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e costumata tanto, che la persona parvola di Dante cominciò a sostenerne fiera passione. La precocità dell'amore, come la precocità intellettiva, non è rara nella vita dei grandi artisti. Tra i moderni il Byron racconta di sè che fanciullo d' otto anni amò la bambinetta scozzese Maria Duff. Sorrideva la gente di quella passione infantile; ma quando egli a sedici anni intese che Maria, già da molto tempo lontana, s'era fatta sposa, fu per morirne di dolore. Rivediamo Beatrice assai più tardi, biancovestita, volgersi a lui per via con bel salutare; ond' egli rimase innebriato virtuosamente sì, che dovè raccogliersi in solitudine, per gustare meditando la beatitudine del saluto. La lacuna di nove anni nel racconto è spiegata dalla osservazione stessa di Dante, che dar valore a passioni ed atti di tanta puerizia sarebbe sembrato un parlar favoloso. Allora e sempre, avversario d'ogni indugio e d'ogni superfluità in arte, disdegnoso d'attribuirsi frivoli vanti, procede spedito, nè si preoc cupa delle nostre postume curiosità. In questo solo riassume i nove anni: ch'egli cercò sempre di vedere quell'angiola giovanissima, per ammirarne i nuovi e laudabili portamenti.

E vennero i sogni e le visioni d'amore. Vere visioni o sogni penso io; non che avessero in sè alcuna cosa d'obbiettivo e di profetico, benchè da luoghi del Convito e della Commedia apparisca che Dante stesso lo credesse; ma inavvertiti e vivaci effetti di quella grande potenza d'astrazione ch' ebbero parecchie menti privilegiate, e che talora è propria dell'età giovanile, delle fantasie fervide, delle complessioni gracili, come appunto era allora quella di Dante. Esistono alcune creature, ed io ne conosco, dotate di così pronto immaginare che, fino a un certo limite, possono sognare ciò che vogliono, e mettersi da sè in in istato di continuare, dormendo, il fisso contemplare della veglia. Quanto più queste virtù native, benchè rare, non dovevano parere meravigliose ed arcane nel medio evo, quando la stessa astrologia, con importanza e nome di scienza, era insegnata nelle Università di Padova, di Bologna, di Parigi? E

quantunque Dante condannasse il Bonetti e l'Asdente a una pena più di scherno che di dolore, nondimeno egli credeva alla veracità di certi sogni mattinali, credeva alle influenze sideree, e dall'astrologia traeva in parte la sua fede nelle combinazioni numeriche del tre e del nove.

Neppure continua dovea rimanere a Dante la compiacenza del saluto. Quand'egli a celare il suo segreto cercò lo schermo d'altra donna, che un giorno s'era interposta in chiesa tra gli sguardi suoi e Beatrice, e di questo schermo si valse oltre i termini della cortesia, a Beatrice dispiacque la simulazione, come non degna d'animo retto e discreto; forse anche le dispiacque che una straniera si frapponesse tra lei e il suo poeta, al quale voleva esser sola ispiratrice d'amore e d'arte a fine di virtù. Allora gli negò il dolce salutare, e Dante ne pianse e s'addormentò nelle lacrime, come un pargoletto battuto. Lievi sdegni e corrucci, tanto consueti in amore, e tanto inesplicabili, se la donna vera si dileguasse dal racconto nel· l'ombra d'un' astrazione o d'un simbolo.

Ed ecco un altro cenno, non meno vivo, d'atti femminei in Beatrice. Ell' era a convito di nozze, e Dante intervenne. Pareva fosse costume di questa città che i cavalieri servissero a mensa le gentildonne. Ma Dante alla vista di lei fu vinto da subito tremore, e dovè per ismarrimento di sensi appog giarsi alla parete. S'accorsero le donne di quel trascolorare, e, meravigliando e sorridendo tra loro, si gabbarono di lui. Convenne a Dante pel suo turbamento lasciare il convito: ma a quel bisbiglio e a quel sorriso aveva preso parte Beatrice, disapprovando velatamente l'estrema debolezza di Dante, che esponeva ambedue a men benigni sorrisi. La sposa di Simone de' Bardi doveva operar così. Nè diversa fu poi l'alpestre e cruda virtù di Laura, di cui disse il Petrarca che:

rivolgeva a gioco

Mie pene acerbe sua dolce onestate.

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Morta era l'amica di Beatrice, moriva anche il padre di lei. Cominciavano ad errare nelle visioni e nei canti i mesti presagj della fine. Dante infermo, vaneggiando, vede il lutto della natura, e gli uccelli volando cadere, e la terra tremare, e correr donne scapigliate, ed altre donne coprir d'un velo la bianca faccia dell' estinta. E mentre coi biblici segnali del finimondo è accompagnato nella turbata fantasia quell'avvenimento, gli angioli come pioggerella di manna si conducevano Beatrice su in cielo, e la morta rimaneva in atto d'umiltà verace, che parea che dicesse: io sono in pace. Quel sogno è come lo sgomento naturale di chi ama una perfetta e fragile creatura. Udiamo dire tra le paurose madri del popolo, di qualche loro fanciulletto bello e savio oltre il costume: non può vivere; ha troppo senno. E Menandro nel verso:

Muor giovane colui ch' al cielo è caro;

e Petrarca nell'altro:

Cosa bella e mortal passa e non dura;

ripetevano a distanza di tempi il pensiero trepido di Dante:

Madonna è disïata in l'alto cielo.

Forse Dante notava nel viso della sua donna farsi più diafano quel pallore, ch'egli avea detto aver somiglianza colla perla; pallore che leggermente si muta in roseo alla luce. E ricordo questo per la rarità degli accenni alla bellezza corporea di Beatrice. Forse notava anche l'andare più stanco della persona, nella meraviglia che destava intorno a sè, quando la gente si volgeva a riguardarla. Allora egli s'affretta, s'affretta a far più delicata l'amorosa lode. E scrive due sonetti con tocchi ritmici di soavità inestimabile, con frasi formate di parole chiare e agili sì, che la nostra lirica d'amore non ebbe mai melodie più fine. Egli stesso potè dire di quell'arte sua, che l'aveva

allevata per figliuola d'amor giovane e piana. Prima che si partisse dalla terra, osò chiamar quella gentilissima col nome di Monna Bice. Nel nomignolo familiare ella si fa umana anche più graziosamente del solito; e quel nomignolo rimane nitido e caro suggello della realtà sua.

Indi a poco la morte vera, non la sognata. Dante non s'affanna con dolore rumoroso, come il Petrarca:

Ohimè 'l bel viso, ohimè 'l soave sguardo.

Non pensa alla bellezza corporea svanita. Geme sommesso co' treni di Geremia, austero e rassegnato. Né piange colle donne e co'pellegrini che passano per la contrada. Le donne rimangono le sue pietose confidenti, e si compiace del loro compatire. Pare se ne compiacesse anche troppo! L'ultimo sonetto prende un' epica intonazione:

Oltre la spera, che più larga gira,

Vede una donna, che riceve onore,

E luce sì, che per lo suo splendore
Lo peregrino spirito la mira.

E sono i versi della Vita Nuova che più s' appressano all' armonia larga, vigorosa e profonda della Commedia. Qui è il preconio e l'augurio di più alti canti. Una mirabile visione gli impone silenzio al leggero cantare, finchè non dica di quella benedetta ciò che mai non fu detto d'alcuna.

Finisce qui il dolce libro. La giovinezza di certi uomini straordinari non va misurata dalla giovinezza comune, nè i loro amori dai comuni amori. A parte ebbero gioie ed affanni. Studiateli soli, non li paragonate a nessuno, e men che meno a noi, gente di piccoli tempi, di fiacche fedi, di poveri ideali. Furono sognatori, dicono: ma i loro sogni valgono infinitamente più che le nostre veglie stanche e sonnacchiose. So

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gnando, toccarono quel misterioso confine, da cui il divino s'irraggia senza confondersi nella universale natura, e ne sentirono in sè stessi l'aura, l' inenarrabile, il numen. Umili e superbi insieme, ingenui e profondi, attinsero alle sorgenti dell'infinito quel refrigerio che manca alle nostre disseccate intelligenze, la fede gagliarda e inconsumabile nelle cose alte, nella virtù, nell'avvenire, nella patria, nella donna, nell'amore, in Dio. Impetuosi e timidi, furono naturalmente polisensi nelle opere loro, perchè non sapevano quale preferire e quale abbandonare dei molti e forti amori onde aveano affocato il petto. Io dico essi, i genj, i solitarj, e dovrei dire l'unico Dante, poichè le opere degli altri non mi danno il divino nell'umano quanto la sua.

Altri tempi, altre cure. Le fazioni, il matrimonio, il priorato, Bonifazio VIII, Carlo di Valois, gl'incendj, i clamori della città partita, e finalmente le condanne ed il bando. Dante che aveva empito le carte giovanili della parola umiltà, imparò l'ira negl'immedicabili dolori della povertà e dell'esilio; e si levò ministro inesorabile di vendette oltremondane. E poichè ho accennato al matrimonio, non parmi cortesia tacere di quella dimenticata Gemma Donati, che fu sposa al Poeta e madre de' figli suoi. Gemma rimane amabile per la stessa oscurità in cui la lasciò il tempestoso marito. Fra le donne virtuosamente ispiratrici e le donne casalinghe, operose e modeste, corre la differenza che passa tra una bell'acqua di brillante e una bell'acqua di fontana. Il brillante è raro, è ammirato, è un lusso della vita, è un superbo dono di natura all'arte. L'acqua disseta, irrora, rispecchia nella sua semplicità e trasparenza le cose belie del cielo e della terra; ma fugge via dai luoghi che ha rinfrescato, senza chieder gratitudine agli uomini, agli uccelli, alle piante. Tutti si giovano della salubrità sua, pochi o niuno la loda: solo Pindaro nella prima delle Olimpiadi gridò: ottima è l'acqua. Il silenzio di Dante su Gemma non è però contrassegno d'animo ingrato. Un silenzio eguale ei

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