Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Ma si capisce come tutte codeste belle e buone prescrizioni igieniche non dovessero appagare nemmeno il medico. Che sapeva mai lui se l'infermo avesse ancora forze bastanti a ballare o a tirar di scherma, a cavalcare o a nuotare, perfino anzi a passeggiare un po' a lungo e all'aria aperta? Occorreva per lo meno guardarlo in faccia e ascoltarne il cuore! E il Giordani si lascia sfuggir di bocca una promessa. Scrive:

Erami venuto in mente, tanto mi sento affezionato a Lei, che l'anno venturo se mi riuscisse di aver accomodato le cose mie domestiche, non mi rincrescerebbe di stare per qualche tempo in quel Recanati dov'Ella tanto si annoia; e starvi unicamente per interrompere un poco i Suoi studi; darle un orecchio e un cuore che volentierissimo ricevessero le Sue parole; forzarla a lunghe e frequenti passeggiate per cotesti colli Piceni, e distrarla un poco dalla fissazione delle malinconie.... Veda Ella dunque in qual modo io pensi a Lei. E certo ho un grande e continuo desiderio di conoscerla di persona, come rarissimo se non unico signore; e di poterla in qualche cosuccia, secondo il mio niente, servire.

Il Giordani a Recanati? Giacomo non sta più nei suoi panni. S'affretta a rispondere (30 maggio):

Non dovrei desiderare che Ella mi conoscesse di persona, perchè certo mi troverà minore assai che forse non pensa: ma io tanto veramente e grandemente La amo, che mi fa dare in pazzie il solo pensare che l'anno vegnente, se la speranza ch' Ella mi ha dato non è vana, io vedrò Lei e Le parlerò. E parimente non dovrei desiderare che una persona che amo tanto venisse a cercar tedio e nausea per me; ma tutte queste considerazioni non possono fare che io non lo desideri caldamente, anzi La preghi quanto posso che meni ad effetto il Suo pio disegno.

E d'aver quella visita egli diventa sempre più impaziente. Il Giordani la promette come probabile; non può darla ancora per sicura. Ripete (10 giugno): << Se Dio mi concederà ch'io venga in cotesti paesi, sono già risoluto di usarle cortese violenza; e di obbligarla a camminar molto, e fare esercizio: di questo Ell' ha bisogno, e non di studio » . E il Leopardi (20 giugno): « Basta che Ella si risolva di venire e il più presto che potrà; il che mio padre (che La saluta) vuol che Le raccomandi ogni volta che Le scrivo ».

Il più presto! Ma il Giordani aveva parlato dell'anno venturo! Onde questi ripiglia (3 luglio):

Per quest'anno mi sarà impossibile di soddisfare al gran desiderio che ho di venire a Recanati per voi. Ma spero bene che l'anno venturo, poichè sarò stato in primavera a visitare Canova, passerò l'estate a visitarvi; che ho tante e tantissime cose da dirvi. Riveritemi e ringraziatemi parzialissimamente il vostro signor padre. Lasciatemi raccomandarvi sempre la vostra salute. Se sapeste quanto mi preme! Per carità, fate moto ed esercizio.

Un anno ancora, dunque: periodo ben lungo per chi aveva da trascinare la vita giorno per giorno, con noia e fatica, e nell'incertezza del domani! Giacomo risponde (14 luglio):

Dunque bisognerà aspettare un anno prima di vedervi. Caro Giordani, se io fossi mio, le catene e le inferriate non mi terrebbero che non volassi a voi. Ma io sono come la montagna di Maometto, che tutto si può muovere eccetto lei, e bisogna venirla a trovare. Speranze non fondate sopra di me, ed, oltrechè non son terreno per queste, non vogliate far della mia vita più capitale che non ne fo io, che ogni giorno lo conto per guadagnato. Addio, Giordani mio. M'è gran conforto il pensare a voi in questa mia, per più cagioni da qualche tempo, infelicissima e orrenda vita. Di meliora piis: miglior vita al mio dolcissimo Giordani!

Il quale, di questa chiusa più dell'usato triste, più che mai si spaventa, e chiede ansioso, il 24 luglio:

Oh che è questa vita vostra infelicissima ed orrenda? Perdio mi lacerate il cuore. Non so indovinare ciò che vi molesti; ma troppo

1 Ora per la prima volta i due amici si danno del voi. La proposta venne dal Leopardi. Il quale, chiedendo licenza al Giordani d'indirizzargli, con una lettera pubblica, la traduzione del Dionigi del Mai, gli scriveva (20 giugno): « In essa lettera La tratterò col voi (perchè la terza persona mi pare grand' impaccio allo stile), il che farei sempre se non temessi di non avere corrispondenza, perchè in verità quando Le parlo, vorrei parlarle a quattr' occhi e che non ci fosse sempre la Signoria in mezzo che mi sentisse. Se Ella mi promette di corrispondermi, Le prometto anch'io che, quanto a Lei, farò un crocione alla Signoria. Son persuaso che in queste baie non istà l'amicizia; ma, quando un uso porta più comodi e vantaggi che un altro, mi par che sia da preferire ». E il Giordani (3 luglio): « Io voglio fare tutto quello che piace al mio Contino, che singolarissimamente amo: però se Le piace diamoci del voi ».

L' « INFELICISSIMA E ORRENDA VITA »

65

chiaro veggo che non siete sano, o almeno vigoroso. Per carità abbiatevi ogni possibil cura. Esercitatevi, divertitevi... Oh se mi fosse conceduto di venirvi a visitare! Ma è impossibile ora.

E tre giorni dopo, non essendo punto tranquillo, torna a scrivere:

Tutto va bene della erudizione e degli studi. Ma della salute voi mi fate spasimare. Che è questa lunghezza e frequenza d'incomodi? e quali incomodi? Per carità, o ubbiditemi, o non mi scrivete mai più. Se non volete scemare (e bisognando, anche cessare per un pezzo) le fatiche mentali; divertirvi; esercitare il corpo: se vi ostinate a volervi o ammazzare o incadaverire; fatemi la carità, scordatevi di me, non mi dite più niente, e risparmiatemi questa pungentissima afflizione. Quasi patirei meno vedendovi rovinare nei vizi (come fanno milioni di pari nostri) che vedere un eccesso di virtù condurre a perdizione un miracol di natura. Vel dico davvero; non mi regge il cuore di restarvi amico, se non attendete (ma da senno) a conservarvi. Voi mi date una gran tortura, accennandomi mali e tristezze orrende; e non dicendomi quali... Oh se potessi venir volando a vedervi!

Giacomo replica con una delle più strazianti lettere che egli abbia mai scritte. Ha la data dell'8 agosto.

Quando un giovane dice d' essere infelice, d'ordinario s'immaginano certe cose che io non vorrei che s'immaginassero di me, singolarissimamente dal mio Giordani: per il quale solo io vorrei essere virtuoso quando bene non ci avesse altro spettatore nè alcun premio della virtù. Però vi voglio dire che, benchè io desideri molte cose e anche ardentemente, com'è naturale ai giovani, nessun desiderio mi ha fatto mai nè mi può fare infelice, nè anche quello della gloria, perchè credo che certissimamente io mi riderei dell' infamia, quando non l'avessi meritata, come già da qualche tempo ho cominciato a disprezzare il disprezzo altrui, il quale non crediate che mi possa mancare. Ma mi fa infelice primieramente l'assenza della salute, perchè, oltrechè io non sono quel filosofo che non mi curi della vita, mi vedo forzato a star lontano dall' amor mio, che è lo studio. Ahi, mio caro Giordani, che credete voi che io faccia ora? Alzarmi la mattina e tardi, perchè ora, cosa diabolica!, amo più il dormire che il vegliare. Poi mettermi immediatamente a passeggiare, e passeggiar sempre senza MAI aprir bocca nè veder libro sino al desinare. Desinato, passeggiar sempre nello stesso modo sino a cena: se non che fo, e spesso sforzandomi e spesso interrompendomi e talvolta abbandonandola, una lettura di un' ora. Così vivo e son vissuto, con pochissimi intervalli, per sei mesi.

L'altra cosa che mi fa infelice è il pensiero. Io credo che voi sappiate, ma spero che non abbiate provato, in che modo il pensiero possa cruciare e martirizzare una persona che pensi alquanto diver G. LEOPARDI, I Canti.

5

samente dagli altri, quando l'ha in balìa, voglio dire quando la persona non ha altro svagamento e distrazione, o solamente lo studio, il quale perchè fissa la mente e la ritiene immobile, più nuoce di quello che giovi. A me il pensiero ha dato per lunghissimo tempo e dà tali martirii, per questo solo che m'ha avuto sempre e m'ha intieramente in balìa (e, vi ripeto, senza alcun desiderio) che m'ha pregiudicato evidentemente, e m'ucciderà, se io prima non muterò condizione. Abbiate per certissimo che io stando come sto, non mi posso divertire più di quello che fo, che non mi diverto niente. Insomma la solitudine non è fatta per quelli che si bruciano e si consumano da loro stessi. In questi giorni passati sono stato molto meglio (di maniera però che chiunque sta bene, cadendo in questo meglio, si terrebbe morto); ma è la solita tregua che dopo una lunga assenza è tornata, e già pare che si licenzi, e così sarà sempre che io durerò in questo stato, e n'ho l'esperienza continuata di sei mesi, e interrotta di due anni. Nondimeno questa tregua m'avea data qualche speranza di potermi rifare mutando via. Ma la vita non si muta; e la tregua parte, e io torno o più veramente resto qual era.

Sottoscrive: «Sono il vostro buon Leopardi ». Ed è un ultimo tocco, che ci commuove di tenerezza, come il singhiozzo rattenuto o il sussulto di pianto d'un bambino, che non voglia farsi veder piangere.

Oramai egli non ha la mente che al giorno in cui il Giordani sarà accanto a lui. È assalito da « un nembo e una furia di pensieri », che vorrebbe confidargli e che serba per la sua venuta. « Credo », soggiunge, « che, se ci vedremo, io starò qualche giorno senza dirvi niente, per non sapere da che cominciare. Non sarà poco se vi darò spazio di mangiare e di dormire, che non v'assedi del continuo col mio favellare». Sa che sono <«< castelli in aria »; ma ne fa per distrarsi. « Vedete », scrive il 29 agosto, « che non posso dire di esser sano; ma lieto mi sforzo di essere per amor vostro. Avrei sommo bisogno di distrazioni, ma non ne ho: ohimè! mi ridarebbero la salute e la vita». Uscire, uscire una buona volta dal borgo selvaggio, dove « si sta tra animali »: questa sarebbe stata distrazione vera! « A Recanati posso morire, certo è che non ci vivrò », dichiara risolutamente. E il Giordani ne prende coraggio per ribattere oramai sul chiodo anche lui (9 settembre):

Duolmi assai assai della vostra salute; che non cesserò mai di raccomandarvi. Gran rimedio, e unico, sarebbe muovervi, distrarvi, cercar un poco di nuovo paese: e comincerei da Roma. Penso che vostro

signor padre avrà cura di un sì prezioso figlio; e penserà non poter meglio usare la sua fortuna che nel conservarvi sano e lieto, e mantenervi a quelle uniche e rarissime speranze che di voi ha l'Italia.... Oh se io potessi venirvi a trovare, e consolarvi un poco!... Spero che l'anno venturo vi vedrò sicuramente. Ponete ogni vostro pensiero a conservarvi. Perchè non cavalcate? Ciò dovrebbe pure giovarvi. Lo studio v'è nocivo; ma l'ozio noioso vi tormenterà: procacciatevi dunque (ve ne prego) qualche salutare esercizio.

Intanto, quasi per consolarlo, gli diceva un gran male della sua Piacenza, dove s'era nuovamente « incardinato ». Anche questo che « povero paese!». E per « la penuria de' libri anche più usuali, propriamente miserabile e vergognosa », Piacenza si trovava alla pari, se non al disotto, di Recanati. E qui pure, « nobiltà ignorante e superba; preti ignoranti e fanatici; moltitudine infinita di sciocchi; miserie e vizi; un governo che fa pietà ». Un po' meno male che a Recanati ci si stava, forse, per la compagnia: dacchè non vi mancavano « alcuni uomini eccellenti e rarissimi, dai quali », il Giordani confessava, « posso continuamente imparare »; e << amici fedelissimi e cari, qualche donna amabile, molta libertà di pensare e di parlare ». Quanto all'ambiente domestico, le parti erano presso che uguali, se pure non istava meglio Giacomo. Il Giordani trovava anche lui una << gran consolazione » nella sorella, « che è », diceva, << il miglior cuore del mondo, d'una ingenuità soavissima, affezionata a me quanto mai si può ». Ma il fratello, « diligentissimo nei danari, ma del restante buon uomo », andava qua e là « seminando evangelio per coglier pecunia, la quale saviamente pensa che non è mai troppa »; e lontani, vivevano « concordissimi ». A buon conto, pur nella semibarbara Piacenza, all'ottimo Pietro riusciva di vivere « quieto, libero, contento: poichè », concludeva, bisogna pur contentarsi del mediocre : facilem amo vitam parabilemque » .

1

Davvero che il povero Giacomo non aveva nessun desiderio smoderato: ma il Giordani, e si capisce, non giungeva ancora a persuadersene pienamente. « Stando a Reca

1 Orazio aveva detto, Sat. I, 2, 119: « namque parabilem amo Venerem, facilemque ».

« ÖncekiDevam »