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nati, e come ci sto io», gli spiegava meglio quel passero solitario (11 agosto), « niente mi può consolare della privazione degli studi; e nondimeno, perchè vedo che mi bisogna stare un pezzo senza studiare..., non istudio, e così fo da molto molto tempo ». Altro che di poco esser contento! S'egli si sentiva e dichiarava« infelice», se ne persuadesse, era per « l'assenza della salute », che, chiosava (29 agosto), « togliendomi lo studio in Recanati, mi toglie tutto, oltre al pen- 1 siero, che è stato sempre il mio carnefice, e sarà il mio distruttore, se io durerò in poter suo in questa solitudine ». Egli era convinto che, se mai una volta fosse pur riuscito a vedere il mondo, lo avrebbe avuto a noia, anche lui; anzi, soggiungeva, « allora forse non mi dispiacerà e fors' anche mi piacerà questo eremo che ora abborro »; ma ora, per vivere, sentiva il bisogno urgente e imperioso d'un'aria e d'una noia che non fossero recanatesi! E ohimè, << di muoversi di qua nè anche si sogna »! (26 settembre).

Dio mi scampi dalle prelature che mi vorrebbero gittar sul muso; Dio mi scampi da Giustiniano e dal Digesto, che non potrei digerire in eterno. Certo che non voglio vivere tra la turba: la mediocrità mi fa una paura mortale; ma io voglio alzarmi e farmi grande ed eterno coll'ingegno e collo studio: impresa ardua e forse vanissima per me, ma agli uomini bisogna non disanimarsi nè disperare di loro stessi.... Tutte le forze in questa maledetta città bisogna che le pigli dall'animo mio e dalle lettere vostre...

Se credete che io stia molto bene a libri, v'ingannate ma assai: Se sapeste che Classici mi mancano!... Ma le mie entrate non bastano per comprarli, e delle altrui io non mi voglio servire più che tanto.

Credo che sarete persuasissimo che qui nè per governo, nè per nessun' altra cosa non si stia meglio che a Piacenza. Questa poi è la Capitale de' poveri e de' ladri: ma i vizi mancano (eccetto questo di rubare), perchè anche le virtù. Ditemi di grazia almeno i nomi di codesti uomini insigni che avete in patria. Qui ne abbiamo da sette mila tutti insigni per la pazienza che hanno di stare a Recanati, la quale molti nobili vanno perdendo. Le donne poco più hanno di quello che si son portate dalla natura, se non vogliamo dire un poco meno; il che si può bene della più parte. Non credo che le Grazie sieno state qui mai, nè pure di sfuggita all'osteria.....

De' molti fratelli ne ho uno con cui sono stato allevato fin da bambino (essendo minore di me di un solo anno), onde è un altro me stesso, e sarà sempre insieme con voi la più cara cosa che m'abbia al mondo, e con un cuore eccellentissimo, e ingegno e studio di cui potrei dire molte cose se mi stésse bene: è il mio confidente universale, e partecipe tanto o quanto degli studi e delle letture mie: dico tanto o quanto,

IL « PERFETTO SCRITTORE ITALIANO »

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perchè discordiamo molto, non per l'inclinazione, amando lui gli stessi studi che io, ma per le opinioni. Questi vi ama, come è naturale solo che altri vi conosca in qualche modo, e questi è il solo solissimo con cui apro bocca per parlare degli studi; il che spesso si fa, e più spesso si farebbe se si potesse senza disputa, le quali sono fratellevoli, ma calde. 1

Mi duole fieramente del vostro Panegirico che ancora è per la strada. Oh qua bisognerebbe che venissero gl'impazienti, quelli che quando desiderano una cosa ardentemente non sanno soffrire indugio! Io pure una volta avea questi vizi, ma vi so dir io che quest' inferno doma tutte le passioni.

Il cavalcare che mi consigliate, certo mi gioverebbe, ed è uno dei pochi esercizi che io potrei fare, dei quali non è nè il nuotare nè il : giocare a palla nè altro tale, che non molto fa mi avrebbe dato la vita ed ora mi ammazzerebbe, quando io mi ci potessi provare, che è impossibilissimo. Potrei, dico, cavalcare se avessi molte cose che non ho. Vo contando, mio caro, i giorni e i mesi che mi bisogna passare prima di vedervi.

Intanto che Giacomo riempiva così, descrivendola nella sua snervante monotona, la sua squallida vita, l'amico piacentino, ingenuamente estasiato dietro il fantasma del « perfetto scrittore italiano» che vedeva sempre meglio ingigantire e impersonarsi nelle gracili forme del contino marchigiano, gli gridava: Inveni hominem! (21 settembre).

Appena lo credo a me proprio; ma è vero. Che ingegno! che bontà! E in un giovinetto! e in un nobile e ricco! e nella Marca! Per pietà, per tutte le care cose di questo mondo e dell'altro, ponete, mio carissimo contino, ogni possibile studio a conservarvi la salute. La natura lo ha creato, voi l'avete in grandissima parte lavorato quel perfetto scrittore italiano che io ho in mente. Per dio, non me lo ammazzate!.... Per l'amore d'ogni cosa amabile, fate, Giacomino mio adoratissimo, di tener vivo all'Italia il suo perfetto scrittore, ch' io vedo in voi e in voi solo. Non vi avviliscano le malinconie, le langui

1 Al Giordani, che richiese qualche spiegazione su codeste divergenze fraterne, il Leopardi rispose (21 novembre): « Sappiate che questo scellerato non vuol sentire il nome di differenze, nè anche mi concede che tra noi veramente ci sieno; vedete quanto andiamo d'accordo! Le stesse controversie non vi si possono scrivere, perchè sono infinite, e ne nasce tutti i giorni come i funghi. Basterà che sappiate che le cagioni dalla parte di Carlo sono poco amore della patria, poco degli antichi, molio degli stranieri, moltissimo dei Francesi». Differivano anche fisicamente: « ch' egli », riscriveva Giacomo (5 dicembre), « è alto e fatticcione da metter paura a me scriatello e sottilissimo ».

dezze presenti, i martirii del pensiero: io le ho provate tutte nella vostra età; e sono sopravissuto. Io sino ai venti anni sono stato così moribondo che nè io nè altri potesse di dì in dì promettermi una settimana di vita: ed ho avuto molte altre calamità, che voi Dio grazia non avete. Dunque confidatevi, amatevi, curatevi. Conservate la vostra vita, come se l'aveste in deposito dall' Italia, e come se nel deposito si conservassero grandissime speranze di gloria e di felicità nazionale... Io ho innanzi agli occhi tutta la vostra futura gloria immortale: al che nulla vi bisogna fuorchè vivere. Per l'Italia nostra, mio Giacomino, per la nostra sfortunata e cara madre, sappiate vivere. A ciò solo pensate: reliqua omnia adiicientur tibi. 1

Passa più d'un mese, dopo questa lettera, senza che il Giordani si faccia più vivo con l'amico desolato. Il quale, immaginando « quelle più acerbe cose che si possono pensare di persona più cara che la vita propria >> »>, ne prova << strette di cuore così dolorose, che altre tali non si ricorda di avere mai provato in sua vita » (21 novembre). « Perchè certo, gli spiegava, << io vivo sempre con voi, e ne' miei pensieri mi trattengo con voi, e studio per piacere a voi; e già per questo miserabile sospetto mi parea di non avere più motivo di studiare, e pensando al futuro non vedea come potessi vivere altrimenti che in uno stato simile a quello dell'anima divisa dal corpo, il quale dicono i filosofi che sia violento ». Intenerito sempre più d'un tanto amore, il Giordani gli protesta il suo, non meno caldo. «< Sappiate bene », gli scrive (30 novembre), «< che nella vostra età io era tutto come voi; e se ora l'aver vissuto e troppo conosciuto gli uomini ha moderato il mio cuore, non lo ha però molto cangiato ». E lo conforta del non essere, com'egli aveva supposto, l'oracolo della Marca », ricordandogli che « anche il Messia quando era piccolino non era molto ascoltato da' suoi patriotti » (17 dicembre).

Un raggio di sole era intanto penetrato in quel romito carcere feudale. La sera dell'11 dicembre, giungeva in Recanati, ospite di Monaldo, la giovane contessa Geltrude Cassi, sua lontana parente. Del subuglio di fremiti, di desiderii, d'ammirazione, di passione, che la vista e la conversazione

1 Nell' Evangelo di Matteo, VI, 33, è scritto: « Quaerite ergo primum regnum Dei, et iustitiam eius: et haec omnia adiicientur vobis ».

della bella signora suscitò nel deserto di quel cuore di poeta, così assetato di affetti, avrò occasione di toccare più avanti, nelle illustrazioni all'elegia Il primo amore. Qui rileverò soltanto l'eco che di quel rimescolamento rimane nelle lettere al Giordani. Il 22 dicembre, otto giorni dopo la partenza della contessa, Giacomo gli scriveva:

Mi consolate assai quando mi dite che fra pochi mesi ci vedremo. Oh mi bisogna, o mio caro, la presenza vostra più che forse non vi figurate. La salute adesso mi lascia far qualche cosa, ed io son tornato alle mie vecchie malinconie, e mi rallegro di potermi pure affliggere per altro che per la infermità, che è bene un' afflizione sterile e sgradita.... M'è accaduto per la prima volta in mia vita di essere alcuni giorni, per cagione non del corpo ma dell'animo, incapace e non curante degli studi in questa mia solitudine. Nondimeno tornerò, benchè con isvogliatezza, al Tasso e alle altre mie letture... In verità ne' giorni addietro, vedendomi così fuor del mondo letterato, colle mani legate, senza, per così dire, potermi voltare da nessuna banda..., pigliavami una rabbia, ch'io n'indiavolava. Ma ora nè di biblioteche nè di dissertazioni nè di furori nè d'altre tali cose non mi cale, nè mi può calere nè poco nè punto... Addio, carissimo e dilettissimo mio. Vogliatemi bene, e conservatevi al più ardente e smanioso degli amici vostri: il quale così potesse esser felice e beato in voi, come in sè stesso sarà sempre infelice, e andrà tuttavia lamentando il suo fato ed il perduto Fior della forte gioventù.

E il 16 gennaio del 1818, a proposito della Biblioteca Ita liana e del suo direttore, l'Acerbi, che il Leopardi, senza conoscerlo, teneva « per un di quei galantuomini in chermisi» (noi diremmo un furbo matricolato, e il Giordani, conoscendolo, giudicava « il più infame diffamato mascalzone, che tutti predicano per spia pubblica; ed è questo il minimo de' suoi vituperii », Giacomo usciva in queste singolari rivelazioni:

È un pezzo, o mio caro, ch' io mi reputo immeritevole di commettere azioni basse, ma in questi ultimi giorni ho cominciato a riputarmi più che mai tale, avendo provato cotal vicenda d'animo, per cui m'è parso d'accorgermi ch'io sia qual cosa meglio che non credeva, e ogni ora mi par mille, o carissimo, ch'io v' abbracci strettissimamente, e versi nel vostro il mio cuore, del quale oramai ardisco pur dire che poche cose son degne.... Nè io sarò meno virtuoso nè meno magnanimo (dove ora sia tale) perchè un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma di giornalisti parlarne. Oramai comincio, o mio caro, anch'io a disprezzare la gloria, comincio a intendere insieme con voi che cosa sia contentarsi di sè medesimo, e mettersi colla mente

più in su della fama e della gloria e degli uomini e di tutto il mondo. Ha sentito qualche cosa questo mio cuore, per la quale mi par pure ch' egli sia nobile, e mi parete pure una vil cosa voi altri uomini, ai quali se per aver gloria bisogna che m' abbassi a domandarla, non la voglio; chè posso ben io farmi glorioso presso me stesso, avendo ogni cosa in me, e più assai che voi non mi potete in nessunissimo modo dare.

S'intende che in quel voi altri uomini ei non voleva compreso colui al quale la lettera, non già quell' apostrofe, era diretta! E anzi, non ricevendone più notizie, gli riscrive il 13 febbraio, chiedendogli angosciato: «M'abbandonerete anche voi così solo e abbandonato come sono?». Il Giordani s'affrettò a rispondere, a volta di corriere (il 21), scusandosi premurosamente dell'involontario ritardo, e soggiungendo:

Mi accorate, mostrandovi così malinconico. Oh se io potessi rallegrarvi! Per carità fatevi coraggio: voi mi atterrate, quando mi vi mostrate in languore e patimento. Credevo di vedervi in maggio: ma bisogna soddisfare a mio fratello, che non vuole aspettare; e bisogna andar prima a Venezia. Ad ogni modo ci vedremo in quest'anno; e sarò prima da voi che in Roma, e per questa sola cagione passerò per la via di Loreto, e non per la più breve di Toscana... Vi raccomando la salute, e l'allegria. Se alla salute è indispensabile assolutamente l'uscire un poco di costì, m'inginocchierò a vostro padre; e forse si troverà modo a conseguirne questa grazia. Intanto non vi abbandonate così alla tristezza. Eh, se vi toccasse di patire quel che ho patito io, e tanti altri, che fareste allora Sappiate godere tanti vantaggi che avete.

Il Giordani o davvero non intendeva bene, o fingeva di non intendere. E Giacomo cerca di spiegarsi meglio (2 marzo).

Della salute sic habeto. Io per lunghissimo tempo ho creduto fermamente di dover morire alla più lunga fra due o tre anni. Ma di qua ad otto mesi addietro, cioè presso a poco da quel giorno ch'io misi piede nel mio ventesimo anno..., ho potuto accorgermi, e persuadermi, non lusingandomi, o caro, nè ingannandomi, chè il lusingarmi e l'ingannarmi pur troppo è impossibile, che in me veramente non è cagione necessaria di morir presto, e purchè m'abbia infinita cura, potrò vivere, bensì strascinando la vita coi denti, e servendomi di me stesso appena per la metà di quello che facciano gli altri uomini, e sempre in pericolo che ogni piccolo accidente e ogni minimo sproposito mi pregiudichi, o mi uccida... Questa ed altre misere circostanze ha posto la fortuna intorno alla mia vita, dandomi una cotale apertura d'intel

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