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di Stato, ed avendo esperimentati i tristissimi effetti della rabbia delle fazioni che laceravano la infelice Italia, crediamo opportuno di dar qui una breve descrizione delle vicende politiche della medesima dopo la metà del secolo XIII.

Federico II avea lasciato il mondo così sconvolto alla sua morte come lo era al suo nascimento; il suo figliuolo Manfredi dopo aver lottato coi pontefici, fattosi coronare in Palermo, avea preso il titolo di re di Sicilia, dopo avere diffuso un falso grido della morte di Corradino solo legittimo rampollo della schiatta di Federico II. Rassodatosi sul trono imprese a difendere i fuorusciti Ghibellini di Firenze, de' quali era capo il famoso Farinata degli Uberti. La battaglia di Monte Aperto abbattè la possanza dei Guelfi nella Toscana, e con essa anco quella dei papi. Ma questi aveano giurato la rovina della casa di Svevia, indocile nel ricevere il loro giogo. Clemente IV condusse a termine il disegno de' suoi due antecessori Innocenzo IV ed Urbano (1): egli contro ogni ragione di Stato investì del regno di Napoli Carlo d'Anjou, il quale non aveva alcun diritto sopra di esso. Manfredi affrontò intrepidamente l'usurpatore, e perì da eroe colle armi in pugno nelle vicinanze di Benevento.

II sangue del giovane e sventurato Corradino macchiò poco dopo il trono di Carlo; ma i Vespri Siciliani lo vendicarono, quantunque essi abbiano dato ai re Arragonesi la sola Sicilia

(1) Muratori, Ann. d'Ital. an. 1365.

senza potere strappar lo scettro di Napoli dalle mani dell' Angioino monarca, che stringendolo con una mano ferma lo tramandò a' suoi discendenti (1).

Nella Lombardia e nella Marca Trivigiana l'immanissimo Ezzelino non fu precipitato dal soglio, che egli avea eretto sopra un mucchio di cadaveri, e bagnato col sangue di tanti infelici da lui o spenti o mutilati, se non dai colpi di una lega quasi generale, anzi da una crociata, che questa volta non fu bandita dalla religione se non per vendicare la umanità. Intanto sorgeva in Verona la potenza degli Scaligeri per gli accorgimenti ed il senno di Martino, ed il potere moderato de' marchesi d'Este si estendeva a poco a poco da Ferrara a Modena ed a Reggio. La rovina della casa da Romano non diede però la suprema possanza ai Guelfi in Lombardia; giacchè Martino della Torre, capo del partito popolare in Milano, chiamava il marchese Pelavicino che era alla testa della ghibellina fazione, e dischiudeva, suo malgrado, la via ai Visconti di dominare (2).

Le due possenti repubbliche di Genova e di Pisa si contendevano l'impero dei mari, allestivano tali flotte, quali appena ora uscirebbero dai porti di possenti monarchi, e tingevano le onde del loro sangue. Pisa alla fine debellata nella battaglia della Meloria, assalita dai Guelfi

(1) Denina, Rivol. d'Ital. lib. XIII, cap. 2 e 3. (2) Muratori, Ann. dal 1264 al 1270.

fiorentini che aveano prevalso contro i Ghibellini, attaccata nello stesso tempo dai Lucchesi, affidò imprudentemente la sua difesa al conte Ugolino, la cui avara ed astuta tirannide fu scritta a note di sangue dalla storia, e la cui orrenda morte venne consacrata dalla più sublime poesia (1). In mezzo a questi tumulti Firenze gittava le fondamenta del suo governo popolare, all'ombra del quale vide rinascere le lettere e le arti non ostante il disordine cagionato dalla violenza degli odj e dal furore delle sette.

I marchesi di Monferrato, unendo varie città all'avito loro dominio, aveano a dismisura accresciuta la loro possanza, e Guglielmo detto il Lungaspada tentava di rapire Milano a' Visconti. Ma l'arcivescovo Ottone più di lui scaltro fece sì che egli fosse preso dai cittadini di Alessandria, c chiuso in una gabbia di ferro, ove fra due anni morì. Una si grave sventura del Marchese fissò il primo periodo della grandezza dei Visconti (2). Così da un canto all'altro della Italia suonava l'orrendo grido di guerra: dai disordini e dal dispotismo era nata la libertà italiana; dalla licenza popolare e dalla rabbia delle fazioni nascevano novelli principati e varie corti, nelle quali vedremo l'esule Dante errare chiedendo asilo. Gli imperatori Rodolfo ed Alberto soffrivano che il

(1) Ginguené, tom. I, chap. 6.

(2) Denina, Rivol. d'Ital. lib. XII, cap. 3; XIII, cap. 5.

giardino dell'Impero fosse deserto, nè si movevano a compassione di Roma che piangeva fatta vedova e sola. Tale era lo stato della Italia, quando surse il primo lume della sua letteratura.

Dante nacque in Firenze nel marzo del 1265 da Alighiero degli Alighieri e da Bella. Il suo primiero nome di Durante fu cangiato per vezzo in quello di Dante. La sua famiglia nobile ed agiata discendeva da Cacciaguida che ebbe un figliuolo detto Aldighiero ossia Aligiero, il qual nome gli venne dato dalla madre, che era degli Aldighieri di Ferrara; e da quell'epoca in poi i discendenti di Cacciaguida furono appellati degli Alighieri. I natali di Dante vennero accompagnati da oroscopi e da pronostici onorevoli, come avvenne di tutti gli illustri personaggi nati in secoli in cui dominava la superstizione. Quantunque egli avesse perduto il padre in età assai tenera, pure fu con somma cura educato, e Brunetto Latini gli insegnò le belle lettere e la filosofia, ed anco, come si crede, a scrivere perfettamente (1). Coltivò anche il disegno, onde divenne molto amico di Giotto e di Oderisi da Gubbio, eccellente miniatore de' suoi tempi : nè lasciò di apprendere la musica, e non sembra improbabile che egli avesse per maestrą quel Casella, la cui armoniosa voce solea

(1) Leo. Aretino attesta che Dante era scrittore perfetto; ed era la lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo egli ha veduto in alcune epistole di sua propria mano scritte, Vita di Dante.

quelar tutte sue voglie come egli stesso cantò nel secondo canto del Purgatorio (1).

L'amore dettò a Dante i primi versi : all'età di nove anni egli conobbe la figliuola di Folco Portinari nomata Bice, diminutivo di Beatrice, nome sì spesso da lui ripetuto e in rima e in prosa. Bice, al dir del Boccaccio, di tempo non trapassava ľ anno ottavo; era leggiadretta assai, e ne' suoi costumi piacevole e gentilesca ; bella nel viso, e nelle sue parole con più gravezza che la sua piccola età non richiedeva: e Dante così la ricevette nello animo, che altro sopravvegnente piacere la bella immagine di lei spegnere nè potè, nè cacciare (2). Così il Boccaccio narra l'origine di questo amore, e la sua autorità è certo di gran momento: perchè quantunque si dica che egli scrivesse la Vita di Dante, come se a scrivere avesse il Filoloco o la Fiammetta, tanto infiammandosi in quelle parti d'amore, che ricorda le cose leggieri e tace le gravi; pure noi siamo d'avviso col Pelli, che essendo stato il Boccaccio quasi coetaneo di Dante, non si dee disprezzare tutto ciò che in questa sua operetta egli racconta. Imperò noi non imprenderemo a combattere coloro i quali son d'avviso che sotto il nome di Beatrice intender solo si debba la sapienza o la teologia, non già una donna che fosse formata d'ossa e di polpe; ma solo noteremo

(1) Pelli, Memorie per servire alla Vita di Dante, art. 5 e 6.

(2) Vita di Dante.

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