dir piccol suono, o sia piccola Composizione, come tra gli altri ce lo afferma e il Trissino nella sua Poetica, e il Re di nelle annotazioni al suo ditirambo.

Nè qui si vuol perder tempo in disaminare onde a noi sia pervenuto un simil vocabolo. 11 Castelvetro nelle sue giunte alle prose del Bembo, e il Muratori nel suo Trattato della P. P., ed altri non pochi, portano opinione, che la rima, e diversi nomi e maniere di Composizio

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ni volgari non le abbiano apprese gl'Italiani dai Provenziali, ma i Provenziali dagl'Italiani, pretendendo eglino che i primi, che usassero la volgar Poesia, fossero i Siciliani, e che dai Siciliani passasse in Italia, e da Italia in Proven za. Ma il Sig. Abate Giuseppe Maria Quirini, che nelle belle lettere sente molto avanti, che non solo per la scelta erudizione, di cui va adorno, ma molto più per la soavità de' suoi costumi è uno de' più cari amici, ch'io m'abbia, scrivendomi su questo punto, inclina a creder l'opposto.,, Non voglio esaminare, dice egli, su quai fondamenti si appoggi l'opinione del Castelvetro e del Muratori; è bensì da credere ch'ella aver possa tutta la sua probabilità, mentre vien sostenuta da soggetti di tanto valore e sì benemeriti della Letteraria Repubblica. Ciò non ostante la maggior parte de' Lette rati indotti da forti ragioni, e da riflessioni non disprezzevoli, sostenendo, che la nostra Italiana Poesia abbia avuta origine dai Poeti Provenzali, mi pare di poter dire, che la voce Sonetto probabilmente sia passata da Provenza in Italia, mentre per entro i Componimenti dei Prosatori di quella nazione si trova spessissime volte adoperato un cotal nome. Egli è ben vero, che deesi avvertire, che il Sonetto appo i: Provenzali era un nome generico, che comprendeva sotto di se diverse sorte di composizioni rimate senza numero determinato di versi, e con questa ampiezza di significato fu altresì abbracciato ne' primi secoli da' nostri Toscani Poeti; poichè Dante stesso, come scrive il Bembo nel secondo libro delle sue Prose, quella breve Canzone, che comincia

O vai, che per la via d'amor passate
Attendete e guardate ec.

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diede nome di Sonetto. Ma se si considera cid

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