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Ch' alla sparsa ruina ancor minaccia, 1
E nell'orror della secreta notte

Per li vacui teatri,

Per li templi deformi e per le rotte

Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face

Che per vòti palagi atra s'aggiri,

Corre il baglior della funerea lava,

Che di lontan per l'ombre

Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.

Il quadro è tra le cose più stupende che vanti la nostra poesia. E non ne scema punto la bellezza, il confronto che può farsi anche qui col luogo, già ricordato, della Corinne. Che continua: « Sa marche », quella della lava, « n'est point assez rapide pour que les hommes ne puissent pas fuir devant elle; mais elle atteint, comme le temps, les imprudents et les vieillards qui, la voyant venir lourdement et silencieusement, s'imaginent qu'il est aisé de lui échapper. Son éclat est si ardent, que la terre se réfléchit dans le ciel, et lui donne l'apparence d'un éclair continuel: ce ciel, à son tour, se répète dans la mer, et la nature est embrasée par cette triple image du feu ».

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Alla vista d'un tanto secolare spettacolo di violenza e di sopruso, si capisce come gli uomini abbian potuto immaginare l'esistenza d'un genio malefico che contrasti ai disegni della Provvidenza. « On a dû se demander osserva la Stäel, << en contemplant un tel séjour, si la bonté seule présidait aux phénomènes de la création, ou bien si quelque principe caché forçait la nature, comme l'homme, à la férocité ». E anche il Leopardi aveva un tempo creduto e inneggiato a codesto occulto genio del male, « arcana malvagità ». Ma vano ora gli sembra invocare Arimane, caricatura di Dio. E che dunque rimane alla infelicissima prole dell'uomo? Un mistico dell'età di mezzo, macerantesi il corpo e l'anima con digiuni

1 Devo ricordare la famosa lettera (VI, 16) di Plinio il giovane? Nubes (incertum procul intuentibus ex quo monte; Vesuvium fuisse postea cognitum est) oriebatur, cuius similitudinem et formam non alia magis arbor quam pinus expresserit. Nam longissimo velut trunco elata in altum, quibusdam ramis diffundebatur.... ».

e paurose visioni dell' oltretomba, avrebbe consigliato l'annientamento: cupio dissolvi; e gli apostoli odierni del nuovo misticismo eterodosso, di questa nuova follia ragionante, consiglierebbero un suicidio in massa. Il Leopardi invece assorge a un'aspirazione di fratellanza e di solidarietà umana contro il nemico comune, che previene i tempi. L'ultima solenne parola che quel sublime spirito rivolse ai sofferenti, di su le memorande rovine vesuviane, non fu nè di scherno nè di sterile pietà. La Ginestra si chiude con un voto e un incitamento alla concordia, al reciproco amore, al vicendevole soccorso. Bando alle vili lusinghe e alle ipocrite menzogne; bando a quelle orgogliose dottrine che promettono << eccelsi fati e nove felicità »

A popoli che un'onda

Di mar commosso, un fiato

D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, ch'avanza

A gran pena di lor la rimembranza!

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Solleviamo invece gli occhi « incontra al comun fato confessiamo « con franca lingua il mal che ci fu dato in sorte »: chè

nobile natura» è

Quella che grande e forte

Mostra sè nel soffrir, nè gli odii e l'ire

Fraterne, ancor più gravi

D'ogni altro danno, accresce

Alle miserie sue, l'uomo incolpando

Del suo dolor.

No, colpevole non è già l'uomo; « veramente rea» è invece colei

che de' mortali

È madre in parto ed in voler matrigna.

Ebbene, il magnanimo reputa e chiama costei « inimica »;

e incontro a questa

Congiunta esser pensando,

Siccom'è il vero, ed ordinata in pria

L'umana compagnia,

Tutti fra sè confederati estima

Gli uomini, e tutti abbraccia

Con vero amor, porgendo

Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune.

Come siamo lontani dalle piccole ironie della Palinodia 1, dagl'ingiusti sarcasmi dei Paralipomeni, dalle fredde crudeltà delle Operette morali! Prima di spegnersi, sulle falde del vulcano inestinto, quel vulcano di poesia ha dato un novissimo e più mirabile guizzo. E par ch'ei s'erga di mezzo alla solenne solitudine che il fiore del deserto rallegra, e ci additi, col braccio teso, nell'orizzonte lontano, un'êra di fraterna concordia di popoli, di nazioni, di razze; un'êra, in cui i fortunati accorrano soccorrevoli dove ci sia da compiere un'opera di pietà, in cui, di fronte alla perfidia della cieca natura, gli uomini insorgano con nobile gara di carità. « Diciamocelo in un orecchio », mormora il Carducci; il Leopardi << si accostava al socialismo ». No, gridiamolo invece a voce alta, e non ci sgomenti il suono e il pregiudizio delle parole. Tutti benediciamo a questo socialismo che incita gli uomini a porgersi « valida e pronta » aita « negli alterni perigli e nelle angosce della guerra comune », che « tutti abbraccia con vero amor ». Quel che noi respingiamo è il socialismo che, tradendo la sua missione, muta in grido di guerra la parola che dovrebb'essere di pace; e della peggiore e della più incivile delle guerre, la civile. Noi abborriamo, anche in nome del nostro poeta, quel socialismo che vorrebbe riaccender le funeste « acerbe gare », turbando ancora una volta << l'onesto e retto conversar cittadino ».

E a voi, giovani, che col vostro gentile entusiasmo ci avete convocati a una nuova solenne affermazione di quella solidarietà umana nel dolore, ch'è una nobile conquista dei nostri tempi, io esprimo il più fervido e commosso ringraziamento.

1 Il primo germe di quest'altro Canto leopardiano mi pare si trovi nella lettera al Giordani, del 24 luglio 1828.

2 Mentre ch'io discorrevo a Milano, l'illustre professor FILIPPO MASCI, anch'egli a beneficio dei danneggiati dall'ultima eruzione ve

POSCRITTA. Con la Ginestra si compie lo svolgimento del pensiero filosofico del Leopardi. E qui chiedo venia a un altro degl'insigni maestri dell'università napoletana, Michele Kerbaker, se riferisco da una sua lettera, del 30 dicembre 1906, quanto intorno a tale svolgimento egli ebbe la cortesia, pari in lui alla sterminata dottrina, di scrivermi.... « Io aveva fermato e cercato », egli mi diceva a proposito d'un suo studio, non più compiuto, sulla filosofia del Leopardi, « di colorire un disegno, che mi mettesse al riparo dall'accusa d'incompetenza.... Questo fu di studiare e scoprire, mediante una diligente disamina dei Pensieri, come il pensiero del Leopardi dall'indirizzo teologico (badi bene che io non dico la fede, il credo) che in lui fu precoce, sia passato man mano all'indirizzo filosofico, da un razionalismo religioso, insomma, non disgiunto da un certo misticismo (l'adorazione della natura, e la piena fiducia posta nella medesima, di contro alla pura ragione), ad un razionalismo scettico, cioè al termine ultimo fatale del razionalismo. La prima filosofia del Leopardi fu una filosofia teologica, come ben fa comprendere egli stesso, quando si mostra sodisfatto di trovare il suo sistema d'accordo coll'insegnamento ortodosso, cioè ebraico-cristiano. Negli ultimi due volumi dei Pensieri, il Leopardi capovolge addirittura i due termini, poichè la Natura, cioè l'ordine cosmico, è addirittura il Male (secondo il razionalismo Brahmanico e Buddhistico, e le moderne dottrine puramente naturalistiche, scettiche o pessimiste che si vogliano dire), e per contro la

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suviana, a Napoli e a Teramo prendeva a soggetto di una sua dotta e arguta conferenza La solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso, a proposito della « Ginestra del Leopardi; Teramo, 1906. A illustrazione di questo Canto son da vedere, oltre, che s'intende, le belle pagine dello ZUMBINI (Studi sul L., II, 299 ss.), i notevoli Saggi del CESAREO, nelle Nuove ricerche ecc., p. 81 ss., e del LOSACCO, Per gli antecedenti della << Ginestra, Torino, 1896; e le noterelle di F. DELFINO e di A. CHIAPPELLI, nella « Rassegna critica della letteratura italiana», Napoli, 1898, v. III, pp. 57 ss., 110-111.

Ragione o senso umano è il sussidio più valido che l'uomo abbia per evitare o temperare i mali dell'esistenza. Gli è che quel concetto della Natura benigna, amorevole, provvidente ecc., suggeritogli (indipendentemente dalle dottrine del Rousseau, delle quali han voluto farlo settatore) dalla dottrina cristiana che in sostanza è un eudemonismo metafisico, il Leopardi lo disdisse, in forza delle sempre più profonde sue meditazioni filosofiche sulla natura universale. Prima si ebbe il dubbio (0 natura, natura,... perchè... perchè di tanto inganni i figli tuoi?), e poi riconobbe assolutamente la natura come matrigna, carnefice, avversa alle aspirazioni eudemonistiche della coscienza umana, e cercò i fondamenti dell'etica, e il rimedio contro le conseguenze del pessimismo, nella solidarietà sociale, nel culto delle virtù civili, secondo l'esempio degli antichi. E anche questo è un lato della filosofia leopardiana, che dai tanti che sdottoreggiano sul Leopardi non fu inteso.... » 1.

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1 Del Carattere della filosofia leopardiana discorre, con la sagacia e la perspicuità che gli son proprie, FELICE Tocco, nella miscellanea nuziale Da Dante al Leopardi, Milano, Hoepli, 1904, pp. 565 ss. Egli conclude così: « La vera, la sola filosofia del Leopardi è quella che scruta il fine dell'esistenza e si affatica a risolvere il terribile problema del male. È una filosofia della valutazione, che si fonda principalmente sul sentimento e non spegne la fantasia, la quale il nulla stesso sa rappresentare come un'entità rivestendolo dei più foschi e paurosi colori. È una filosofia, sulla cui saldezza il severo ragionatore avrebbe molto da ridire, ma che par fatta a posta per contentare e salvare il poeta ».

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