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Ella era si bella, che non che atto a cantarne degwanvente le lodi, non era meritevole d'averla veduta.

egli

pur

Io pensava assai destro esser su l'ale,

Non per lor forza, ma di chi le spiega,
Per gir, cantando, a quel bel nodo eguale,
Onde Morte m'assolve, Amor mi lega.
Trovaimi all'opra via più lento e frale
D'un picciol ramo, cui gran fascio piega;
E dissi: A cader va chi troppo sale;
Nè si fa ben per uom quel, che 'l Ciel
Mai non poria volar penna d'ingegno,

nega.

Non che stil grave, o lingua, ove Natura Volò tessendo il mio dolce ritegno. Seguilla Amor con sì mirabil cura

In adornarlo, ch' i' non era degno

Pur della vista; ma fu mia ventura.

Io mi credeva essere abbastanza franco sull'ale dell'ingegno (io credeva aver bastante ingegno) Non per mio proprio valore, ma per virtù di chi m'ispira (cioè d'Amore) Per gire ec. per agguagliare col mio canto la bellezza di quel nodo, dal qual la Morte mi scioglie, e al quale Amore mi tiene ancora legato · Fascio, peso Ne si fa bene dall' uomo ec. È l'Heu nihil invitis fas quenquam fidere Divis di Virgilio Penna, ala: cioè estro poetico Ove ec. fin dove la Natura s'alzò, tessendo il mio dolce nodo, cioè formando Laura. Seguilla Amor, Amore secondò la natura

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Ma fu mia fortuna,

e non mio merito.

Sonetto da piacer poco, e poi poco. Ha voluto dire di belle cose, e sfoggiarle con ornamenti, ma questi ornamenti non appariscono assai gentili, quando non si voglia chiamarli anche sproporzionati. Troppo languidamente poi finisce il Sou. con dire: ma fu mia ventura. M.

SONETTO XXVI.

Perduta Lei, morto ad ogni

i, morto ad ogni cosa, fuorchè al dolore, egl può far altro che gemere sul nulla dell'uomo. Soleasi nel mio cor star bella e viva,

Com' alta donna in loco umile e basso:
l'ultimo suo passo,

Or son fatt' io, per

Non pur mortal, ma morto; ed ella è diva.
L'alma d'ogni suo ben spogliata e priva,
Amor della sua luce ignudo e casso,
Dovrian della pietà romper un sasso;
Ma non è chi lor duol riconti, o scriva:
Che piangon dentro, ov`ogni orecchia è sorda,
Se non la mia, cui tanta doglia ingombra,
Ch'altro, che sospirar, nulla m'avanza.
Veramente siam noi polvere, ed ombra :
Veramente la voglia è cieca e 'ngorda :
Veramente fallace è la speranza.

non

Soleasi ec.: manca il nominativo; ma si capisce ch'è Laura Per l'ultimo suo passo, per la sua morte Non

mia

pur, non solo. L'alma Casso, latinismo, e v. a. privo, sfornito - Della, per la — Non

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è, non v'è - Lor, dell'alma, e d'Amore Piangono (l'alma ed Amore ) dentro di me, dove niuno può udirli fuorchè io, il quale son oppresso da tanto dolore, che null'altro mi resta che sospirare; e perciò non posso ricontare (raccontare) o scrivere il loro duolo. Quel cui è una costruzione di pensiero, non riferendosi a orecchia, ma a un me sottinteso: e valendo il quale: perchè nel mia, dice il Muratori, si contiene il suo intero che è me — La voglia, la volontà dell'uomo.

Veramente è meschin questo Sonetto: e se v'ha taluno a cui possa piacere, buon pro gli faccia. Il Tassoni ha notato, che la prima quartina non dice nulla, anzi non connette; ed il Muratori, che il P. s'è troppo male spiegato. La seconda contiene de'concetti comuni, se sen eccettui forse il quarto verso, in cui pare che il P. seguitando il tema del Sonetto precedente voglia dire, che dopo la morte di colei che ravvivava il suo ingegno ed estro poetico egli non sa più compor versi; soggiungendo quindi nella prima terzina, che oppresso dal dolore non può far altro che gemere dentro di se. L'ultima terzina poi ella è mera prosa. ✯

SONETTO XXVII.

a pietà; morta, opera

Viva Laura, egli sperò moverla
cb' Ella veda dal cielo l'infelice

suo stato.

Soleano
oleano i miei pensier soavemente
Di lor obbietto ragionar insieme:
Pietà s'appressa, e del tardar si pente;
Forse or parla di noi, o spera, o teme.
Poi che l'ultimo giorno e l'ore estreme
Spogliar di lei questa vita presente,
Nostro stato dal Ciel vede, ode, e sente:
Altra di lei non è rimaso speme.

O miracol gentile! o felice alma!

O beltà senza esempio altera e rara! Che tosto è ritornata, ond' ella uscìo. Ivi ha del suo ben far corona e palma Quella, ch'al mondo si famosa e chiara Fe la sua gran virtute, e 'l furor mio.

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Soleano (mentre Laura vivea) — Di loro obbietto, del loro oggetto, cioè di lei; e solcano dire i miei pensieri: Pietà s'appressa, Laura sta per farsi pietosa,e si pente d'aver tardato finora a divenirlo. Spera, ch' io continui ad amarla; teme, che io mi stanchi del suo rigore * ·Spogliar, spogliarono - Questa vita, quest'età - Non è rimaso ec.: non m'è rimasta altra speranza che questa, cioè ch'ella veda, oda, e conosca il mio stato Ond' ella uscio, là di dove ella uscì, cioè al cielo: e parla sempre secondo l'opinione platonica, che le anime nostre siano emanazioni della divinità I furor mio amoroso; la veemenza del mio amore. MONTI.

V'ha dell oscurità di locuzione nel primo quadernario, come osserva il Muratori: il quinto verso, secondo me, è un verso di stoppa; e le terzine contengono un epifonema, che malamente si collega colle cose precedentemente dette, nola a ragione il Tassoni. *

Tomo II.

4

SONETTO XXVIII.

Doleasi a torto de' suoi lacci, e dell'amorose sue

pene,

be

trova preferibili al gioire per qualunque altra donna.

I'mi soglio accusare; ed or mi scuso,

Anzi mi pregio, e tengo assai più caro
Dell'onesta prigion, del dolce amaro
Colpo, ch' i' portai già molt'anni chiuso.
Invide Parche, sì repente il fuso

Troncaste, ch'attorcea soave e chiaro
Stame al mio laccio; e quell'aurato e raro
Strale, onde morte piacque oltra nostr' uso!
Chè non fu d'allegrezza a'suoi dì mai,
Di libertà, di vita alma sì vaga,

Che non cangiasse 'l suo natural modo,
Togliendo anzi per lei sempre trar guai,
Che cantar per qualunque; e di tal piaga
Morir contenta, e viver in tal nodo.

or a

Del dolce amaro colpo, della

Soglio, qui sta per soleva: accusare di quanto vien detto nel terzo e quarto verso piaga amorosa — Chiuso, nascosto

allacciava

E mi tengo

Al mio laccio, a Laura che mi E troncaste quell'aurato e raro strale confitto nel mio cuore, che fuori del consueto al contrario dell'uso comune, mi facea dolce il morire Che non fu, perchè non vi fu, mai alma si vaga, si bramosa, a' suoi di, mentr'ella visse, d'allegrezza, di libertà, e di Modo, costume: di desiderar cioè la felicità; e non si eleggesse di vivere anzi sempre in pene per lei, che in gioja per qualunque altra.

vita

Un infelice, e affettato, e disordinato mescuglio di metafore a me par vedere ne'quadernarii, dice il Muratori. Nè molto valgono le terzine: onde ben conviene a questo Sonetto il posto, che gli assegna il Critico Modenese, cioè, tra gl'infimi. *

SONETTO XXIX.

S'egli vivrà, celebrerà quella donna, in cui con zara concordia stavano insieure Onestà e Viellezza.

Due gran nemiche insieme erano aggiunte,

Bellezza, ed Onestà, con pace tanta,
Che mai rebellion l'anima santa

Non sentì, poi ch' a star seco fur giunte.
Ed or per morte son sparse e disgiunte:
L'una è nel Ciel, che se ne gloria e vanta;
L'altra sotterra, ch' e' begli occhi ammanta,
Ond' uscir già tante amorose punte.
L'atto soave, e 'l parlar saggio umìle,

Che movea d'alto loco; e 'l dolce sguardo,
Che piagava 'l mio core, e ancor l'accenna,
Sono spariti: e s' al seguir son tardo,
Forse avverrà, che 'l bel nome gentile
Consacrerò con questa stanca penna.

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Due gran nemiche: Rara concordia formae atque pudicitiae, disse Giovenale — Aggiunte, congiunte — L'anima santa di Laura non senti mai nascer dissensione fra esse · L'una, l'Onestà: l'altra, la Bellezza; sotterra che, sotto terra la quale, ammanta, copre, i begli occhi, da'quali uscirono un dì tante amorose punture. Oscuro però e vizioso modo è il far reggere il che da sotterra avverbio, come se fosse nome. S. · Che moveu d'alto loco, che procedeva da alto intelletto - E ancor l'accenna, e ancora mostra di piagarlo coll'immagine E se vivrò ancor qualche tempo - Consacrerò, renderò sacro ed immortale.

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Sonetto mediocre, ancorché non privo affatto di grazie. M.

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