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S. Anzi, avete a dire, nemmeno una carta di Faraone.

B. Dov'erano le soirées dansantes?

S. Di là da venire.

B. Dov' era il Bal masqué?

S. Per maschere lasciamo stare.

B. Chi ha insegnato a mangiare?

S. Voi. Anco co' denti finti. Prima si biasciava.
B. Chi ha insegnato a camminare?

S. A camminare ? anco a camminare!...... Basta, è vero: ci avevano messi tra gl' immobili. B. Chi ha insegnato a dormire?

S. Voi, voi, voi, e ve ne son grati parecchi.
B. Chi ha insegnato a divertirci ?

S. Qui avrei una difficoltà.

B. Sentiamola.

S. Badate, io sono popolano, e di certe cose ne giudico un po' a occhi e croce; ma mi ricordo che prima, quando si stava alla buona tra noi paesani, saremo stati tagliati coll' accetta, ridicoli, goffi, tutto quello che siete solito dir voi; ma per allegria, amor mio, ce n'era da vendere.

B. Allegria di cattivo genere.

S. Di cattivo genere? O che l' allegria è roba che si vende a bottega. Ma sia come dite voi; il fatto sta che si stava allegri e dimolto. Ora a furia di modi asciutti, di cortesia appuntata e di piccininerie elegantissime, mi pare che il buon umore si sia rassegato. Già le son tutte cose nate di freddo.

B. Bella la vostra allegria d'una volta! Ogni mezzo secolo una festuccia di ballo con due violi

nacci; un piatto di biscottini, e un fiasco di vin

santo.

S. Vi dirò allora i balli non erano una mostra, e ognuno aveva mangiato a casa sua.

B. Un desinare per le pasque con le polpette e con le braciole avvolte.

S. Non erano una mostra neanco i desinari, e tutto passava, compresi gl' invitati, purchè ci fosse un piatto di buon viso.

B. Uno che sapesse tre parole di francese era l'ottava maraviglia.

S. E la nona uno che parlasse a sproposito l' italiano.

B. Insomma eravate ottentoti.

S. Ottentoti? Che razza è codesta?

B. Razza di mezze bestie.

S. Chi è più bestia, l'ottentoto o la scimmia?
B. Credo la scimmia.

S. Allora sono con voi siamo cresciuti di grado.
B. Case senza stufe !

S. Che volete? a que' tempi gli uomini non erano ananassi.

B. Solai senza tappeti.

S. Non avranno avuto nemmeno i piedi di burro. B. Facciate nere come la cappa del cammino ! S. Questo è vero: voi avete intonacato ogni cosa. Cosa vuol dir esser grossi di pasta!

B. (guarda l' oriolo e s'alza.)

S. O che scappate?

B. S'avvicina l' ora del Teatro: voglio andare a far qualcosa.

S. Che studiate avanti d' andare al teatro?

B. Che c'entra lo studio? vado a rivestirmi.

S. Scusate non sapevo che andare a far qualcosa potesse significare andare a rivestirsi. Andate, andate, chè il tempo è prezioso.

AL SUO CARO AMICO

FRANCESCO SILVIO ORLANDINI

L'AUTORE.

Mio caro Checco.

Tu avresti voluto che io ponessi via via in cima o in fondo a ciascuna di queste composizioni 1 l'epoca della loro nascita ; ma siccome ho veduto praticare quest' uso a tali che puzzano d' arroganza, mi ricusai di farlo, se non altro per non entrare nel branco. Non ostante, se ti preme di sapere quando m' uscirono di capo, in questa copia destinata a te appunterò colla penna ciò che non ho voluto stampare. Così saremo contenti tutti e due, e un po' per uno non fa male a

nessuno.

Voglimi bene.

Nota alla FIDUCIA IN DIO.

La scrissi nel decembre del 1836, e m' uscì veramente dal cuore. Io m' era trovato a un tratto, solo sulla terra; e l'opera dell' artista consuonò tanto col mio stato d'allora, che non potei fare a meno di prenderne ricordo.

1 Versi di serio argomento. Livorno, tipografia Bertani, Antonelli e Compagni, 1844.

Nota agli AFFETTI D'UNA MADRE.

Questi versi furono scritti nell' estate del 1837. Erano cessati i tormenti, ma durava la memoria d'un colpo terribile avuto un anno prima.

Nota ALL'AMICA LONTANA.

Mi dettò questi versi il bisogno di sfogare in qualche modo un amore vero, schietto, fortissimo, che mi sovrabbondava nell'animo. Eravamo nel luglio del 1836, e già da anni e anni io era preso di quella alla quale furono indirizzati. A lei come a me correva l'obbligo di non ismentire un amore dal quale non potevamo tirarci indietro nessuno di due. Di chi fosse la colpa non tocca a me a dirlo, ma il fatto è che fu sciolto poche settimane dopo che io le ebbi mandati questi versi. Dal dolore che n'ebbi nacque in gran parte il nuovo giro che presero i miei pensieri e il mio stile.

Nota ALL'AMICO NELLA PRIMAVERA DEL 1841.

Furono scritti nella primavera del 1841, quando in una nuova percossa avuta dalla donna medesima, lo sdegno ne potè più del dolore. Per inconsideratezza giovenile ho smentiti talvolta i sentimenti espressi in questi versi, ma l' animo mio prima che fosse disturbato desiderava e sentiva in questa guisa.

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