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favella, come pel sapore dello stile. S. Caterina fu, secondo il detto di un illustre scrittore, non meno pulita nello scrivere che in contaminata nel vivere. Il Gigli si armò delle sue prose italiane per contrastare a Firenze il primato nella favella, e scrisse il Vocabolario detto Cateriniano, in cui beffò l'Accademia della Crusca, che pure le avea noverate fra i testi di lingua. Molte e celebri Accademie giudicarono siffatte prose ripiene di mirabili espressioni taciute ne' dizionarj toscani, e considerate quasi come tavole della legge del parlare più colto (1),

Il volgarizzamento dell' Avversità della fortuna di Arrigo da Settimello è di pura ed adorna favella, e pieno di spirito e di vita. Ma in questi scrittori tutti (dice il conte Perticari) è bisogno il fare una squisita scelta nelle voci e nelle forme, perchè sono pieni de' loro vecchi modi che in tempo furono vaghi, e che adesso farebbero deridere chi li adoperasse, come colui che venisse in piazza colla cappa e il mazzocchio intorno la testa, come il portavano Cacciaguida e Farinata (2).

Agnolo Pandolfini è l'ultimo prosatore fra i trecentisti nell'ordine dei tempi, ma uno dei più celebri per le materie e per lo stile. Egli nacque in Firenze nel 1365, e compiè con sommo zelo il sacro dovere di servire alla sua patria, ove fu eletto prima membro del magistrato detto dei Signori, e poscia gonfaloniere di

(1) Corniani, Epo. II, art. 14.

(2) Scritt. del trecento lib. II, cap. 6.

giustizia. Sostenne con gran successo due illustri ambascerie; l'una a Ladislao re di Napoli, e l'altra all'imperatore Sigismondo. Ma la grande prudenza ed il raro senno del Pandolfini si chiarì in occasione dell'esiglio di Cosimo de' Medici; egli disconfortò i suoi concittadini dal tentare un guado così pericoloso, mostrando che i nemici del possente e ricco Cosimo con voler deprimerlo preparavano la sua maggiore grandezza; e confermava la sua sentenza principalmente colla incostanza del popolo. Il suo vaticinio s'avverò; e sembra che in forza di esso il Pandolfini potè dopo il ritorno di Cosimo conservare intatte le sue facoltà non meno che la sua riputazione, e vivere pacifico fino al 1446, in cui morì in età di ottantasei anni. Egli nelle ore di ozio e di solitudine, a somiglianza dei Romani senatori antichi, si occupava nell'economia e nell'agricoltura, e quindi compilò il trattato del Governo della famiglia, il quale così per la materia come per lo stile è senza verun dubbio una delle migliori opere morali della lingua italiana. Quantunque i compilatori del Vocabolario della Crusca lo abbiano spesse volte allegato per testo, pure questo trattato non vide la luce che nel 1734. In esso sono sparsi precetti ed ammaestramenti sulle cose che più spesso avvengono nella vita civile: nè l'autore li porge in una forma ideale e generica, ma in ispezial modo li assetta a tutto quello che si richiede al buon governo della famiglia, ai particolari obblighi di quelli che la formano, agli affari ed agli interessi domestici

che di necessità sopravvengono e continuamente ritornano. Le sentenze qua e là disseminate sono auree e degne di essere impresse a caratteri indelebili nel cuore umano. Quanto alla dicitura, dice il conte Ferri, essa è tale appunto quale da tutti i maestri di ben favellare nei dialoghi è prescritta, cioè semplice e naturale, ai ragionamenti improvvisi e famigliari somigliantissima, ma graziosa oltra modo, e leggiadra e adorna di quella purità e vaghezza che maravigliosamente fioriva in quel secolo avventuroso. Le trasposizioni del Boccaccio e gli arcaismi degli altri trecentisti furono dal Pandolfini schifati (1).

(1) Conte Ferri, Spettat. ital. sez. 3.

LIBRO SECONDO

SECOLO XV

САРО І.

Il quattrocento è il secolo dell' erudizione.

stampa.

Invenzione della

Munificenza dei principi italiani verso le lettere.

Pontefici, e particolarmente Nicolò V.
Alfonso. Visconti e Sforza.

dici in Firenze.

nelle arti liberali.

L

Re Arragonesi.

Estensi e Gonzaga.

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Me

Grandezza di Cosimo.

Grandi progressi

quattrocento fu il secolo degli eruditi, come il trecento lo fu degli ingegni creatori; se in questo il Dante, il Petrarca ed il Boccaccio rendettero illustre la italica lingua, in quello i filologi richiamarono la greca e la latina, facendo rivivere i Classici che le nobilitarono. « Si ricercano in ogni angolo codici (dice il Tiraboschi), e si imprendono a tal fine lunghi e disastrosi viaggi; si confrontan tra loro, si correggono, si copiano, si spargon per ogni parte, si forman con essi magnifiche biblioteche, e queste a comune vantaggio si rendono pubbliche; si apron cattedre per insegnare le lingue greca e latina, e in ogni città si veggon rinomatissimi professori d'eloquenza invitati a gara dalle università più famose, premiati con amplissime ricompense» (1). Tutto

(1) Tiraboschi, tom. VI, pref.

e

LIBRO SECONDO CAPO PRIMO

235

concorre a sbramar l'intensa voglia di sapere e di erudirsi: il trono de' Cesari è rovesciato in Costantinopoli e sulle torri di essa è inalberata la luna crescente; molti Greci si rifuggono nella Italia per sottrarsi al giogo musulmano, e vi propagano la cognizione della favella degli Omeri e dei Demosteni. La stampa trovata in Germania e bentosto introdotta nella Italia moltiplica in brevissimo tempo le copie dei libri, sì ricercati in questa età, e ne rende assai più facile e men dispendiosa la compera. Se Magonza, Harlem e Strasburgo si contendono la gloria di essere state la culla di quest' arte, Venezia, Bologna, Milano e Roma si disputano quella di averle prima dato asilo nella Italia, ove al certo trovò artefici industriosi e diligenti non solo, ma uomini colti ancora, e capaci di giudicare del merito de' libri che imprimevano. La brama universale di scoprir nuovi codici per diffonderli mercè dell'arte tipografica si congiunge alla ricerca de' monumenti antichi; e mentre molti eruditi si aggirano per l'Europa tutta e per l'Asia in cerca di libri, altri discorrono le stesse provincie per osservare iscrizioni, medaglie, statue, bassirilievi ed altri somiglianti avanzi d'antichità. Ai viaggi vengono in seguito le scoperte; ed un ardito Genovese dischiude un nuovo mondo alla curiosità degli eruditi, alla cupidigia de' mercadanti ed allo zelo de' missionarj.

I trecentisti però gittarono i semi di questa copiosissima messe che dovea sì rigogliosa

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