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che per questa voce intende oggi giorno comu nemente l'Italia, egli è un particolare Componimento, che in sè racchiude quattordici soli versi di undici sillabe rimati in quella maniera che ad ognuno è palese

Fin qui l'Amico, a cui siccome io debbo l'avermi suggerita l'Idea di far precedere alla presente raccolta questa qualunque siasi Disser-, tazione, così, ragion vuol, ch'io confessi avermi egli ajutato non poco a distenderla col porgermi molte di quelle notizie, che a darle polso e compimento erano necessarie. Ritornando al Sonetto, ecco come dall' Accademia della Crusca ottimamente venga spiegato e definito : Spezie di Poesia lirica in rima comunemente di quattordici versi di undici sillabe. Si dice comunemente di undici sillabe per additare che i versi possono essere talora di otto, e talora di meno ancora, ed in tal caso questi Sonetti si chiamano anacreontici, e servono per lo più,: come vedrassi in questa raccolta, allo stil pastorale, ed a spiegare, secondo il gusto Greco, qualche favoletta. Vi sarebbono i Sonetti rinterzati, e doppj, che costumavano i nostri antichi Poeti; ma perchè l'uso loro non fu abbracciato dai secoli susseguenti, come non punto conforme alla delicatezza di quel gusto, che in essi ha fiorito, e presentemente più che mai va fiorendo, si tralascierà di favellarne: siccome altresì trascureremo di tener ragionamento di quell'altra sorta di Sonetti con la coda; poichè questi, comechè ne' primi tempi della nostra Poesia si usassero ancora in materie gravi, e da, senno; adesso però con più giudizio non si adoperano se non in materie familiari, se da scherzo.

Riducendoci adunque secondo il nostro proposito a far parola del solo Sonetto, il quale è tessuto precisamente di quattordici versi ende›sillabi,javyegnachè per l'antichità non si sap

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pia chi ne sia stato l'inventore, egli nondime no è fuor di dubbio, che una tal' invenzione sia nata dentro al bel Paese, Ch' Apennin parte, e'l mar, circonda, e l' Alpe.

A qual provincia, poi d'Italia sia toccata la sorte di produrre un ingegno si fortunato, a cui si possa attribuire la gloria di aver ritrovata una così vaga composizione, corre non ordinaria controversia fra gli Scrittori. II. Castelvetro sulla particella nona della poetica d'Aristotele, dove questo Filosofo ricerca quai Popoli potessero essere stati gl' inventori della Commedia, rapporta i motivi della gara, che passava tra i Megaresi che abitavano in Grecia, e i Megaresi che soggiornavano in Sicilia su questa pratica. I Megaresi, che abitavano in Grecia, sostenevano che la Commedia fosse nata appo loro, siccome in luogo, dove potess'essere esercitata, vivendosi in libertà popolaresca; e per lo contrario quelli di Sicilia volevano ch'ella fosse nata appo loro, poichè non si vede Poeta niuno di Commedia più antico & Epicarmo, il quale fu Siciliano. Il Castelvetro, dico, servendosi di questo argomento dei Megarési abitanti in Sicilia va riflettendo, che si può dire, che i Toscani sieno stati i trovatori del Sonetto; poichè i Poeti Toscani sono i più antichi, che lo abbiano usato, e così egli si mostra d'aderire all' opinione di coloro, che attribuiscono l'invenzione di questo piccol poemasa Fra Guittone d' Arezzo. Ma con pace di un tant? uomo, e di tutti coloro, che sono nel suo partito, questa stessa ragione dell' antichi tà, ch' egli adduce per credere, che i Toscani sieno stati gl' inventori del Sonetto, è quella unica, per mio avviso, che toglie si bel vanto alla Toscana: conciossiacosachè fra i più antichi, che abbiano adoperata sì fatta sorta di Componimento, l'uno si è Lodovico, della Vernaccia d'Urbino il quale fiorì neltagoo, un So

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Dii e degli Eroi, e delle altre cose eccellenti potrà, anzi dovrà altresì il suo stile esser alto e sublime. Essendo adunque si ampio e sì vario il soggetto di questo piccolo Poema, come è altresì quello dell'Epigramma, pure è una cosa veramente fatale, che gl'Ingegni Italiani quasi tutti sieno inclinati ad occupare una sì bella composizione nel solo maneggio delle materie amorose. Il gran Critico de' nostri tempi, il Sig. Abate Anton Maria Salvini di felice memoria, ripigliando il Muratori, perchè disse, che alle tre Canzoni degli occhi dette le tre Sorelle, altra perfezion non mancava se non un oggetto più degno, che non è la femminil bellez-. zn, scrisse ch'anzi la femminil bellezza era tutta la sua perfezione, poichè la fantasia è mossa più da queste cose sensibili e piacenti, che dalle invisibili ed astratte, e rapportando che un Teologo nel legger il famoso ditirambo del Redi pronunciò, che meglio sarebbe stato impiegato l'ingegno se si fosse volto a metter in versi cose più alte e teologiche: Tutto bene, rispose il Salvini; ma non sarebbono state cose così adatte alla Poesia. Ma con pace d'un sì gran Letterato, io non posso menargli buona questa sua opinione; imperciocchè, s'egli è pur vero, come abbiam detto, che le prime voci, che la Poesia sciogliesse, fossero indirizzate a lodare Iddio, e gli Eroi, ed a trattare materie gravissime, come appare ne' tanti Cantici regi strati nella Sacra Scrittura, ne' libri di Giob, ne' Salmi di David, nel bellissimo dramma Pastorale di Salomone intitolato, le Cantiche e se Orfeo tra' Greci, Museo, Lino, Omero ed Esiodo chiusero in versi la Teologia de' loro tempi: come è credibile, ch'ella abbia ora perduto tanto dell' antico vigore la Poesia, che più Ron possa, se non a grave stento, reggere a ndi soggetti? Per poco che si leggano i Pro

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n si vedrà ch' eglino nelle immagini,

dietro ciascun altro Poeta. Anzi, chi v'ha fra gl' Italiani, e dirò ancora fra i Greciei Latini, che sia poggiato tant' oltre poetando quanto il fortunatissimo Dante? Eppur tratto marerie per sè stesse graudi, maestose e sublimi quali sono il Paradiso, il Purgatorio e l'Infer no. E il Petrarca medesimo, che co' suoi versi amorosi illustrò cotanto la lirica, che non v'ha forse altra Lingua, ch'abbia in questo genere cosa più leggiadra e perfetta; quando abbandonata la femminil bellezza, affatico intorno a sog getti sacri la robusta sua fantasia, cadde fors egli in bassezza? Ben lo possiamo vedere dalla maravigliosa Canzone, che sopra la Vergine Madre compose, e da quel tenerissimo Sonetto che comincia lo vo piangendo i miei passati tempi. V'ha forse alcuno cui non sia noto, con quanta sceltezza di Rime, e nobiltà di pensieri sieno entrati a cantare de santi nostri Misteri, e delle perfezioni divine un Gabriello Fiamma, un Francesco Lemene, un Giambatista Cotta per tacer di molti altri moderni, che nobilmente, al pari d'ogni altro più gran Poeta, fe cero risuonare ne loro versi il divino amore? Io voglio col Salvini che la Poesia diletti, ma per isvegliare in altrui questo diletto, non è necessario ricorrere alla femminil bellezza: il diletto, che la poetica facoltà intende, non è diletto che passi nell'inferior appetito; è diletto che si ferma nella mente, e in lei si deriva dallo scoprire qualche verità nuova, inaspettata e pellegrina. Or quanto è più facile che si trovino queste verità nuove, inaspettate e pellegrine in un soggetto eroico, sacro, o morale, che in un soggetto amoroso trattato solamente per lusingare? Non convien dunque dire, che materie Sacre, e Teologiche non sieno così atte alla Poesia; lo sono, come per noi s'è mostrato, più ancora che le amorose; convien piutto

sto confessare con Agostino (a), che noi là corriamo col cuore e coll' affetto, dove s'imbattono più facilmente i nostri sensi: per quales formas ibant oculi mei, per tales imagines ire solebat cor meum; ond'è che presi da queste terrene vaghezze, e tutta in esse occupando la nostra fantasia, non sappiamo, o non vogliamo rivolgere a migliori oggetti la mente.

Che se taluno tuttavia si sentisse portato dal genio a comporre su tali bazzecole, s'ingegni almeno di maneggiare materie si delicate non solo colla dovuta modestia, ma col vestirle alla filosofica, onde in qualche maniera possano elle" col dilétto partorire altrui giovamento, come. fece eccellentemente il Petrarca, l'Orsi, lo Zappi, e molti altri, i quali se per vaghezza talora composero de' versi amorosi, non sf dimenticarono giammai dell'insegnamento dello Scaligero, il quale lasciò scritto nella sua Poetica: quæ vel umbram solam præseferunt obscœ- ̈· nitatis, nec abs te scribi, nec ab aliis scripta legi jubeo: 'come neppure di quello d'Orazio, il quale vuole, che il Poeta abbia di tutte quelle i scienze ricolma la mente, ciascuna delle quali può formare un gran Maestro, onde in ogni suo Componimento spargendole, venga a recare altrui quel profitto, che è il fine principale della Poesia, e senza del quale inutili totalmente di verrebbono alla Repubblica umana i suoi più eccellenti lavori.

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Con questo si opportuno disinganno, e con questa si ragionevole precauzione dee il Giovane esercitare il suo genio attorno alla Poesia ; ma non si creda che gli debba costare poca fatica il comporre un Sonetto, che degno sia di lode; esso più di ogn' altra lirica Composizione

Lib. 4. Confess

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