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Canzon, s'uom trovi in suo amor viver queto,
Di': Muor, mentre se' lieto;

Chè Morte al tempo è non duol, ma refugio:
E chi ben può morir, non cerchi indugio.

S' uom trovi ec.; se trovi qualcuno che viva tranquillo, contento, in amando, digli, muori, finchè sei lieto; perchè il morire a tempo non è duolo, ma rifugio dalle calamità della vita E chi può morir bene, cioè in felice stato, non aspetti tempo.

Ancorchè le Canzoni del Petrarca sieno quasi tutte di buon metallo e lavorate con felice artifizio, pure fra le stesse ci è il più e il meno. La qualità dell'argomento, l'estro differente, l'attenzione e la lima diversa, ed altre cagioni fanno riuscire o più o men belli i componimenti d'una stessa persona. Questa è bella, questa è da stimarsi assaissimo: ma posta a fronte di parecchie altre Canzoni dell'autore medesimo, non so se potrà reggere al paragone, benchè ne superi in bellezza alcune altre. M.

Il Muratori poteva qui fare a meno di sciorinarci delle trivialissime verità, che non concludono a nulla, per farci sapere, che questa Canzone, se non è tra le meno gentili del Petrarca, non è neppure tra le più belle. *

1

SESTINA

Confrontando co'passati tempi felici il suo misero stato presente, tanto più brama morire.

Mia benigna fortuna, e 'l viver lieto;

I chiari giorni, e le tranquille notti,
Ei soavi sospiri, e 'l dolce stile,
Che solea risonar in versi e 'n rime;
Volti subitamente in doglia e 'n pianto,
Odiar vita mi fanno, e bramar morte.
Crudele, acerba, inesorabil Morte,

Cagion mi dai di mai non esser lieto,
Ma di menar tutta mia vita in pianto,
E i giorni oscuri, e le dogliose notti.
I miei gravi sospir non vanno in rime;
E'l mio duro martìr vince ogni stile.
Ov'è condotto il mio amoroso stile?

A parlar d'ira, a ragionar di morte.
U' sono i versi, u' son giunte le rime,
Che gentil cor udia pensoso, e lieto?
Ov'è 'l favoleggiar d'amor le notti?

Or non parl'io, nè penso altro, che pianto.

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Benigna fortuna e 'l viver lieto ec., cioè mentre Laura vivea. Volti, convertiti: subitamente, per l'improvvisa morte di lei. - Non vanno in rime, non possono esprimersi in versi — Vince ogni stile, non può spiegarsi con parole Ov'è condotto, a che è ridotto. Amoroso, che non sapca parlar d'altro che d'amore Che, le quali, la gentil Laura udiva pensierosa, e lieta? Il favoleggiar d'amore, che facevo meco stesso pensando o scrivendo duranti le notti?

Già mi fu col desir sì dolce il pianto,
Che condia di dolcezza ogni agro stile,
E vegghiar mi facea tutte le notti:

Or m'è 'l pianger amaro più, che morte,
Non sperando mai 'l guardo onesto e lieto,
Alto soggetto alle mie basse rime.

Chiaro

Amor segno

pose alle mie rime

Dentro a' begli occhi; ed or l'ha posto in pianto
Con dolor rimembrando il tempo lieto:
Ond'io vo col pensier cangiando stile,
E ripregando te, pallida Morte,
Che mi sottragghi a sì penose notti.
Fuggito è 'l sonno alle mie crude notti,
E 'l suono usato alle mie roche rime,
Che non sanno trattar altro, che morte:
Così è 'l mio cantar converso in pianto.
Non ha 'l regno d'Amor si vario stile;
Ch'è tanto or tristo, quanto mai fu lieto.
Nessun visse giammai più di me lieto;
Nessun vive più tristo e giorni e notti:
E doppiando 'l dolor, doppia lo stile,
Che trae del cor sì lagrimose rime.

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dive

Già, un giorno, mi fu si dolce il pianto in compagnia del desiderio, non disgiunto dalla speranza d'una qualche mercede da Laura. -Il guardo di lei, alto soggetto ec.: allude alle tre Canzoni e ad alcuni Sonetti sopra gli occhi di lei Segno, soggetto, argomento. / Ed ora ha posto nel pianto il soggetto delle mie rime, facendomi ricordar con dolore de' lieti tempi passati * Vo cangiando stile ne' miei versi, come è cangiato il mio pensiero, la mia mente, nuta trista e malinconica di lieta che era Alle mie roche rime, cioè fatte ora roche, e mutate di suono - Non ha'l regno d'Amor ec.: niun poeta erotico scrisse con uno stile si vario come il mio, che è E doppiando, e raddoppiandosi, il dolore, raddoppio le dove rime. Ha in riguardo la presente Sestina, che ha dodici stanze, per l'ordinario tutte le altre ne hanno sei.

tanto ec.

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Vissi di speme: or vivo pur di pianto;

Nè contra Morte spero altro, che Morte.
Morte m'ha morto; e sola può far Morte,

Ch' i' torni a riveder quel viso lieto,
Che piacer mi facea i sospiri e 'l pianto,
L'aura dolce, e la pioggia alle mie notti;
Quando i pensieri eletti tessea in rime,
Amor alzando il mio debile stile.
Or avess' io un si pietoso stile,

Che Laura mia potessi torre a Morte,
Com' Euridice Orfeo sua senza rime:
Ch' i' viverei ancor più che mai lieto.
S'esser non può, qualcuna d'este notti
Chiuda omai queste due fonti di pianto.
Amor, i' ho molti e molt'anni pianto
Mio grave danno in doloroso stile;
Nè da te spero mai men fere nolti:
E però mi son mosso a pregar Morte,
Che mi tolla di qui per farme lieto

Ov'è colei, ch'i' canto e piango in rime.

Morto,

Del cor, dal mio core - Pur, soltanto Nè contra Morte ec. lo chieggio a Morte incontr' a Morte aita,, ha detto di sopra ucciso Che mi facea piacere i sospiri ec.; che mi facea dolce nella notte l'aura de sospiri, e la pioggia del pianto: cioè il gran piangcre e sospirar che facevo; ripetendo così quello che ha detto nel precedente verso. Altri prendono quell'aura e pioggia nel significato lor proprio, e intendono del vento e della pioggia che il P. soffriva volentieri mentre andava girando intorno la casa di Laura — Io tessea: eletti, scelti —Amore alzando è ablativo assoluto: ed ecco perchè dice eleuti i suoi pensieri: erano ispirati da Amore. B. Com' Orfeo tolse amorte la sua Euridice; e dice senza rime, perche egli venne a capo di ciò col solo suono della sua cetra. Tristemque rogum sine carmine flevit, disse Stazio Qualcuna di queste notti mi chiu da gli occhi in eterno Mio grave danno, la perdita di Laura

amarc

Men fere, meno

Tolla, v. a. tolga; di qui, dal mondo; per farmi lieto dove

è colei ec., cioè in cielo,

-

Se sì alto pon gir mie stanche rime,
Ch'aggiungan lei, ch' è fuor d'ira e di pianto,
E fa 'l Ciel or di sue bellezze lieto;
Ben riconoscerà 'l mutato stile,

Che già forse le piacque, anzi che Morte
Chiaro a lei giorno, a me fesse atre notti.
O voi, che sospirate a miglior notti,
Ch'ascoltate d'Amore, o dite in rime,
Pregate, non mi sia più sorda Morte,
Porto delle miserie, e fin del pianto:
Muti una volta quel suo antico stile,
Ch'ogni uom attrista, e me può far sì lieto.
Far mi può lieto in una, o 'n poche notti:
E 'n aspro stile, e 'n angosciose rime
Prego, che 'l pianto mio finisca Morte.

Pon, ponno, possono Ch' aggiungan lei, che giungano a lei Mutato, di licto in dolente -Anzi, prima, che Morte fesse, facesse, a lei chiaro giorno coll'aprirgli il cielo, e a me negre, funeste, notti col privarmi di lei O voi, amanti, che sospirate, che bramate, migliori notti delle mie, miglior sorte della mia, che ascoltate o fate versi amorosi Stile, costume, di far tutti tristi In una o'n poche notti; uccidendomi cioè o d'istantanea, o di breve malattia.

Questa Sestina è doppia, cioè di dodici stanze, invece di sei; e tanto più ammirabile ch'è tessuta di pensieri e versi affettuosi e leggiadri, che la rendono di gran lunga migliore dell'altre, specialmente nell'ultime sei Stanze a detta ancor del Muratori, il quale perciò la esenta dalla condanna pronunziata contro tal genere di componi

mento. *

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