Indi per alto mar vidi una Nave Con le sarte di seta, e d'or la vela; Oriental turbò sì l'aere, e l'onde, Che la Nave percosse ad uno scoglio. Breve ora oppresse, e poco spazio asconde ne, Per alto mar, nel mezzo della vita. La nave figura Laura; l'avorio e l'ebano di che era contesta, intarsiata, la bianca sua carnagioe gli occhi neri: le sarte di seta, le membra gentili; la vela d'oro, le bionde chiome; la ricca merce onesta di che era carica, le molte preziose virtù che regnavano in lei Repente tempesta oriental: dice così, perchè Laura morì improvvisamente l'anno 1348, della pestilenza descritta dal Boccaccio, e ch'egli narra venutaci dall'oriente. Anche qui non puoi fare a meno di non sentire il brio, e l'andamento maestoso dello stile. Da due bei versi viene chiusa la stanza. M. In un boschetto novo i rami santi Fiorian d'un Lauro giovenetto e schietto, Di varj augelli, e tanto altro diletto, Cangioss' il ciel intorno; e tinto in vista, Subito svelse: onde mia vita è trista; Novo, novello, giovane. Nel boschetto figura la vita di Laura: vc'rami santi d'un lauro giovenetto e schietto, le immacolate membra di Lei giovine e bella. Schietto vale liscio, e senza nodi — E di sua ombra uscian si dolci canti di varj augelli; cioè canti di poeti, e intende parlar principalmente di se medesimo, dando l'ombra sua, ( la fama delle virtù e bellezze di lei ) materia a detti canti. T. Tinto in vista, annerato, tinto di colore oscuro, quasi di livore e d'invidia, che la terra godesse sì bella cosa. T. Subito, improvvisamente. La presente stanza non cede punto alle due precedenti in eleganza di stile, e in gentilezza di verseggiatura. * Chiara Fontana in quel medesmo bosco Sorgea d'un sasso; ed acque fresche e dolci Al bel seggio riposto, ombroso, e fosco Ma Ninfe, e Muse, a quel tenor cantando. Ivi m'assisi; e quando Più dolcezza prendea di tal concento, E di tal vista; aprir vidi uno speco, E portarsene seco La Fonte, e 'l loco: ond' ancor doglia sento, Chiara Fontana. Questa fontana ha somiglianza col fonte di Narciso in Ovidio: Fons erat illimis nitidis argenteus undis, Quem neque pastores, neque pastae monte capellae Contingerant, aliudve pecus Sorgea, scaturiva - Al bel seggio riposto... cantando. Vuol dire, che alla riposta e ritirata dimora della casta bellezza di Laura non s'appressava gente scostumata e villana, ma gentildonne e poeti, le cui parole e costumi erano a quelli di lei consonanti. Dolcezza, diletto-Aprir, per aprirsi: speco per voragine. — E solo a ricordarmene mi sgomento. È il Quanquam animus meminisse horret di Virgilio. Assai belli sono i primi tre versi. Intorno ai penultimi due, nota il Tassoni : Che portasse la Fonte, figura di Laura, ciò corre; ma che portasse via anche il loco della fonte, non vedo come c'entri, attesochè al mancar di Laura non mancò la sua patria.,. Ma altri interpretano, che il P. vuol dire con ciò, che esso luogo rimase inonorato ed oscuro per la morte di Lei. * Una strania Fenice, ambedue l'ale Di porpora vestita, e 'l capo d'oro, Chè mirando le frondi a terra sparse, E'l troncon rotto, e quel vivo umor secco; Quasi sdegnando; e 'n un punto disparse: - Forma, figura Pri Strania, meravigliosa, singolare Vedendo io - Altera, e sola, si riferisce alla Fenice, figura di Laura ma pensai, dapprima credetti - Che la terra invola, che fu ingojato dalla voragine, come è stato detto nella precedente stanza Ogni cosa corre al suo fine Perocche mirando ella le frondi del lauro fulminato (come il P. ha narrato nella terza stanza) sparse a terra, e schianVolse in se stessa il tato il suo tronco, e secca quella fontana ec. — becco: allude al morir della Fenice, la quale dopo aver mirato il Sole, volge in se stessa il becco, e ardendo si muore. GESUALDO-Sdegnando, sdegnosa: disparse, per disparve. Sotto la figura della Fenice il P. in questa stanza adombra l'anima di Laura, la quale veduto svelto l'alloro, e secco il fonte, cioè spente le bellezze e le forze del suo corpo, quasi sdegnando di più abitare qui in terra, ruppe il laccio che la teneva legata al corpo, e volò al cielo. Ma quest'allegoria non è la più felice, ed è stata tassata di poca aggiustatezza dal Castelvetro e dal Muratori. * Al fin vidio per entro i fiori e l'erba, Pensosa ir sì leggiadra e bella Donna, Che mai nol penso, ch' i' non arda, e treme; Sì testa, ch'oro e neve parea insieme: Ma le parti supreme Erano avvolte d'una nebbia oscura. Punta poi nel tallon d'un picciol angue, Come fior colto langue, Lieta si dipartio, non che secura. Ahi, null'altro, che pianto, al mondo dura! Bella Donna, Euridice, altra figura di Laura. Per i fiori e l'erba intende forse le lusinghe e gli allettamenti del mondo nella nostra gioventù * - Si candida gonna, le caste e illibatissime sue membra. Testa, sincope di tessuta; da non imitarsi — Oro, le chiome: neve, le carni Le parti supreme, le parti superiori di essa donna, la testa. È il Sed nox atra caput tristi circumvolat umbra di Virgilio - Come fior colto langue: È tolto dal Purpureus veluti cum flos succisus aratro Languescit moriens di Virgilio — Si dipartì da questo mondo Secura, intrepida. Leggiadra e nobile stanza, in cui il P. sotto l'allegoria d'Euridice dipinge la bellezza e la fine della sua donna. Belli particolarmente sono i tre ultimi versi. M. Tomo II. 6 |