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Di Giusto de' Conti..

Chi è costei, che nostra etate adorna

Di tante maraviglie e di valore,
E in forma umana, in compagnia d'Amore
Fra noi mortali çome Dea soggiorna?

Di senno e di beltà dal Ciel s'adorna
Qual spirto ignudo e sciolto d'ogni errore;
E per destin la degna a tanto onore
Natura, che a mirarla pur ritorna

In lei quel poco lume è tutto accolto,
E quel poco splendor, che a' giorni nostri
Sopra noi cade da benigne Stelle.

Tal, che 'l Mäestro de' stellati chiostri
Si lauda, rimirando nel bel volto,
Che fe' già di sua man cose sì belle.

Molti bei pensieri del Petrarca són qui accozzati, ma in differente prospettiva, e con grazia non poca uniti. L'entrata del Sonetto è una figura spiritosa e tale ancora dovette giudicarla il Redi, come appare da un suo Sonetto qua rapportato. Squisito è tutto il primo Quadernario. Ma nel secondo io mi trovo alquanto al bujo in que' versi :

E per destin la degna a tanto onore
Natura, che a mirarla pur ritorna.

Non veggio, come qui c'entri acconciamente il destino. Per altro il senso è buono, e vuol dir

uesto:

E natura, che alzolla a tanto onore,
Stupida a rimirarla pur ritorna.

Del March. Cornelio Bentivoglio.

Ecco Amore: ecco Amor. Sia vostro incarco,

Occhi, chiudere il passo al Nume audace,,
Che a turbarmi del sen la cara pace
Sen vien di sdegni e di saette carco.
Ecco Amore: ecco Amor. Vedete l'arco,
Che mai non erra, e la sanguigna face:
Già la scuote, la vibra, e già mi sface:
Occhi, ah voi non chiudeste a tempo il varco.
Ei già mi porta al sen crudele affanno,

E dell' error, ch'è vostro, o lumi, intanto
Il tormentato cor risente il danno.
Ma d'irne impuni non avrete il vanto;

Poichè, in questo sol giusto, Amor tiranno,
Se il core al fuoco, e voi condanna al pianto.

Da quel Sonetto del Petrarca, il cui principiò è: Occhi piangete, accompagnate il core ec. è preso il seme di questo Sonetto. E prima ancor del Petrarca avea detto Guido Guinizello:

Dice lo core a gli occhi: per voi moro:

Gli occhi dicono al cor: tu n'hai disfatti. Con vivacità impareggiabile la fantasia maneggia questo argomento, mettendoci sotto gli occhi con Figure forzose tutta questa spiritosa pittura, e trasparendo da per tutto l'ingegno e l'economia. Io, se pur mi ponessi in cuore di trovar qui cosa, che affatto non mi piacesse, potrei solamente dire, che nel secondo verso fa duro suono la parola chiudere dopo gli occhi, e che il terzo anch'esso appare snervato per cagion dell'aggiunto cara, in cui luogo meglio sarebbe stato lunga, od altro simile epiteto; e che forse non assai gentili son quelle forme risente il danno, e d'irne impuni. Ma queste minuzie dovrebbono parer difetti solamente a chi suol mettere tutto il capitale de' suoi versi nel le belle frasi e parole, e non nella bontà e bel lezza de' sensi.

r

Que

Del March. Giovanni Rangone.

uel nodo, ch' ordì Amor si strettamente Intorno al cor, lo Sdegno mi rallenta,

E se fia, ch'umil priego al Ciel si senta,
Vedrollo un di spezzato interamente.

Quel vel, che m' annebbio gli occhi e la mente
Ora di più celarmi indarno tenta
La cara Libertà, che si presenta,
Benchè da lungi a me söavemente.

Ecco già s'avvicina: oh com'è bella:
Ed io cangiarla in Servitù potei;
Tanto mi fu nemica la mia Stella!

Ma come, s'appressarmi io tento a lei,
Ella mi fugge? Ah tuttavia ribella
Ragion, Sdegno impotente, e sordi Dei!

Il pregio di questo Sonetto è una segreta artifiziosa dilicatezza, che assaissimo diletterà chiunque con finissimo gusto prenderà a contemplarlo nelle sue parti e nel suo tutto. Quantun que consigliatamente l'Autore abbia usato in Ri ma tre Avverbj di quattro e cinque sillabe l'uno, affine, credo io, d'accordare it son dimes so de' versi col senso non pomposo dei pensieri: io non entrerei mallevadore, che a tutti dovesse piacerne l'uso. Stimo bensì che l'ultimo di essi, cioè il soavemente, sarà approvato da tutti gl'ingegni dilicati, siccome quello che mi rabilmente serve a condire la soave immagine della libertà, che si presenta da lungi. Questa tenera immagine passa ne' seguenti Terzetti, ali sono pieni d'affetto, pieni di giudizio, erminati da una bellissima esclamazione.

Del Dott. Eustachio Manfredi.

Poichè di morte in preda avrem lasciate,

Madonna, ed io nostre caduche spoglie
E il vel deposto, che veder ci toglie
L'Alme nell'esser lor nude e svelace:

Tutta scoprendo io allor sua crudeltate,
Ella tutto l'ardor ch'in me s'accoglie,
Prender dovrianci alfin contrarie voglie,
Me tardo sdegno, e lei tarda pietate.

Se non ch'io forse nell'eterno pianto,
Pena al mio ardir, scender dovendo, ed ella
Tornar sul Cielo a gli altri Angeli a canto:

Vista laggiù fra i rei questa ribella

Alma, abborrir vie più dovrammi, io tanto Struggermi più, quanto allor fia più bella.

Io non so, se questo Poeta sia veramente innamorato, perciocchè ci sono alcuni, che fanno gli spasimati di Parnaso, affin solamente di poter comporre de'bei versi. Ma s'egli è tale (cha non sarebbe gran miracolo) io so ch'egli si dà qui a divedere più scaltrito, che non fu il Costanzo, da cui vedemmo trattato il medesimo argomento. Con buona pace del Costanzo e del Marino, che posero le loro Donne a casa di Satanasso, qui appare e più dilicatezza poetica, e maggior finezza d'amante ... Pena al mio ardir. E si modesto e dabbene questo Poeta, che per suo ardire non può intendersi altro, se non l'avere ardito di amar questa Donna. Se ciò sia delitto, che meriti si fiero gastigo, io mi rimetto alla Filosofia Poetica, a chi s'intende di sì fatto mestiere. Egli è tuttavia probabile, che

il Poeta medesimo non credea tanto; ma ch'essendo arso e cotto di una Denna superba, vada accattando qualche benigna occhiata da lei con questa si sfoggiata umiltà. La conchiusione di queste serie riflessioni si è, che il Sonetto è cosa eccellente,

Di Pietro Barignano.

Ove fra bei pensier, forse d'amore,

La bella Donna mia sola sedea

Un intenso desir tratto m' avea,

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Pur com'uom, che arda, e nol dimostri fuore:

Io, perchè d'altro non appago il core,
Da' suoi begli occhi i miei non rivolgea,
E con quella virtù, ch'indi movea,
Sentia me far di me stesso maggiore.

Intanto non potendo in me aver loco
Gran parte del piacer, che al cor mi corse,
Accolto in un sospir fuora sen venne.

accorse

Ed ella al suon, che di me ben s'
Con vago impallidir d'onesto fuoco
Disse: teco ardo. E più non le convenne.

Ancor qui io riconosco una rara dilicatezza. Lo stile è piano e tenue, cioè senza pompa e. senza apparente studio. Ma bisogna leggere con attenzione, e più d'una volta, questo Sonetto: Bisogna considerare, come è ben tirato, come gentilmente è miniato, e quanto leggiadra è la sua chiusa. Allora poco mancherà che nol chiamiamo nel suo genere un degli ottimi di questa Raccolta. E sicuramente poi lo giudicheremo

no agli ottimi. Possono tutti sentire il gran

l'eroico del seguente componimento, per

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