Sayfadaki görseller
PDF
ePub

E

per fermar sua bella intenzione,
La sua tela gentil tesser Cleante,

Che tira al ver la vaga opinione.
Qui lascio; e più di lor non dico avante.

E per stabilire la bella intenzione della filosofia di Zenone, vidi Cleante filosofo stoico suo discepolo, tesser la sua tela gentile, comporre la nobile sua opera, la quale raddrizza l'incerta e vagante opinione dell'altre sette, col far consistere la felicità nella sola virtù.

Io non so, se mai alcuno potesse qui dire al Poeta: Di Laura che è mai divenuto, per cui, e per la fama di cui avete, cred' io, preso a comporre questi Capitoli? Bisogna ch' egli si sia per istrada pentito di donneare, e voglia sul badare a se stesso. In fatti cosi farà nel seguente Capitolo. M.

DEL TEMPO

Con la descrizione della continua velocità del Tempo, e della sua diuturnità, per cui trionfa della fanva e uvemoria degli uomini, il P. mostra la vanità delle cose terrene.

Dell' aureo albergo con l'Aurora innanzi

Si ratto usciva'l Sol cinto di raggi, Che detto aresti: E' si corcò pur dianzi. Alzato un poco, come fanno i saggi,

Guardoss' intorno; ed a se stesso disse: Che pensi? omai convien, che più cura aggi. Ecco; s'un uom famoso in terra visse, E di sua fama per morir non esce; Che sarà della legge, che 'l Ciel fisse? E se fama mortal morendo cresce,

Che spegner si doveva in breve, veggio Nostra eccellenza al fine; onde m'incresce. Che più s'aspetta, o che puote esser peggio?

Si ratto, si rapidamente. Il Sole è qui posto per il Tempo di cui è misura Che detto avresti, ei si coricò sol fa. Ma questa è poco una falsa illazione Alzato un poco sopra l'orizzonte, guardò dintorno a se, come fanno i saggi, i prudenti. Il primo membro di questo periodo contiene una freddura, il secondo v'è per la rima ⋆ — Ed a se stesso disse: e veduto quel trionfo della Fama disse a se stesso Che più cura aggi; che tu o Sole abbi più cura che la Fama non trionfi anche di te Ecco dunque, se un uomo, che visse fumoso al mondo, non perde la sua fama morendo, che sarà della legge statuita dal Cielo, che l'uomo ed ogni cosa mortale debba perire? E se la fama deʼmortali cresce alla lor morte, allorquando doveva estinguersi in breve, vedo con mio rincrescimento finita, distrutta, la mia eccellenza, la prerogativa che ho comune cogli altri corpi celesti di durare sino alla fine de' secoli.

Che più nel ciel ho io, che 'n terra un uomo, A cui esser egual per grazia chieggio? Quattro cavai con quanto studio como, Pasco nell'Oceàno, e sprono, e sferzo!

E pur la fama d'un mortal non domo. Ingiuria da corruccio, e non da scherzo,

Avvenir questo a me; s'io foss'in cielo, Non dirò primo, ma secondo, o terzo. Or convien, che s'accenda ogni mio zelo

Sì, ch'al mio volo l'ira addoppi i vanni:
Ch'io porto invidia agli uomini; e nol celo:
De' quali veggio alcun dopo mill'anni,

E mille e mille, più chiari che 'n vita;
Ed io m'avanzo di perpetui affanni.
Tal son, qual era anzi che stabilita
Fosse la terra; dì e notte rotando
Per la strada rotonda, ch'è infinita.
Poi che questo ebbe detto, disdegnando
Riprese il corso più veloce assai,

Che falcon d'alto a sua preda volando.
Più dico: nè pensier poria giammai

Seguir suo volo, non che lingua, o stile;

A cui chieggo essere uguale: perchè se la fama dell'uomo dura al pari di me, la mia condizione viene ad essere inferiore a quella di lui, come si dimostra qui sotto Con quanto studio, con quanta diligenza, como (latinismo pretto, per la rima ) pettino, striglio, pasco ec. quattro cavalli ! — È un' ingiuria da far ira, e non da passarsela in scherzo il succedere questo a me, quand' anche io fossi il secondo o terzo lume del cielo, non che il primo — Vanni, v. p. ale Ed io m' avanzo ec.; ed io seguo ad andar oltre con perpetua fatica, e rimango sempre il medesimo Anzi che ordinata fosse la terra: secondo quello che vien detto nella Genesi, che Dio creò prima la luce, o il Sole Rotando, movendomi in giro Infinita, senza fine, senza termine; conseguenza dell'esser rotonda o circolare sdegnoso.

Disdegnando,

Tal che con gran paura il rimirai. Allor tenn' io il viver nostro a vile

Per la mirabil sua velocitate,

Via più ch' innanzi nol tenea gentile: E parvemi mirabil vanitate

Fermar in cose il cor, che 'l Tempo preme;
Che mentre più le stringi, son passate.
Però, chi di suo stato cura, o teme,
Provveggia ben, mentr' è l'arbitrio intero
Fondar in loco stabile sua speme:
Chè quant' io vidi 'l Tempo andar leggero
Dopo la guida sua, che mai non posa,
I' nol dirò, perchè poter nol spero.
I' vidi'l ghiaccio, e lì presso
la rosa;
Quasi in un punto il gran freddo,
Che pur udendo par mirabil cosa.
Ma chi ben mira col giudicio saldo,

Vedrà esser così: chè nol vid'io;

e'l

gran caldo;

Di che contra me stesso or mi riscaldo. Seguii già le speranze, e'l van desio:

Or ho dinanzi agli occhi un chiaro specchio,

Ov' io veggio me stesso, e 'l fallir mio: E quanto posso, al fine m'apparecchio,

Mirabil vanitate,

Io tenni a vile, io riputai vile; io spregiai una gran vanità, cosa vana — Fermar il cor, por l'affetto, in cose che il Tempo incalza, caccia, al suo fine Proveggia ben, guardi bene, mentre è l'arbitrio intero, finchè ha il libero arbitrio di se medesimo; cioè finchè vive― In loco stabile, in cose durevoli — Leggero, veloce: dopo, dietro, la guida sua, il Sole che mai non si ferma- Perchè non spero poterlo dire, perchè non mi basta l'animo di narrarlo - Il ghiaccio e li presso la rosa; l'inverno, e a lui acChe pur udendo, che anche al solo udirlo — Saldo, intero, sano — Che nol vid' io finora del che ora m' adiro Un chiaro specchio, la memoria del passato; l'esperienza

canto la primavera

alla morte.

-

Al fine,

Pensando 'I breve viver mio, nel quale

Sta mane era un fanciullo, ed or son vecchio.
Che più d' un giorno è la vita mortale,
Nubilo, breve, freddo, e pien di noja;
Che può bella parer, ma nulla vale?
Qui l'umana speranza, e qui la gioja;
Qu'i miseri: mortali alzan la testa;
E nessun sa quanto si viva, o moja.
Veggio la fuga del mio viver presta,
Anzi di tutti; e nel fuggir del Sole,
La ruina del mondo manifesta.
Or vi riconfortate in vostre fole,

Giovani, e misurate il tempo largo:
Chè piaga antiveduta assai men dole.
Forse che 'ndarno mie parole spargo:
Ma io v'annunzio, che voi sete offesi
Di un grave e mortifero letargo:
Chè volan l'ore, i giorni, e gli anni, e i mesi;
E 'nsieme, con brevissimo intervallo,
Tutti avemo a cercar altri paesi.

Non fate contra 'l vero al core un callo,
Come sete usi; anzi volgete gli occhi,
Mentr'emendar potete il vostro fallo.

[ocr errors]

Che più d'un giorno ec: che cosa mai è la vita dell'uomo se non un sol giorno nuvoloso ec. In una pur delle Senili ha detto il Poeta: Quid enim nisi dies unus est vita haec? isque hybernus, brevis, et turbidus? Bella parer, nella gioventù Qui, in cotal vita, si fonda l'umana speranza, e la gioja:; per essa i miseri mortali insuperbiscono Veggio la presta fuga, il veloce fuggire, della mia vita, anzi di quella di tutti - Or vi riconfortate ec. Tutta questa terzina è in senso ironico Offesi, lesi Con brevissimo intervallo di tempo, tra il morir cioè dell' uno, e quello dell' altro Altri paesi, nell'altra vita Non fate un callo al cuore, non incallite il cuore, contro la voce del vero — Mentre, finchè.

« ÖncekiDevam »