Del March. Cornelio Bentivoglio. Vidi (ahi memoria fea delle mie rene!) In abito mentito io vidi Amore Ampio gregge guidar, fatto Pastore Il riconobbi all'aspre sue catene, Onde gridai: povere greggi? ascoso Allora Amor: Tu, che le insidie ordite. Non avrebbono gli antichi Greci nè con gentilezza maggiore inventata, nè con più chiarez za espressa la presente favoletta. Quelle avene, parola Latina, si possono comportare nella Rima, la quale ha molti privilegi. Nel secondo verso del secondo Quadernario facilmente forse meglio, si sarebbe detto del rozzo mante fuore. Sono esquisiti i due seguenti versi, , Di Angelo di Costanzo. Penna infelice, e ima! gradito ingegfi6), ibi Cessate omadaf favor vostro antico, Ma se come tiranno entro al suo regno ་་ Sicchè queste al mio mal pietose mura Da capo a piedi è mirabilmente condotto il presente Sonetto. Niun pensiero ci è, che non sia con savio argomentare cavato dai segreti della materia, e niuna parola, che non sia utilelo necessaria. L'antitesi della chiusa non già una cosa rara, ma non perciò dee parere fanciullesea o ricercata, perocchè si conosce qui naturalmente nata, e senza pompa ferisce. Torno a dire, che ne' Sonetti non si debbono non già esigere, ma rimaner volentieri le chiuse luminose per qualche vivo colore, acciocchè il fine languido non faccia perdere il merito de'precedenti bei pensieri, ed acciocchè chi legge o ascolta, si congedi con ammirazione e dilette. Del Dott. Giosef' Antonio Vaccari. L'oceano oceano gran Padre delle cose Stende l'umide sue ramose braccia, E tal s'avvolge per vie cupe ascose, Che se in fiume converso, alte, arenose Così l'alto valor, Donna, che parte Che se talora alteramente fuore Rompe in Rime disciolto, e sparso in carte, Ratto a voi torna, ed è sua scorta Amore. La dote principale di questo Sonetto veramente poetico, e non inferiore in bellezza ad alcun altro di questo libro, è la magnificenza. Per sè stesso è oggetto maestoso il mare; ma con tanta gravità vien rappresentato questo suo effetto, ed usa il Poeta così nobili metafore, ed epiteti cost scelti, che la maestà della materia cresce a dismisura, o almeno è più fortemente da ciascuno sentita. Appresso perchè la qualità delle comparazioni aggrandisce o avvilisce le cose comparate, manifestamente appare, che la splendidezza del paragone in questo Sonetto fa risplendere quell' oggetto, che il Poeta si è proposto d'esprimere e lodare. Il primo verso preso da Giulio Cammillo è sublime. Nè sono men belli i seguenti, scorgendosi in tutti una particolare aggiustatezza e forza di dire. Del Petrarca Quanta uanta invidia ti porto, avara Terra, Quanta ne porto al Ciel, che chiude e serra, Quanta invidia a quell' Anime, che in sorte Quanta alla dispietata e dura Morte, Gran difficoltà non avrebbe altri provato in ritrovare i quattro oggetti, a' quali dice il Petrarca di portare invidia. Ma non gli sarebbe già riuscito, senza grande ingegno e fatica, di cavare così bei pensieri, e d'esprimerli con tanta forza e vaghezza, come qui si veggiono espressi. Nobile e vivace si è tutto il Sonetto; e nel tutto ha un non sò che di più vigoroso il secondo Quadernario. Siccome prosaico e basse può dirsi l'ultimo verso del primo Ternario, così per lo contrario l'ultimo del Sonetto è maraviglioso e per lo sentimento, e per la grazia dell' espressione. Amor Di Annibale Nozzolino. talvolta a me mostra me stesso E veggo un volto squallido, e con esso Ella, che mira ancor ne gli occhi miei, Consiste secondo il mio parere la virtù di questo Sonetto nella facilità di dire quanto si è voluto dire e nella buona unione e condotta di tutto il Componimento, e in un certo non so che di novità e grazia, che ha l'invenzione dell' argomento. Per altro non è Sonetto di gran polso: ma nel carattere tenue ha esso una ve nustà non tenue, ed è più che mezzanamente bello. |