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ne' vocaboli e nelle costruzioni somigliare la plebe (1). Anco il Petrarca tolse il primato a Guittone d'Arezzo cantando di lui nel Trionfo di Amore:

Che di non esser primo par ch'ira aggia,

Brunetto Latini più celebre per aver insegnato a Dante come иот s'eterna, che per le sue opere, nacque in Firenze da illustre famiglia, ma non si sa in qual anno. Solo ci narra Ricordano Malespini che nel 1260 egli era uomo di gran senno, e seguace del partito guelfo che avea cacciati i Ghibellini, e che per debellare Manfredi venuto in soccorso di costoro, tentato avea di opporgli Alfonso re di Castiglia. Venne spedito a lui ambasciatore Brunetto, il quale in tornando riseppe che i Ghibellini erano entrati in Firenze, e ne aveano discacciati i Guelfi. Rifuggitosi in Francia vi rimase per molti anni, e ritornato in patria vi sostenne onorevolmente alcune pubbliche cariche, e vi morì nell'anno 1294 (2), come attesta Giovanni Villani, che lo dipinge come gran filosofo, come sommo maestro in rettorica, e come quegli che cominciò a digrossare i Fiorentini, e fargli scorti in bene parlare, ed in sapere giudicare e reggere la repubblica secondo la politica. Filippo Villani poi aggiunge che fu Brunetto motleggevole, dotto e astuto, e di certi moti piacevoli abbondante, non però senza

(1) Volg. Eloq. lib. II, cap. 6.

(2) Tiraboschi, tom. IV, lib. III, cap. 5.

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gravità, e temperamento di modestia, la quale faceva alle sue piacevolezze dare fede giocondissima. Fu officioso e costumato . . . . e per abito di tutte le virtù felicissimo, se con più severo animo le ingiurie della furiosa patria avesse potuto con sapienza sopportare (1).

Il Tesoro è l'opera in cui Brunetto vive ancora, può essere considerata come una specie di Enciclopedia, in cui l'autore ha voluto raccogliere tutto lo scibile de' suoi tempi. Essa è un compendio di una parte della Bibbia, di Plinio il Naturalista, di Solino, e di altri autori che trattarono di varie scienze: è divisa in tre parti, e ciascuna parte in varj libri. I cinque della prima parte contengono la storia dell'antico e del nuovo Testamento, la descrizione degli elementi e del cielo, quella della terra ovvero la Geografia, finalmente quella dei pesci, dei serpenti, degli uccelli e dei quadrupedi. La seconda parte, compresa in due libri, racchiude un sunto della morale di Aristotele, ed un trattato intorno ai vizj ed alle virtù. La terza, divisa pure in due libri, tratta primamente dell'arte del ben dire, indi del modo di rettamente governare la repubblica (2). L'originale francese di quest'opera del Brunetto non vide mai la luce; ed a chi ci chiedesse per qual ragione lo scrivesse l'autore in una lingua a lui straniera, risponderemo colle sue

(1) Gio. Villani, lib. VIII, cap. 10; Filippo nella Vita di Brunetto.

(2) Ginguené, tom. 1, chap. 6.

stesse parole: che ciò è per due cose: l'una perchè noi siamo in Francia; e l'altra per ciò che la parlatura francesca è più dilettevole e più comune che tutti gli altri linguaggi. Il Tesoro fu volgarizzato da Bono Giamboni Giudice; e questa versione fu per la prima volta stampata in Trevigi l'anno 1474. Quella parte poi che contiene il compendio dell' Etica d'Aristotele venne tradotta dal celebre medico fiorentino Taddeo che a questi tempi viveva. Il Tesoretto non è già, come ha pensato il conte Mazzucchelli, un compendio del Tesoro; ma contiene solo alcuni precetti morali esposti in versi settenarj rimati insieme a due a due (1). Se ne ragionerà da noi allorquando riferiremo l'opinione del Ginguené, il quale è d'avviso che da quest'operetta il Dante abbia tratta l'idea del mirabile suo poema.

Essendo stato Brunetto ben accolto e soccorso da un dovizioso suo concittadino, mentre errava esule in Francia, tradusse a sua richiesta in lingua italiana il primo libro dell'Oratore di Cicerone, apponendovi i suoi commenti; ed a Brunetto si attribuisce pure il volgarizzamento di alcune orazioni di Cicerone, che vennero pubblicate in Lione nel 1567. Finalmente egli lasciò scritta un' opera, intitolata il Pataffio, che al dir del conte Perticari si può bandire per una delle più triste e pazze cose che s'abbia mai viste l'Italia; perchè non pago il Brunetto d'avervi consumata

(i) Tirabosclii, tom. IV, lib. III, cap. 5.

tutta la favella del postribolo e del mercato, lo empì di bisticci, d'equivochi e d'altre inezie (1).

Nascerà certamente vaghezza ne' leggitori di conoscere la cagione per cui Dante non pago di aver nel libro del Volgare Eloquio gittato il suo maestro fra i plebei, lo cacciasse anco fra i dannati per sodomia. Alcuni furono d'avviso che così adoperasse Dante Ghibellino ed esule contra Brunetto Guelfo e Fiorentino; ma il conte Perticari dimostra che questa dannazione fu immaginata dall'Alighieri, poeta nobilissimo, contra Brunetto autore dell' osceno Pataffio, in cui il laido Fiorentino fece l'apologia dei sodomiti. Nè ci possiamo noi confortare col Tiraboschi, il quale gioiva che questo laido scritto non fosse pubblicato, posciachè cadde in pensiero ad alcuni moderni di bruttar con esso i tipi ed anche di lodarlo (2).

Se Brunetto fu il maestro dell' Alighieri, Guido Cavalcanti fu il primo fra i suoi amici, come egli stesso lo appella nella Vita Nuova. Nato Guido da un padre che era in voce di epicureo, fu creduto tale anch'egli; principalmente che, come narra il Boccaccio, egli alcuna volta speculando molto astratto dagli uomini diveniva,

(1) Degli Scritt. del trecento, lib. I, cap. 4.

(2) Notiamo qui i primi tre versi di questa tantaferata, e sarà per noi un novello Edipo chi li potrà spiegare.

Squasimodeo introcque, e a fusone

Ne hai, ne hai piloni con mattana
Al can la tigna, egli mazzamarone.

e perciò che egli alquanto teneva della opinione degli Epicurei, si diceva tra la gente volgare, che queste sue speculazioni eran solo in cercare, se trovar si potesse che Iddio non fosse (1). Avendo Guido contratto nozze con una figliuola di Farinata degli Uberti, divenne acerrimo Ghibellino, ed in uno scontro con Corso Donati capo. dei Guelfi rimase ferito in una mano. Corso avea tentato di farlo trucidare, mentre egli andava pellegrinando a S. Giacomo di Galizia, ma non gli venne fatto. Non è dato di poter sì agevolmente conciliare un somigliante pellegrinaggio di Guido colla taccia di epicureo che gli si appone, se non si riflette che spesso gli uomini cangiano pensiero. Giunto a Tolosa fu preso dalla bellezza di una certa Mannetta o Mandetta, di cui spesso parla nelle suc poesie. Tornato in patria raccese la rabbia delle fazioni affrontando di nuovo il Donati, onde il Comune di Firenze per quetare si funesti tumulti esiliò i principali capi di queste sette, e Guido fu confinato a Sarzana, ove per la insalubrità dell'aere fu assalito da una lenta febbre, che lo spense verso il 1300, dopo che avea potuto rivedere il loco natío (2).

di

Guido venne appellato da Benvenuto da Imola il secondo occhio della toscana letteratura, cui Dante era il primo. Ma egli era più filosofo che poeta, e spregiava Virgilio; perchè,

(1) Decam. gior. VI, nov. 9.

(2) Tiraboschi, tom. IV, lib. III, cap. 5.

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