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IL PRIMO AMORE E IL FRAMMENTO XXXVIII,

IL FRAMMENTO XXXIX E IL SOGNO,
LA SERA DEL DI DI FESTA, A SILVIA,
LE RICORDANZE, ALLA SUA DONNA

I.

Composizione del « Primo Amore ».

La Geltrude Cassi.

Il « Diario d'amore » o «. Storia d'un'anima » . Il « Frammento XXXVIII » .

L'« Elegia II » .

La traccia delle

nuove Elegie.

Il Primo Amore fu pubblicato la prima volta nell'edizione bolognese del 1826, col titolo di Elegia I; ma composto era fin dall'estate del 1818.

Da qualche tempo il fantasioso giovinetto si struggeva del desiderio di « parlare e conversare, come tutti fanno, con donne avvenenti », delle quali, lasciò scritto, « un sorriso solo, per rarissimo caso gittato sopra di me, mi pareva cosa stranissima e maravigliosamente dolce e lusinghiera »; quando, la sera degli 11 dicembre 1817, capitò ospite in casa loro la cugina Geltrude Cassi, sui ventisei anni, sorella del traduttore di Lucano, col marito, un conte Giovanni Lazzari, « di oltre a cinquanta, grosso e pacifico». Giacomo aveva sentito dire che fosse bella, e la immaginò « capace di dare qualche sfogo >> a quel suo antico e vago desiderio. Vistala, la descrive così ' :

1 Nel Diario d'amore, ora pubblicato negli Scritti vari inediti, pp. 165 ss. Il Mariotti, nella Nuova Antologia» del 16 gennaio 1898, ha riprodotto un bel ritratto, di su una miniatura dell'abate Niccoli, della Geltrude.

Alta e membruta quanto nessuna donna ch'io m'abbia veduta mai, di volto però tutt'altro che grossoláno, lineamenti tra il forte e il delicato, bel colore, occhi nerissimi, capelli castagni, maniere benigne e, secondo me, graziose, lontanissime dall'affettato, molto meno lontane dalle primitive, tutte proprie delle signore di Romagna e particolarmente delle Pesaresi, diversissime, ma per una certa qualità inesprimibile, dalle nostre marchegiane.

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La sera dell'arrivo, un giovedì, Giacomo « la vide e non gli dispiacque, ma le ebbe a dire pochissime parole, e non ci si fermò col pensiero ». Il giorno appresso, « le disse freddamente due parole prima del pranzo », e, durante il pranzo, << taciturno al suo solito, le tenne sempre gli occhi sopra, ma con un freddo e curioso diletto di mirare un volto più tosto bello, alquanto maggiore che se avesse contemplato una bella pittura». I fratelli, più fortunati o più intraprendenti, « giocarono alle carte con lei », mentr' egli, « invidiandoli molto, fu costretto di giuocare agli scacchi con un altro». Poi, la signora medesima desiderò che Giacomo « le insegnasse i movimenti degli scacchi » ; e in lui si destò una voglia ardente di giocar con lei sola, <e così ottenere quel desiderato parlare e conversare con donna avvenente ». Perciò « senti con vivo piacere che sarebbe rimasa fino alla sera dopo ». E quella sera, giocarono insieme; ma invece che felice, ne uscì « scontentissimo e inquieto

.

Avea giuocato senza molto piacere, ma lasciai anche con dispiacere, pressato da mia madre. La signora m'avea trattato benignamente, ed io per la prima volta avea fatto ridere colle mie burlette una dama di bello aspetto, e parlatole, e ottenutone per me molte parole e sorrisi. Laonde cercando fra me perchè fossi scontento, non lo sapea trovare.... E ad ogni modo io mi sentiva il cuore molto molle e tenero, e alla cena osservando gli atti e i discorsi della signora, mi piacquero assai, e mi ammollirono sempre più.

Ma nell'uscire, capi che la signora, la quale ora gli « premeva molto », sarebbe ripartita l'indomani, 14 dicembre, all'alba, << nè l'avrebbe riveduta ». Postosi in letto,

vegliai sino al tardissimo, e addormentatomi, sognai sempre come un febbricitante, le carte, il giuoco, la signora..... Svegliatomi prima del giorno (nè più ho ridormito) mi sono ricominciati, com' è naturale, o più veramente continuati gli stessi pensieri..... E sentendo prima passare i cavalli, poi arrivar la carrozza, poi andar gente su e giù, ho

aspettato un buon pezzo coll'orecchio avidissimamente teso, credendo a ogni momento che discendesse la signora, per sentirne la voce l'ultima volta; e l'ho sentita. Non m'ha saputo dispiacere questa partenza, perchè io prevedeva che avrei dovuto passare una trista giornata se i forestieri si fossero trattenuti.

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Quell'apparizione femminile gli destò nel seno un subuglio di affetti e di sentimenti : « inquietudine indistinta, scontento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva di che; nè anche fra le cose possibili vedeva niente che lo potesse appagare ». Avendola sempre avanti alla 'mente, << non soffriva di fissare lo sguardo nel viso, sia deforme... o sia bello, a chicchessia, nè in figure o cose tali; parendogli che quella vista contaminasse la purità di quei pensieri e di quella idea ed immagine spirante e visibilissima che aveva nella mente ». E così, sfuggiva il sentir parlare, disprezzava molte cose da lui prima non disprezzate, anche lo studio, al quale aveva chiusissimo l'intelletto, « e quasi anche, benchè forse non del tutto, la gloria »; ed era svogliatissimo al cibo, il che non gli era mai accaduto, « nè anche nelle maggiori angosce ».

Se questo è amore, che io non so, questa è la prima volta che io lo provo in età da farci sopra qualche considerazione; ed eccomi di diciannove anni e mezzo, innamorato. veggo bene che amore dev'esser cosa amarissima, e che io purtroppo (dico dell'amor tenero e sentimentale) ne sarò sempre schiavo. Benchè questo presente.... son certo che il tempo fra pochissimo lo guarirà: e questo non so bene se mi piaccia o mi dispiaccia.

Avrebbe voluto, il giorno stesso della partenza di lei, « dare qualche alleggiamento al suo cuore »; e avendo tentato inutilmente il verso, si mise a scrivere un diario, << anche ad oggetto di speculare minutamente le viscere dell'amore, e di poter sempre riandare appuntino la prima vera entrata nel suo cuore di questa sovrana passione ». Questo diario è da identificare con quelle « Memorie sopra alcuni giorni di una passione amorosa »>, che piacevan tanto al fratello Carlo 1; e sarebbe

1 Cfr. i Ricordi, giudizi ecc., in fondo al vol. III dell'Epistolario, pag. 422 e 428; e le Note biografiche sopra L. e la sua famiglia, della TEJA-LEOPARDI, pag. 48-49.

stato forse un capitolo di quella Storia d'un'anima, di cui Giacomo medesimo ebbe a toccare al Colletta: romanzo che avrebbe poche avventure estrinseche e queste sarebbero delle più ordinarie; ma racconterebbe le vicende interne di un animo nato nobile e tenero, dal tempo delle sue prime ricordanze fino alla morte »

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La notte seguente, lo riprese l'insonnia e il delirio. Questa volta però il verso gli si mostrò docile, e nella veglia cominciò a poetare di quel primo suo amore, e continuò tutto il lunedì fino alla mattina del martedì. La bella prova « lo riconciliò un poco colla gloria e gli sfruttò il cuore ». Riprese lena e vigore; e per prolungare al possibile il benefico stato amoroso, continuava il diario. Finalmente, il 22 dicembre vi

notava:

Chiudo oggi queste ciarle che ho fatte con me stesso per isfogo del cuor mio e perchè mi servissero a conoscere me medesimo e le passioni; ma non voglio più farne, perchè non si sa quando io mi risolverei di finire, e oramai poco potendo dire di nuovo, mi pare ch'io ci perderei il tempo....

I versi, cominciati a scrivere la notte del 14, son quelli che il Leopardi medesimo pubblicò nell'edizione bolognese del 1826 col titolo di Elegia II, e dei quali poi volle salvi solo que' pochi che, ritoccati, costituiscono il Frammento XXXVIII: Io qui vagando al limitare intorno.... L'Elegia rappresenta il grande turbamento dell' animo del poeta. La riferisco dagli Scritti letterari (II, 238-40).

Dove son? dove fui? che m'addolora?
Ahimè ch' io la rividi, e che giammai
Non avrò pace al mondo insin ch' io mora.
Che vidi, o Ciel, che vidi, e che bramai!
Perchè vacillo e che spavento è questo?
Io non so quel ch'io fo, nè quel ch' oprai.

Di codesta Storia,

1 In una lettera da Recanati, del marzo 1829. che il poeta si proponeva di pubblicare come se scritta da un « Giulio Rivalta », s'è ritrovato il solo Proemio, e queste parole del libro primo: << Del mio nascimento dirò solo, perocchè il dirlo rileva per rispetto delle cose che seguiranno, che io nacqui di famiglia nobile in una città ignobile dell'Italia». Scritti vari inediti, pag. 386.

Fugge la luce, e 'l suolo ch'i' calpesto
Ondeggia e balza, in guisa tal ch' io spero
Ch'egli sia sogno e ch'i' non sia ben desto.
Ahimè ch'io veglio, e quel che sento è il vero;
Vero è ch'anzi morrò ch'al guardo mio
Sorga sereno un dì su l'emispero.
Meglio era ch'i' morissi avanti ch'io
Rivedessi colei che in cor m'ha posto
Di morire un asprissimo desio:

Ch'allor le membra in pace avrei composto;
Or fia con pianto il fin de la mia vita,
Or con affanno al mio passar m'accosto.
O Cielo o Cielo, io ti domando aita.

Che far debb'io? conforto altro non vedo
Al mio dolor, che l'ultima partita.
Ahi ahi, chi l'avria detto? appena il credo:
Quel ch'io la notte e 'l dì pregar soleva
E sospirar, m'è dato, e morte chiedo.
Quanto sperar, quanto gioir mi leva

E spegne un punto sol: com' egli è scuro
Questo dì che sì vago io mi fingeva!
Amore, io ti credetti assai men duro

Allor che desiai quel che m'ha fatto
Miser fra quanti mai saranno o furo.
Già t'ebbi in seno; ed in error m'ha tratto
La rimembranza: indarno oggi mi pento,
E meco indarno e teco, Amor, combatto.
Ma lieve a comportar quello ch'io sento
Fòra, sol ch'anco un poco io di quel volto
Dissetar mi potessi a mio talento.

Ora il più rivederla oggi m'è tolto,

Ella si parte; e m'ha per sempre un giorno
In miseria amarissima sepolto.

Intanto io grido, e qui vagando intorno,
Invan la pioggia invoco e la tempesta
Acciò che la ritenga al mio soggiorno.
Pure il vento muggìa ne la foresta,

E muggìa tra le nubi il tuono errante,
In sul dì, poi che l'alba erasi desta.
O care nubi, o cielo, o terra, o piante,
Parte la donna mia; pietà, se trova
Pietate al mondo un infelice amante.
Or prorompi, o procella, or fate prova
Di sommergermi, o nembi, insino a tanto
Che sole ad altre terre il dì rinnova.
S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto
Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia
Le luci il crudo Sol pregne di pianto.

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