Per nero fume, che sulfurea fonda. Per non vedor del vincitor la sorte. Per prender del peccato alta vendetta. Piangi, e'l guardo infelice intorno gira. Pinga d'ogni furor l'iden più viva. ... Più dolce sonno, o placida quiete. Più Rime io vineggiando avea già spese. Poichè de l'empio Trace a le rapine. Poichè di morte io preda aurem lasciate. Poichè di nuove forme il Cor m'ha impresso. 45 Poichè il volo de l'Aquila Latina. Poichè i miei gravi error pur troppo han desta. 171 Poichè la bella Ebrea l'alto pensiero. Poichè l'alto decreto in Ciel si scrisse. Poichè narrò la mal sofferta offesa." Poichè salisti, ove ogni mente Poiche spiegato ho l'ali al bel disio. Poichè voi ed io varcate avremo l'onde. Porta il buon villanel da strania riva. Poveri fior! destra crudel vi toglie. Prese, per vendicar l'onta e Pesiglio. Preso ha in uso quel capro al bosco intorno. Presso al Ferétro, ove d'un Dio svenato. Presso è il dì, che cangiato il destin rio. Provvida formichetta esce da quella. Pugnar ben spesso entro il mio petto sento.
Qual augellin, ch'uscir di guai si crede. Qual edera serpendo amor mi prese. Qual feroce Leon, che invitto e franco.
Qual lodoletta, che varcò sicura.,"
Qual ferro, qual pennello, o quale inchiostro. 337
Qual madre i figli con pietoso affetto. Qual mi destano in petto alto stupore. Qual misero cultor, che al campo_arriva. Qualor di nuovo, e sovruman splendore. Qual torrente talor, che gonfio e altero.
do al mio ben Fortuna empia e molesta. 100
Quando chiari e tranquilli i giorni nostri. Quando in me sorger sento il bel desio. Quando l'alma real vider le stelle. Quando mi trovo in solitario albergo. Quando oggimai di vincer stanco, e sázio. Quando riede a l'ovil dal pasco erboso. Quando v'ascolto dir si nobilmente.
Quando Vittorio al Ciel fece ritorno.
porto, avara Terra.
Quante volte su l'ali al mio pensiero. Quanto perfetta sin l'eterna curn.
Quasi un popol selvaggio, entro del cuore. Quel, che maligno a st funesta sera. Quel capro maledetto ha preso in uso. Quel che appena fanciul torse con mano. Quel che d'odore, e di color vinced.
Quel dì, ch'at soglio il gran Clemente ascese. 119 Quel Dio che sciolto il giogo al gran tragitto. 195 Quel dì pe' rei calignoso e nero. Quel di, sempre per l'uom grato, e giocondo. z56 Quel Giove adunque, che potea di strali. Quella cetra gentil, che in su la riva. Quella, ch'ambe le mani entro la chioma. Quella morio, se può chiamarsi morte. Quella si cruda e si sdegnosa morte.
Quel nappo, o Galatéa, che a me dal collo. 285
Quel nodo, che ordi Amor si strettamente.
Quel puro genio, a me custode eletto. Quest' anima gentil, che si disparte.
Questa, che in bianco ammanto e in bianco velo. 253 Questa vita mortal, ch'altri sospira. Questi palazzi, e queste logge or colte.
Questo Capro maladetto.
Qui dunque, dove il pastorel la greggia. Qui fu quella d'Imperio antica Sede.
Redi, se un guardo a voi talor volgeste. Reo del fallo non suo nasce a la pena.
Reo del patrio divieto il proprio figlio. Roma, contro di te irati e fieri.
Rotto da l' onde umane, ignudo e lasso.
Saggio, amoroso genitor, che vede.
Saggio Signor, che quanto parli e pensi. Scioglie Eurilla dal lido. Io corro, e stolto. Sciolgo talor la barbara catena. Sdegno della Ragion forte guerriero.
Se col pensier soura me stesso io m'ergo. Se da la mano, ond'io fui preso e vinto. Se de la benda, onde mi cinse Amore. Se grazia il vinto al vincitor veruna. Se il libro di Bertoldo il ver narra.
Se il vetusno, immortal, gran germe vostro. Se in un prato veggio leggiadro fiore. Se la misera incauta farfalletta. Se l'uom, ch'ama sì poco il ben più vero. Se mai non fu largo perdon conteso. Semplice abitator di balze alpine. Se non siete empia Tigre in volto umano. Senti, sacro Pittor; io veglio a canto. Sento in quel fondo gracidar la rana. Se te di ferro armato e di bell' ira. Se ti porrà le mani entro i capegli. Signor, che nella destra, orror del Trace. Signor, fu mia ventura, e tuo gran dono. Signor, non già perchè l'eterne e belle. Signor, tutto de l'Asia il Popol empio. Si lagna alcun, che di miserie oppresso. Simile a se mi fe'l'alto Fattore. Sionne, oh Dio! Stonne ahimè! qual suono. Si si ti veggio, a che saltelli e scappi. Sognata Dea, che da principj ignoti. Solca l'ampio Ocean lieto il nocchiero. Soli, se non che Amor venía con noi.
e pensoso i più deserti campi.
tre lustri (ah sian pur cento e mille). 240
Sono le tue grandezze, o gran Ferrando. Sorge tra i sassi limpido un ruscello. Sotto quel faggio, in riva a quel ruscello. Sotto mi cadde a quel destrier feroce. Sotto quel monte, che gran capo estolle. Sparso il crin di fioretti di ginestra. Spingo per lunga dirupata strada. Spirto divin, di cui la bella Flora. Stassi di Cipro in su la piaggia amena. Stavasi Amor quasi in suo regno assiso. Stiamo, Amore, a veder la gloria nostra. Stiglian, quel canto, onde ad Orfeo simile. Stravaganza d'un sogno! a me parea. Superbetta pastorella.
Tenero mio Signor, benchè ristretto. Tesi poc' anzi un forte laccio a l'orso. Tornami a mente quella trista e nera. Traditrici bellezze a voi sol deggio. Tra l'atre vampe d'alta febbre ardente. Fra queste due famose anime altere. Tremendo Re, che ne' passati tempi. Tu, che dal freddo polo al polo adusto. Tu, che mai fatto, il tutto sempre fai. Tu che miri quest' urna, e che t'affliggi. Tu mi chiedi quant'è che noi ci amiamo.
Vassene Donna ai divin piè, nè sono. Vedesti mai nero sparvier che grifi.
Vedi quell' edra, Elpin, che scherza ed erra. 277 Vergine Tu, sotto il cui manto aurato. Vidi (ahi memoria rea de le mie pene). Vidila in sogno più gentil che pria. Vidi Italia col crin sparso, incolto. Vidi l'uom come nasce, e chi sostiene.
Vincesti, o Carlo, d'alto sangue impura, Viva l'Augusto Carlo: oppressa e vinta. Una Donna regal solinga io vidi. Una ed un'altra bianca tortorella, Uni scaltra Giuditte al suo bel viso. Un'ombra io vidi in suo sembiante vero,
Un piccol verme entro di me già noto. Uom, che al remo è dannato egro e dolente. 101 Puol che l'ami costei; mo duro freno.
« ÖncekiDevam » |