Sayfadaki görseller
PDF
ePub

SONETTO XIX.

Prega l'estinto Sennuccio a salutare gli amici porti, ed a far sapere a Laura l'infelicità del suo stato.

Sennuccio mio, benchè doglioso, e solo
M'abbi lasciato, i' pur mi riconforto,
Perchè del corpo, ov'eri preso e morto,
Alteramente se' levato a volo.

-

Or vedi insieme l'uno e l'altro polo;
Le stelle vaghe, e lor viaggio torto;
E vedi 'l veder nostro quanto è corto:
Onde col tuo gioir tempro 'l mio duolo.
Ma ben ti prego, che 'n la terza spera

te.

Guitton saluti, e messer Cino, e Dante, Franceschin nostro, e tutta quella schiera. Alla mia Donna puoi ben dire, in quante Lagrime i' vivo; e son fatto una fera, Membrando 'l suo bel viso, e l'opre sante.

*

Ov'eri prigioniero, e morto : allude all'Immo vero hi vivunt, qui ex corporum vinculis, tamquam e carcere, evolarunt di Cicerone. Se' levato, ti sei levato · Vaghe, erranti: forse accenna le comeOnde, modero il dolore della tua morte col pensiero del tuo In la terza spera, in quella di Venere, perchè tutti i seguenti furono poeti erotici — Fra Guittone d'Arezzo, messer Cino da Pistoja, Franceschino del Bene, parente di Senpuccio, e della Quella schiera di poeti erotici Una fera, un ani

gaudio presente

stessa casata

male salvatico, un selvaggio Membrando, rammentando.

Stile tenue, e che ti fa sentire anche un poco di quella bassezza che i poeti dovrebbono pure schifare. In quanto ai pensieri e alle maniere di dire con cui sono espressi, ci ha della leggiadria in molti luoghi, come nel terzo e quarto verso. Immagine bella e adattata si è quel levarsi a volo, e quel figurarsi il corpo prigione e sepoltura dell' anima. Leggiadri sono altresì il settimo e l'ottavo verso: ma non si può dir lo stesso dell'ultimo ternario, dove avrei anche desiderato più spirito nella chiusa. M.

SONETTO XX.

Va empiendo di sospiri e di pianto quella bella valle, doo' Ella nacque e mori.

I'

ho pien di sospir quest'aer tutto,
D'aspri colli mirando il dolce piano,
Ove nacque colei, ch' avendo in mano
Mio cor in sul fiorire, e 'n sul far frutto,
È gita al Cielo; ed hammi a tal condutto
Col subito partir, che di lontano

Gli occhi miei stanchi lei cercando in vano,
Presso di se non lassan loco asciutto.

Non è sterpo, nè sasso in questi monti;
Non ramo, o fronda verde in queste piagge;
Non fior in queste valli, o foglia d'erba;
Stilla d'acqua non vien di queste fonti;
Nè fiere han questi boschi sì selvagge;
Che non sappian quant'è mia pena

[ocr errors]

acerba.

l'ho pien, io ho riempito · D'aspri colli, dagli scoscesi colli di Valchiusa, che il P. soleva salire, per indi vedere l'abitazione di Lauта - Avendo avuto. M. In sul fiorire, e in sul far frutto, nella mia età giovanile, e nella matura · Ed hammi a tal condutto, e in'ha ridotto in tale stato, col suo improvviso morire Di lontano; perchè ella è in cielo, ed io in terra Asciutto, non bagnato di lacrime Nè questi boschi han fiere ec.; e vuol inferirne, che non eravi luogo alcuno, per recondito e selvaggio che fosse, non consapevole del suo pianto. *

Questo Sonetto può fare una sufficiente comparsa. Merita lode certamente la sua condotta, ed il giro del periodo ne'quadernarii, al quale ne succede un altro anch'esso galante. Ogni verso è ben limato, ed ogni parola ben incastrata. Ma non so trovare alcuna rarità ne'sentimenti; e mi pajono formati i terzetti d'un'amplificazione ben facile anche a molti verseggiatori di gran lunga inferiori al Petrarca. M.

SONETTO XXI.

Loda la bell'arte di Laura, che ora conosce, di render lui virtuoso com' egli famosa lei colla penna.

col severo contegno,

L'alma mia fiamma oltra le belle bella,

Ch'ebbe qui 'l ciel sì amico, e sì cortese;
Anzi tempo per me nel suo paese
È ritornata, ed alla par sua stella.
Or comincio a svegliarmi; e veggio, ch'ella
Per lo migliore al mio desir contese;
E quelle voglie giovenili accese
Temprò con una vista dolce, e fella.
Lei ne ringrazio, e 'l suo alto consiglio,
Che col bel viso, e co' soavi sdegni
Fecemi, ardendo, pensar mia salute.
O leggiadre arti, e lor effetti degni:

L'un con la lingua oprar, l'altra col ciglio,
Io gloria in lei, ed ella in me virtute!

Alma, (addiettivo) vitale — Oltra, sopra — Anzi tempo per me, troppo presto per me — Nel suo paese, nella sua patria, ch'è il cielo

[ocr errors]

Pensare

- Ed alla competente sua stella: parla secondo l'opinione platonica. Contese, contrastò — Vista, sembiante: dolce e fella, or benigno, or aspro ed arcigno Consiglio, giudizio, senno di salvarmi L'uno, il P. cantando di Laura: l'altra, Laura, col ciglio or dolce ed or severo.

Bellissimo il l'assoni, e senza fallo uno de' migliori del Petrarca lo chiama il Muratori. La bellezza però di questo Son, non è di quelle vivaci, che corrono subito all'occhio; nè di quelle celesti, che ti rapiscono l'anima. È una beltà soda e virile, il cui pregio maggiore consiste nella giusta proporzione delle sue parti, e che bisogna ben affissare, per ben discernerla, ed ammirarla.,, Pon' mente, dice il Murat., alla spiritosa entrata del Son. Continua un tal estro, e lo stile sollevato per tutto il resto di esso; e ci si vede una continua grazia ed esattezza, parendoci nate tutte le rime, e non essendoci parola inopportuna od inutile. Come appunto suol avvenire delle pitture de' gran maestri, più lo contemplerai e più ti piacerà.,, Contuttociò havvi, secondo me, più d'arte che d'estro, e ciò si scorge anche nell'ultima terzina, chiamata mirabile ed eccellente dal Tassoni e dal Muratori. *

SONETTO XXII.

Deplora il proprio

errore d'aver chiamata crudele colei, che or benedice d'averlo ricondotto sul retto sentiero .

Come

ome va 'l mondo! or mi diletta e piace

Quel, che più mi dispiacque: or veggio e sento,
Che per aver salute ebbi tormento,

E breve guerra per eterna pace.

O speranza, o desir sempre fallace!

E degli amanti più, ben per un cento:
O quant'era 'l peggior farmi contento
Quella, ch'or siede in Cielo, e 'n terra giace!
Ma 'l cieco Amor, e la mia sorda mente
Mi traviavan sì, ch'andar per viva
Forza mi convenia, dove mort' era.
Benedettta colei, ch'a miglior riva

Volse 'l mio corso; e l'empia voglia ardente,
Lusingando, affrenò, perch'io non pera.

Quel che più mi dispiacque : il rigore di Laura - E degli amanti, e quella degli amanti ben veramente per cento volte più fallace dell'altre - O quant'era, o quanto sarebbe stato peggio, se m'avesse fatto contento, se avesse appagate le mie brame, colei che ora siede in cielo coll'anima, e giace in terra col corpo! È maniera di dire però più tedesca che italiana. T. - Dove morte era, dove avrei trovata la Lusingando affrenò, con dolcezza frenò, l'empia voglia ardente, la rea mia brama amorosa.

morte dell'anima mia

[ocr errors]

Non è dotato di singolari prerogative. Comincia bene ex abrupto, e poi mette in mostra alcuni contrapposti, che non fanno in me grande impressione di bellezza; quantunque nulla si loro opporpossa re. Quel ben per un cento, modo di dire usato dagli antichi scrittori toscani, lo dono tutto agli antichi. Mi piacciono assai più i ternarii. M.

Nobile, e felicemente verseggiata è la prima quartina; ma ben poco leggiadra, ed anco stentata, è al contrario la seconda. *

SONETTO XXIII.

Al cadere del giorno egli sente ravvivarsegli in cuore la memoria di Laura, e il dolore d'averla perduta irreparabilmente.

Quand'io veggio dal ciel scender l'aurora

Con la fronte di rose, e co' crin d'oro; Amor m'assale: ond' io mi discoloro, E dico sospirando: Ivi è L'aura ora. O felice Titon! tu sai ben l'ora

Da ricovrare il tuo caro tesoro:

Ma io, che debbo far del dolce alloro? Chè se'l vo' riveder, convien ch'io mora. I vostri dipartir non son sì duri;

Ch'almen di notte suol tornar colei,

Chè non ha a schifo le tue bianche chiome:
Le mie notti fa triste, e i giorni oscuri
Quella, che n'ha portato i penser mici;
Nè di se m'ha lasciato altro, che 'l nome.

Scender l'aurora, espressione troppo impropria a significare il crepuscolo mattutino: perciò il Vellutello e il Tassoni intendono qui per essa il vespertino. E quantunque il Muratori opini, che quello scender si riferisca alla luce che l'aurora invia dal cielo in terra, io per me m'accosto al parere de' due primi; essendo l'ora del crepuscolo vespertino appunto quella di cui disse Dante che Volge il desio A na viganti, e intenerisce il cuore; perchè lo sparire della luce ed il silenzio di tutto il creato rinfresca nell'animo la memoria delle cose più care, da noi lasciate o perdute - Amor m'assale colla memoria di Laura — Ivi, in cielo — Da ricuperare la tua donna, ch'è l'Aurora. - Del dolce alloro: allusione a Laura Ch'io mora; non potendo più rivederla, se non in cielo-I vostri dipartiri, ( si noti l'infinito, qui sostantivo plurale) le vostre dipartenze N'ha portato, ha portato via — Penseri, v. a. pensieri.

[ocr errors]

Ivi è L'aura ora (l'aurora); giocolino di parole, che il P. si fasciò forse fuggir dalla penna per dar nell'umore a qualche leggier cervello di que' tempi; sapendo bene che gl'ingegni sodi abborrono queste frascherie. Nel secondo quadernario sento alquanto di prosa. Ne'ternarii mi piacciono solamente gli ultimi due versi. M.

« ÖncekiDevam »