Mo Del Sen. Vincenzo da Filicaja. I. orte, che tanta di me parte prendi, E se tant' oltre il poter tuo non stendi, Ma nè d'erbe virtù, nè arte maga, Onde lentando al giusto duo! il freno E II. ben potrà mia Musa entro le morte Membra ripor lo spirto, e viva e vera Mostrar lei, qual fu dianzi, e dir qual era, E parte tor di sue ragioni a Morte. Dir potrà, che fu giusta e saggia e forte, Donna, che altrui fu norma; e norma solo Donna, che in quanto fece e in quanto disse, Che mortal ne sembrò, sol perchè visse. III. Era già il tempo, che del crin la neve Stagiona i frutti di Virtù matura, Quando l'ora fatal, che giunger deve, Tutta allor di sè armata, e in sè racchiusa E nuove alzando intorno a sè difese IV. Vidila in sogno, più gentil che pria, E in un atto amoroso e in un sembiante , Volgi, mi disse, il guardo a questa mia Non t'è noto, ch'io vivo? E non t'è noto, Scocca la Morte, e scocca il Tempo a voto? Ma, se pianger vuoi pur, col pianto avviva Così patiommi, e per l'afflitte vene Spirito corse di conforto al core; Ahi, come a filo debile sattiene Due spirti Amor con ingegnoso innesto Sparve l'uno e spiegò ver l'etra il volo, VI. Of chi fia; che i men noti e i più sospetti Scogli mi mostri, onde la vita è piena? Col proprio esempio a ben usar m'alletti? Chi fia, che gli egri miei confusi affetti Chi fia, che meco i suoi pensier divida, Al mio riso, al mio pianto e pianga, e rida? Fammi, o Morte, ragion, se giusta sei; VII. Oh quante volte con pietoso affetto, T'amo, diss' ella, e t'amerò, qual figlio! Da indi, o fosse di Natura effetto, Vincol di sangue, e lealtà di mente E tacer saggio, e ragionar cortese, E oneste voglie in santo zelo accese, VIII. Fuoco, cui spegner de' miei pianti l'acque Non potran mai, nè de' sospiri il vento; Prima che nascess' io, nel Cielo ei nacque, Anzi or lassù vie più s'accende, e nuova E mentre al primo ardor si ricongiunge, Biù che pria da vicin, m'arde or da lunge.. Signor, IX. ignor, fu mia ventura, e tuo gran dono Onde in pensar, quanto sei giusto e buono, Ch'io so ben, ch'a mio pro di lei son privo, Più allor mie voglie a ben amar fian pronte: Che se in quella t'amai, qual fonte in rivo Amerò quella in te, qual rivo in fonte. chi ANNOTAZIONE AL PRIMO SONETTO. Un solo bel Sonetto è un gran Panegirico di ha composto. Nove tutti incatenati sul medesimo argomento, cioè in morte di Cammilla da Filicaja Alessandri, e tutti belli, sono un miracolo ben raro in poesia. Ora tali a me sembrano i seguenti, ravvisando io in essi un ragio nar filosofico, un affetto naturale insieme e in gegnoso, un giro giudiziosissimo di pensieri ben legati, e il tutto disteso con imparreggiabile vivezza poetica, nobiltà di passaggi, leggiadria di Lingua, e gran dominio nelle Rime. - Morte che tanta ec. Questo sentimento, che io al trove non seppi approvare in bocca d'Armida parlante all'improvviso, qui riesce vaghissimo e forte, per la differenza di chi parla. Ma ne d'erbe ec. Affettuoso non men che giudizioso & questo trapassamento; anzi tutto il Terzetto ha una particolar bellezza.. |