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come dice il Boccaccio, la filosofia gli pareva, siccome ella è, da molto più che la poesia (1). Nelle sue rime in fatto, che lo chiariscono poeta pe' tempi suoi assai colto e leggiadro, egli si mostra profondo conoscitore del cuore umano e della morale. La sua canzone più famosa è quella che tratta della natura d'amore, ed è sì oscura che molti ingegni sottili faticarono nel chiosarla. Il Muratori per provare la nobiltà, la fortuna ed il buon gusto della nostra volgar poesia infino a que' tempi, nota prima un sonetto e due ballate del Cavalcanti; ed osserva che quando gli autori fin qui memorati altro merito non avessero che quello di essere stati padri dell' italica volgar poesia, pur sarebbero degne l'opere loro di comparire alla luce. Da essi il Petrarca e ì rimatori seguenti presero molte gemme, più che Virgilio non fece da' versi di Ennio. E di fatto s'osservano quivi semi d'altissime cose, nobili pensieri e vive immagini (2).

Posciachè i poeti ebbero nobilitato il volgare italico colle loro rime, i prosatori li seguirono abbandonando il loro rozzo latino. La prima prosa volgare è la Cronaca di Matteo Spinello napoletano, che dall'anno 1247 si estende fino al 1268: ma l'onore di avere scritta la Storia in un linguaggio non incolto si dee al fiorentino Ricordano Malespini, che morì verso il 1281 (3).

(1) Com. al can. 10 dell' Inf.

(2) Muratori, Perf. Poesia, lib. I, cap. 3.

(3) Muratori, Script. Rer. Ital. tom. VII e VIII.

Anco gli scrittori delle scienze o delle utili arti, posto dall'un de' lati il barbaro latino, dettarono le loro opere nel volgare, od almeno in esso furono da altri traslatate. Così addivenne della Agricoltura, o sia della Utilità della villa di Pier Crescenzi. Nato in Bologna, o, come egli stesso dice, in Bononia, cioè Bona per omnia, dopo la metà del secolo decimoterzo, vedendo mutato il pacifico stato della sua patria in discordia, odio ed invidia, nè vo→ lendo partecipare a quella perversa divisione, si aggirò per lo spazio di trent'anni per diverse provincie, donando fedele e leal consiglio ai rettori, ossia Podestà, e le cittadi in loro quieto e pacifico stato a suo poter conservando; e molti libri d'antichi e dei novelli savi lesse e studio; e diverse e varie operazioni de' coltivatori delle terre vide e conobbe. Finalmente essendo riformata la sua patria, di ritornar gli parve alla propria magione (1). Il Tiraboschi è d'avviso che egli abbandonasse la sua patria nel 1274, anno famoso nelle storie bolognesi per la cacciata della fazione dei Lambertacci, e che nel 1304 vi facesse ritorno, e che circa questo tempo pubblicasse la sua opera che fu dedicata a Carlo II re di Sicilia, il quale nel 1309 cessò di vivere (2).

Il Crescenzi nella sua opera raccolse i precetti degli scrittori che lo aveano preceduto,

(1) Abbiamo qui parlate le parole dello stesso Crescenzi, togliendole dal proemio del suo Trattato. (2) Tiraboschi, tom. V, lib. I, cap. 3.

aggiugnendovi le sue considerazioni. Trattò della situazione e dei comodi della casa villereccia, della coltura dei campi in generale, ed in particolare degli alberi, delle viti, e del vino, degli orti, dei prati, dei boschi e degli animali che giovano l'uomo nell'agricoltura: nè tacque dei giardini, ne' quali mostrò come si possa accoppiare l'utile coll' ameno. Nel decimo libro discorse i varj modi di caccia e di uccellagione; e nel duodecimo insegnò all'agricoltore che debba operare in ciascun mese dell'anno. Per chiarire i leggitori della profonda cognizione che l'autore avea di siffatte materie, li confortiamo a leggere il solo cap. 15 del lib. III, in cui favella della coltivazione del lino, prescrivendone l'opportuna concimazione e la doppia aratura, l'una profonda prima del verno, l'altra superficiale in primavera, e sponendo ottimi metodi intorno alla erpicatura ed alla macerazione. Ma quando egli alla pratica volle far precedere la teorica, spiegando la vegetazione ed altri fenomeni naturali colle dottrine di Aristotele e de' barbari suoi commentatori, cadde in tutti gli strani arzigogoli della scolastica, e bevette tutti gli errori della sua età vedova ancora della luce delle scienze fisiche e naturali (1).

Apostolo Zeno provò contro il Bembo, il Redi ed il Fontanini, che Pier Crescenzi scrisse i dodici libri della sua opera in latino; e che a lui si attribuisce falsamente la gloria

(1) Corniani, Epo. II, art. 6.

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di averli voltati in ottima lingua italiana. Ma noi ignoriamo il nome di colui che rendette un si importante servigio alle nostre lettere. "Chi dal latino, dice il P. Bartoli, trasportasse nel volgare italiano il trattato dell' Agricoltura di Pier Crescenzi, non si può indovinare, come nè anche il quando se non che l'ottima lingua in che egli è tradotto, mostra che ciò si facesse in quel secolo che ottimamente parlava » (1).

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Trattato della Monarchia.

Origi

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nalità di questo poema. Scopo politico e morale. Analisi dell' Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Pregio della elocuzione. - Difetti. Celebrità di questo poema. Commentatori.

Eccoci al trecento, a quel secolo che, giusta la sentenza dell' Alfieri, diceva; che non fu vinto ancora in un certo candore di voci nate e non fatte, e in una certa breviloquenza e leggiadria, quantunque autori ornati d'ogni sapienza, che crebbero l'italica lingua, sieno fioriti da quel secolo insino al nostro (2); che si ammantò di un modesto lume più bello delle forme coloritissime de' moderni; onde

(1) Del torto e del diritto del Non si può, prefaz. (2) Perticari, degli Scrittori del trecento lib. II, cap. 1.

coloro che nol vedono, sono, per usare di un nobile paragone dell' Alighieri, come quelle valli volte ad Aquilone, ovvero quelle spelonche sotterranee dove la luce del sole mai non discende se non ripercossa; che finalmente produsse un Dante, un Petrarca, un Boccaccio.

Dante solo basterebbe ad illustrare un secolo, una nazione, anzi la intera letteratura di un popolo egli tolse dalla culla la italiana favella, e la ripose in trono; egli a dispetto della rozzezza de' suoi tempi non per anco dirugginati dalla barbarie osò immaginare un poema, in cui esporre quanto v'era di più recondito nella dottrina de' teologi e de' filosofi; egli adunò tutti i tesori della scienza allora sparsa nel mondo, nelle sue tre cantiche; egli seppe eleggere, quanto Omero e Virgilio, un argomento nazionale che adescasse tutta Italia, anzi tutti quegli animi in cui la cattolica religione si stende; egli finalmente divenne il segnale della decadenza, o della floridezza della nostra letteratura, che crebbe quando fu letto e gustato il suo poema; divenne artificiata, vana e frondosa quando non si bevette a questa fonte. E quando mai in fatto si cessarono le frascherie arcadiche e frugoniane, che avean renduta la nostra poesia una oziosa ciancia, se non allorquando si vide nascere fra poeti italiani la gara d' intrinsecarsi nella Divina Commedia, e si mirò Dante redivivo nel Cantore di Basville?

Essendo stato l'Alighieri non solo il padre dell'italiana eloquenza, ma anche grand' uomo

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