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di oracoli; nè si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero poi nel 1494 i grandi spaventi, le subite fughe e le miracolose perdite (1). Si allude qui alla discesa di Carlo VIII nella Italia, ed alla conquista del regno di Napoli da lui fatta, la quale fu sì facile e sì rapida, che Alessandro VI soleva dire, avere quel Re di Francia conquistato il regno napoletano col gesso e cogli sproni di legno; perchè non trovando resistenza in verun luogo, era sempre preceduto da' suoi forieri che segnavano col gesso gli alloggi; e perché gli uomini d'arme, per non istancarsi portando le loro pesanti armature, si avanzavano a cavallo in veste da camera colle pantofole, cui adattavano una punta di legno che loro serviva di sprone.

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Ma quando Lorenzo non fosse stato sì celebre per la sua politica e possanza, lo sarebbe divenuto pel suo ingegno poetico. Egli fu uno de' primi che cominciarono nel comporre a ritirarsi e discostarsi dal volgo, e se non imitare, come afferma il Varchi, a volere, o parer di volere imitare il Petrarca e Dante, lasciando in parte quella maniera del tutto vile e plebea, la quale assai chiaramente si riconosce eziandio nel Morgante Maggiore di Luigi Pulci, e nel Ciriffo Calvaneo di Luca suo fratello, il quale nondimeno fu tenuto alquanto più considerato e meno ardito di lui (2). Non pago

(1) Machiavelli, Arte della guerra, lib. VII. (2) Varchi, Ercol. pag. 19 dell'ediz. ven. del 1570.

Lorenzo di avere in età di circa diciassette anni compilata ad istanza del principe Federico d'Arragona una raccolta de' migliori italiani poeti, trattò egli stesso la lira e ne trasse suoni assai armoniosi. Essendo morta l'amante del suo fratello Giuliano che si crede fosse la vaga Simonetta (1), e celebrandola a gara tutti i poeti, anche Lorenzo volle cantarne i pregi, e per farlo con maggiore espressione e verità si sforzò di persuadere a se medesimo esser lui e non altri che avea perduto l'oggetto del suo amore. L'abitudine de' sentimenti teneri gli fece in appresso cercare una bellezza che meritasse di destarne di somiglianti e di essere celebrata in vita, come la bella Simonetta lo era stata dopo la morte: ei la trovò in Lucrezia dell'illustre famiglia dei Donati che divenne l'oggetto della sua passione e delle sue rime. In più di cento quaranta sonetti ed in venti canzoni le speranze, i timori, i desii dell'amante, il rigore, le ripulse, l'assenza, il ritorno, il sorriso, le dolci parole sono dipinti alla foggia petrarchesca. "Nelle rime di Lorenzo, dice l'assennato Muratori, benchè non si vegga un'intera perfezione, pure io vi trovo sì nobili e vaghe immagini platoniche, sì buon gusto poetico, che sicuramente egli supera in qualche pregio molti altri famosi poeti della nostra lingua. Se la sua vita fosse più lungamente durata, e se quella che egli menò, fosse stata più sciolta dalle cure famigliari e politiche,

(1) Roscoe, Vita di Lorenzo de' Medici, tom. II.

sto per dire che avrebbe ancor quel secolo avuto il suo Petrarca " (1). Nelle stanze poi intitolate Selve d'amore si trova una semplicità, un candore, una grazia degna veramente del secolo d'oro. Egli dipinge in un luogo il buon pastore che lascia colle mandre l'asilo in cui giacque nel verno:

E il lieto gregge, che ballando in torma,
Torna all' alte montagne, alle fresche acque;
L'agnel, trottando, pur la materna orma
Segue; ed alcun che pur or ora nacque,
L'amorevol pastore in braccio porta :
Il fido cane a tutti fa la scorta.

La Nencia da Barberino è il primo modello di quel genere che si appella rusticale o contadinesco. In un poema diviso in sei capitoli, ed intitolato l' Altercazione, Lorenzo volle dichiarare le dottrine platoniche: in esso finge di dar le spalle alla città per godere dei diletti della campagna; si scontra in un pastore, e con lui si intertiene intorno al supremo bene: sorgiunge il filosofo Marsilio Ficino; i due interlocutori lo costituiscono giudice, ed egli espone i dogmi della filosofia platonica. Vuole il Crescimbeni che Lorenzo abbia data la prima idea della satira italiana in terza rima nei due capitoli dei Beoni e della Compagnia del Mantellaccio, nel primo de' quali morde assai argutamente gli ubbriachi.

Più dei due poemetti dell'Ambra e della

(1) Perf. Poe. lib. I, cap. 3.

Caccia del falcone (1) sono celebri i Canti carnascialeschi, la cui origine è singolare, e merita di essere qui notata. Lorenzo amava il popolo, e si dava cura di renderlo non solo agiato, ma anche lieto; onde lo trattenea con frequenti spettacoli e con pubbliche feste, dicendo che queste fomentano l'unione, e distraggono gli animi popolari dal vizio e dal delitto. Già da qualche tempo in Firenze si solea celebrare il carnevale con feste straordinarie e magnifiche, nelle quali si rappresentava od il ritorno di qualche guerriero trionfante con trofei, carri ed altre decorazioni, o qualche fatto cavato dagli annali dell'antica cavalleria. Piero di Cosimo pittore fiorentino avea rappresentato il trionfo della Morte, nulla ommettendo per imprimere negli animi della moltitudine il sentimento della propria mortalità. In mezzo agli spaventosi funebri oggetti i cittadini andavano cantando intorno al carro della Morte:

Morti siam, come vedete,
Così morti vedrem voi;
Fummo già come voi siete,
Voi sarete
come noi.

Prima di Lorenzo siffatte rappresentazioni non aveano per iscopo che la semplice singolarità dello spettacolo, od erano tutt' al più accompagnate da insipide popolari canzoni. Fu egli

(1) Vedi la edizione delle Poesie di Lorenzo de' Medici fatta in Londra nel 1801, in-4°, per servire di supplemento alla sua Vita scritta dal Roscoe.

il primo che suggerì a' suoi concittadini di nobilitarle col sentimento, e di accoppiarle colle grazie della poesia. Compose adunque alcuni canti detti carnascialeschi che cantar si doveano da quegli uomini mascherati che stavano sopra od intorno al carro trionfale, o da coloro che portavano le fiaccole accese; giacchè il corteggio soleva uscire in pubblico verso l'imbrunire, ed al chiaror delle faci discorrere per la città durante una gran parte della notte (1). Arguti e pieni di natia venustà sono i versi con cui Lorenzo dà principio al suo Trionfo di Bacco e d'Arianna:

Quant'è bella giovinezza

Che si fugge tuttavia:

Chi vuol esser lieto, sia;

Di doman non v'è certezza.

Questi è Bacco ed Arïanna,

Belli, e l'un dell' altro ardenti;
Perchè il tempo fugge e inganna,
Sempre insieme stan contenti.
Queste Ninfe ed altre genti
Sono allegre tuttavia.

Chi vuol esser lieto, ec.

Questi lieti satiretti

Delle infe innamorati
Per caverne e per boschetti
Han lor posto cento agguati.
Or da Bacco riscaldati

Ballan, saltan tuttavia.

Chi vuol esser lieto, ec..

In questi eleganti e piacevoli componimenti

(1) Canti Carnase. prefaz. all'ediz.. del 1750.

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