Sayfadaki görseller
PDF
ePub
[merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small]

Per non parlare di Niccolò Malpigli bolognese, di cui non abbiamo che una canzone conservataci dal Crescimbeni, daremo principio al novero degli altri poeti di questo secolo con Giusto de Conti da Valmontone romano. Null'altro di lui sappiamo, se non che essendo in Roma nel 1409, s'invaghì di una fanciulla che fu l'oggetto delle sue rime, cui pose il titolo di Bella Mano, perchè sovente vi fa menzione di quella della sua donna:

Questa è la Man che tutto il mondo loda;
Questa è la Bella Man che l'alma ha presa.

Giusto de' Conti parve al Muratori sì abbondante di leggiadria e nobiltà nelle sue rime, che affermò di non aver molta difficoltà ad annoverarlo fra i primi poeti della nostra Italia (1). Ma fra molta leggiadria e vivezza di immagini, e fra molti teneri affetti il Tiraboschi trovò molto di stentato e di languido.

Di Niccolò Cieco d'Arezzo e di Tommaso Cambiatore non ci rimangono che poche poesie, le quali non corrispondono alle lodi che ad essi vennero largite. Meno oscuro è il Burchiello, che fu parrucchiere in Firenze, come

(1) Perf. Poesia, lib. I, cap. 3.

egli stesso dice in quel verso: la poesia combatte col rasojo. Le sue rime sono un capriccioso intreccio di riboboli, di proverbj, di motti, de' quali spesso non s'intende il senso, e che non rade volte cadono per bassezza. Non manca però di un certo sale in alcuni versi, come si può scorgere dai seguenti che egli compose contro di un pessimo medico :

Costui è si perfetto smemorato,

Che se toccasse il polso al campanile
Sonando a festa non l'aría trovato.
E non ostante che sia tanto vile,

Egli ha morti più uomini a' suoi giorni,
Che la spada d' Orlando signorile.

L'esempio del Burchiello fu imitato da Bernardo Bellincioni, che fu di patria fiorentino, ma passò quasi tutta la sua vita alla corte di Lodovico il Moro. Le sue Rime pubblicate dal Tanzi forman testo di lingua, quantunque non vadano scevre da quella rozzezza che si scorge in quasi tutti i poeti italiani di questo secolo. Un sonetto del Tibaldeo ci prova che Bellincione divenne famoso per maldicenza; giacchè in esso il poeta avverte il passeggiero di non accostarsi alla sua tomba, se non è di lingua empia e mordace, perchè entro è sepolto Bellincione, che in morder altri pose ogni sua cura (1).

Quantunque Gerolamo Benivieni sia vissuto fino al 1542, pure lo poniamo in questo luogo

(1) Tiraboschi, tom. VI, lib. III, cap. 3.

per non disgiungerlo dagli amici co' quali fu strettamente unito, cioè da Marsilio Ficino e da Giovanni Pico della Mirandola. L'argomento di quasi tutte le sue rime è l'amor divino, da lui vestito colle immagini platoniche, che eran tanto in uso a que' tempi. Il Varchi appellò questo poeta il secondo ristoratore dell'italiana poesia; ma il Muratori si dolse che le sue profonde rime, ripiene de' più nobili insegnamenti di Platone, sieno talvolta sì ruvide, sì poco gentili e chiare, e sì prive dei vivaci colori dell'ingegno amatorio, che senza il comento fatto sopra esse dall'autor medesimo, e da Giovanni Pico della Mirandola sopra la canzone che comincia Amor, dalle cui man sospeso è il freno, o nulla o troppo poco si possa comprendere della lor filosofica bellezza (1). Salì in gran fama anche Francesco Cei fiorentino; ma il Varchi per mostrare il cattivo gusto che allor regnava, porta per esempio la stima che si aveva di questo poeta. "Come si trovano di coloro, dice egli, i quali prendono maggior diletto del suono di una cornamusa o di uno sveglione, che di quello di un liuto o di un gravicembalo, così non mancano di quegli i quali pigliano maggior piacere di leggere Apulejo, o altri simili autori, che Cicerone, e tengono più bello stile quel del Ceo e del Serafino, che quello di Petrarca o di Dante " (2). La dimenticanza in

(1) Muratori, Perf. Poes. lib. II, cap. 9.

(2) Varchi, Ercolano, pag. 15 dell' ediz. ven. 1570.

cui ora giacciono le rime di Serafino Aquilano ci provano il poco conto che di esse ne fece la posterità; ed è probabile che il grande applauso da esse ottenuto fosse frutto in gran parte dell' artificio usato dal poeta di accoppiarle al suon del liuto; il che egli dovea fare singolarmente quando improvvisava. Nè con maggior piacere si leggono ora le poesie di Gaspare Visconti da Milano e di Agostino Staccoli da Urbino, il quale però fece uso di molta dolcezza ed acume ne' suoi versi; nè quelle di Antonio Tibaldeo nato in Ferrara verso il 1456, e medico di professione, quantunque più della medicina egli amasse di coltivar la poesia. Il Tibaldeo venne tacciato come uno de' primi corrompitori del buon gusto in Italia; ma le scarse eleganze ed i sentimenti poco naturali sono comuni a quasi tutti i poeti del secolo decimoquinto, de' quali però disse il Salvini, che erano meno colti, ma non mancavano talora di spirito nè di forza.

Noi siamo d'avviso che questi poeti, i quali erano lontani le mille miglia dalla robustezza di Dante e dalla leggiadria del Petrarca, piacessero ciò nullameno, perchè solevano accompagnare col suono della cetra i loro versi, e spesso li cantavano all'improvviso. E come altrimenti si spiegherebbero i sommi applausi che si fecero a Bernardo Accolti detto l'Unico? Egli fu ricolmo di encomj nella corte di Urbino, ove sospirò per la Duchessa, come si può dedurre da una lettera del Bembo. « Le loro signorie (cioè la Duchessa d'Urbino ed

Emilia Pia) sono corteggiate dal signor Unico molto spesso; ed esso è più caldo nell' ardore antico suo, che dice esser ardore di tre lustri e mezzo, che giammai e più che mai spera ora di venire a pro de' suoi desii, massimamente essendo stato richiesto dalla Duchessa di dire improvviso; nel quale si fida muovere quel cor di pietra intanto che la farà piangere non che altro. Dirà fra due o tre dì... e son certo dirà eccellentemente " (1). Egli ebbe sì lunga vita da poter godere della munificenza di Leone X. Quando spargeasi la voce che l' Unico dovea recitare i suoi versi, chiudeansi le botteghe, e da ogni parte si accorreva in folla ad udirlo; si ponevan guardie alle porte, si illuminavano le stanze, ed i più dotti uomini accorrevano ad udirlo. Ma noi considerando uno dei ternarj che formò la maraviglia della corte di Leone, troviamo che esso altro non contiene che un pensiero tratto dalla Scrittura, in lode di M. Vergine ed espresso con nessuna eleganza; Quel generasti, di cui concepesti Portasti quel di cui fosti fattura ; E di te nacque quel di cui nascesti (2).

[ocr errors]
[ocr errors]

Anzichè parlare di Notturno napoletano,

(1) Bembo, Opere, ediz. ven. tom. III, pag. 11. (2) Vedi l'articolo del Mazzucchelli intorno all'Accolti. Se v' ha qualche cosa di bello in questo ternario, gli è tolto da quel di Dante:

Tu se' colei che 1' umana natura
Nobilitasti si che 'l suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura.

Parad. 33.

« ÖncekiDevam »