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CANTO TERZO

Eran le squadre avverse a fronte a fronte E de le grida bellicose il suono

Per la valle echeggiava e per lo monte;
Rotava il Padre un lungo immenso tuono,
E con le trombe lor mille zanzare
De la pugna il segnal vennero a dare.
Strillaforte primier fattosi avanti,
Leccaluom percotea d'un colpo d'asta.
Non muor, ma sulle zampe tremolanti
Il poverino a reggersi non basta:
Cade, e a Fangoso Sbucatore intanto
Passa il corpo da l'un a l'altro canto.

Volgesi il tristo infra la polve e muore:
Ma Bietolaio con l'acerba lancia

Trapassa al buon Montapignatte il core.
Mangiapan Moltivoce per la pancia
Trafora e lo conficca in sul terreno:
Mette il ranocchio un grido e poi vien meno.
Godipalude allor d'ira si accende,
Vendicarlo promette; e un sasso toglie,
L'avventa e Sbucator nel collo prende:
Ma per di sotto Leccaluomo il coglie
Improvviso con l'asta e ne la milza
(Spettacol miserando) te l'infilza.

Vuol fuggir Mangiacavoli lontano
Da la baruffa, sdrucciola ne l'onda;
Poco danno per lui, ma nel pantano
Leccaluomo e' traea giù de la sponda,
Che, rotto, insanguinato e sopra l'acque
Spargendo le budella, orrido giacque.

Paludano ammazzò Scavaformaggio; Ma vedendo venir Foraprosciutti, Giacincanne perdèssi di coraggio; Lasciò lo scudo e si lanciò nei flutti. Intanto Godilacqua un colpo assesta Al buon Mangiaprosciutti ne la testa. Lo coglie con un sasso; e per lo naso A lui stilla il cervello e l'erba intride. Leccapiatti, al veder l'orrendo caso," Giacinelfango d'una botta uccide: Ma Rodiporro, che di ciò s'avvede, Tira Fiutacucine per un piede.

Da l'erta lo precipita nel lago; Seco si getta e gli si stringe al collo: Finchè nol vede morto, non è pago. Se non che Rubamiche vendicollo; Corse a Fanghin, d'una lanciata il prese A mezzo la ventresca e lo distese. Vaperlofango un po' di fango coglie E a Rubamiche lo saetta in faccia Per modo che 'l veder quasi gli toglie: Crepa il sorcio di stizza, urla e minaccia, E con un gran macigno al buon ranocchio Spezza due gambe e stritola un ginocchio.

Gracidante s'accosta allor pian piano E al vincitor ne l'epa un colpo tira. Quel cade e sotto la nemica mano Versa gli entragni insanguinati, e spira. Ciò visto, Mangiagran da la paura Lascia la pugna e di fuggir procura. Ferito e zoppo, a gran dolore e stento Saltando, si ritragge da la riva ; Dilungasi di cheto e lento lento, Finchè per sorte a un fossatello arriva. Intanto Rodipane a Gonfiagote

Vibra una punta e l'anca gli percote.

Ma zoppicando il ranocchione accorto Fugge e d'un salto piomba nel pantano. Il topo che l' avea creduto morto, Stupisce, arrabbia e gli sta sopra invano; Chè, del piagato re fatto avveduto, Correa Colordiporro a dargli aiuto. Avventa questo un colpo a Rodipane, Ma non gli passa più che la rotella. Così fra' topi indomiti a le rane La zuffa tuttavia si rinnovella: Quando improvviso un fulmine di guerra Su le triste ranocchie si disserra.

Giunse a la mischia il prence Rubatocchi, Giovane di gran cor, d' alto legnaggio; Particolar nemico de' ranocchi, Degno figliuol d'Insidiapane il saggio; Il più forte de' topi ed il più vago, Che di Marte parea la viva imago. Questi, sul lido in rilevato loco Postosi, a'topi suoi grida e schiamazza; Aduna i forti e giura che fra poco De le ranocchie estinguerà la razza; E da ver lo faria, ma il padre Giove A pietà de le misere si move.

Oimè dice a gli dêi, qui non si ciancia. Rubatocchi, il figliuol d'Insidiapane, Si dispon di mandare a spada e lancia Tutta quanta la specie de le rane; E'l potria veramente ancor che solo, Ma Palla e Marte spediremo a volo.

Or che pensiero è il tuo? Marte rispose: Con gente così fatta io non mi mesco. Per me, padre, non fanno queste cose; E s'anco vo' provar, non ci riesco ; Nè la sorella mia, dal ciel discesa, Faria miglior effetto in questa impresa. 17 Leopardi

Tutti piuttosto discendiamo insieme.
Ma basteranno, io penso, i dardi tuoi;
I dardi tuoi, che tutto il mondo teme,
Ch' Encelado atterraro e i mostri suoi,
Scaglia de' topi ne l'ardita schiera,
E a gambe la darà l'armata intera.

Disse. E Giove acconsente e un dardo afferra:
Avventa prima il tuon, ch'assordi e scota
E trabalzi da' cardini la terra:

Indi lo strale orribilmente rota,

Lo scaglia; e fu quel campo in un momento
Pien di confusion e di spavento.

Ma il topo, che non ha legge nè freno,
Poco da poi torna da capo, e tosto
Vanno in rotta i nemici e vengon meno.
Ma Giove, che salvarli ad ogni costo
Deliberato avea, gente alleata

A ristorar mandò la vinta armata.

Venner certi animali orrendi e strani,
Di razza sopra ogni altra ossosa e dura:
Gli occhi nel petto avean, fibre per mani,
Il tergo risplendente per natura,
Curve branche, otto piè, doppia la testa,
Obliquo il camminar, d'osso la vesta.

Granchi son detti: e quivi a la battaglia
Lo scontrafatto stuol non prima è giunto
Che si mette fra' sorci, abbranca, taglia,
Rompe, straccia, calpesta. Ecco in un punto
Sconfitto il vincitor; la rana il caccia,
E quelli onde fuggía fuga e minaccia.

A' granchi ogni arme si fiaccava in dorso; Fero un guasto, un macello innanzi sera, Mozzando or coda, or zampa ad ogni morso. E già cadeva il sol quando la schiera De' topi si ritrasse afflitta e muta: E fu la guerra in un sol di compiuta.

LA TORTA.

POEMETTO D'AUTORE INCERTO

tradotto dal latino.

(1817)

Avea notte invernal corso dieci ore,
E l'augel da la vegghia il dì predetto,
Quando Simulo, il rustico cultore
Di breve campicel, da rozzo letto,
Temendo digiunar nel dì futuro,

Scosso adagio il sopor, s' alza a lo scuro.
Esplorando le tenebre a tastone
Va passo passo, e giunto al focolare,
S'acceso anco vi sia qualche carbone
Cerca così che sentesi scottare:
Pronto la man ritragge e vede allora
Il foco luccicar non morto ancora.

Un tizzon, che la sera ivi riposto
Simulo aveva con provvido consiglio,
Giacea sotto la cenere nascosto.

Volgesi il buon villano e dà di piglio
A la lucerna e 'n giù la piega, e chino
Con l'ago slunga l'arido stoppino.

Desta col soffio il moribondo foco Ch'al fin chiarisce e la lucerna accende, Poi sorge e s'incammina a poco a poco E' lume infermo con la man difende; Men timido e più franco indi s'avanza, E guarda e schiava l'uscio della stanza.

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