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in Padova, nella Lunigiana, in Gubbio, si stabilirebbe alla fine in Verona.

Benchè nella corte degli Scaligeri Dante sia stato accolto e trattato con grande magnificenza prima da Alboino, e poscia da Can Grande, pure egli incominciò a provare a qual caro prezzo si mangi il pane altrui, e come sia duro calle

Lo scendere e 'I salir per l'altrui scale.

Dotato egli di animo libero ed elevato, disdegnava di vedersi confuso tra la vil turba de' cortigiani, de' giullari, de' mimi e de' buffoni, che il suo franco parlare tenevano a vile. Avendo un giorno un buffone co' suoi gesti e discorsi licenziosi mossa a riso la brigata, e parendo che Dante si movesse a sdegno, Can Grande, dopo averne dette gran lodi, chiese al poeta onde avvenisse che colui fosse amato da tutti mentre egli non lo era: tu non ne faresti le meraviglie, rispose il poeta, se ti ricordassi che la somiglianza di costumi suole stringere gli animi in amicizia (1). Egli pertanto non ebbe continua stanza in Verona; e il Boccaccio narra che s'aggirò nel Casentino, nella Lunigiana, nei monti presso Urbino, in Bologna, in Padova e perfino in Parigi, ove udi e filosofia e teologia alcun tempo, non senza gran disagio delle cose opportune alla vita (2). Altri scrittori enumerano altri suoi viaggi; e

(1) Petrarca, Rer. Mem. lib. II, cap. 4. (2) Boccaccio, Vita di Dante.

sembra, dice il Tiraboschi, che non potendosi disputare della patria di Dante, come si fa di Omero, molte città d'Italia invece contendan tra loro per la gloria di aver data in certo modo la nascita alla Divina Commedia da lui composta. Firenze vuole che avesse già finiti i primi sette canti, quando fu esigliato; il Maffei dà alla sua Verona il vanto, che in essa principalmente Dante si occupasse in comporla; que' di Gubbio, ove egli abitò per qualche tempo presso il conte Bosone, pretendono che nella loro patria ne scrivesse gran parte, od almeno ciò facesse nel loro monastero di S. Croce di Fonte Avellana. Altri danno per patria a questo poema la città di Udine e il castello di Tolmino nel Friuli. Altri la città di Ravenna; altri la valle Lagarina nel territorio di Trento; e tutti riportano autorità di gravi scrittori, epigrafi, tradizioni e sentenze dello stesso Alighieri. Noi ce ne staremo paghi alla sola opinione del Pelli, che, cioè, Dante cominciasse il suo poema prima dell'esiglio, e lo terminasse innanzi alla morte di Arrigo, che avvenne nel 1313; altrimenti non avrebbe egli potuto preparare a quel Monarca un trono in Paradiso, e dire che verrà a drizzare Italia in prima che ella sia disposta (1).

La discesa nell'Italia dell'imperatore Arrigo di Lussemburgo rinverdì la speranza già quasi morta di Dante di tornare nella sua patria. Cessate allora le querele, e deposte le sembianze

(1) Parad. cant. 30.

ca;

per

di supplichevole, scrisse ai re, ai principi della Italia ed ai senatori di Roma, confortandoli ad accogliere onorevolmente il Monarsi volse ad Arrigo medesimo, lo esortò con una lettera a volger l'armi contro di Firenze, e si portò egli stesso ad inchinarlo. Ma le sue speranze furono deluse, e quell'Imperatore che la sua venuta avea sollevato tutta Italia in aspettazione di grandissime novità, dopo aver minacciata indarno Firenze, fu nell' agosto del 1313 colto dalla morte in Buonconvento presso di Siena. Deluso il poeta in sì miseranda guisa, errò per le varie terre italiane, tornando sempre a Verona che era come il centro delle sue peregrinazioni; e quivi al cominciar dell'anno 1320 sostenne pubblicamente una disputa sui due elementi della terra e del fuoco. Finalmente ricoveratosi in Ravenna, cercò pace sotto l'ale dell'aquila da Polenta; ma in essa lo aspettava l'ultimo suo dì, che alle fatiche sue dovea impor termine. Guido Novello da Polenta lo ricevette onorevolmente; e conoscendo, come dice il Boccaccio, la vergogna de' valorosi nel domandare, con liberale animo si fece incontro al suo bisogno. Egli volle dare un argomento dalla grande stima in cui avea Dante, mandandolo ambasciatore ai Veneziani per trattare la pace. Ma l'avverso destino di questo grande personaggio volle che ogni prospera ventura fosse per lui foriera di nuove calamità; giacchè l'essere eletto magistrato fu il principio de' suoi guai: l'ambasceria al Pontefice fu l'epoca della sua ruina; quest'ultima

ai Veneziani quella della sua morte. Non avendo potuto ottenere udienza dal senato di Venezia, se ne tornò dolente ed afflitto a Ravenna, ove poco dopo morì. L'anno della sua morte è notato da Giovanni Villani con queste parole:

Nel detto anno 1321 del mese di settembre il dì di Santa Croce morì il grande e valente poeta Dante Alighieri di Firenze nella città di Ravenna in Romagna, essendo tornato d'ambasceria da Vinegia in servigio de' Signori da Polenta con cui dimorava" (1).

Guido Novello gli fece celebrare magnifici funerali, e volle che sopra gli omeri de' suoi più qualificati cittadini fosse onorevolmente portato infino alla chiesa dei Francescani. Egli avea divisato di chiuderne le spoglie in un sontuoso sepolcro; ma la morte che poco dopo lo colse, gli impedì d'eseguire il concepito disegno, che nel 1483 fu condotto a termine da Bernardo Bembo pretore di Ravenna per la repubblica di Venezia. La tomba fatta innalzare a Dante dal padre del celebre cardinal Bembo è adorna di diverse iscrizioni, e di un epitafio in versi latini rimati che si crede composto dallo stesso Alighieri nelle estreme giornate di sua vita. I Fiorentini cercarono più volte le reliquie del loro immortale concittadino, ma non le ottennero mai; onde giacquero fuor della patria le ceneri di colui che ella non seppe onorare, come ben si meritava,

(1) Gio. Villani, lib. IX, cap. 133.

mentre era vivo, e che bramò invano di possedere dopo la morte (1).

La storia e le belle arti gareggiarono nel conservarci il ritratto di Dante; e siccome anco le forme esteriori di un uomo di sì peregrino ingegno e di un così forte animo sono degne di essere conosciute, così noi qui le descriviamo. Egli fu di mezzana statura, e nella vecchiaja andava alquanto curvo, ma sempre con passo grave e maestoso: ebbe il volto lungo ed il naso aquilino, le mascelle grandi ed il labbro di sotto proteso tanto che alquanto quel di sopra avanzava; gli occhi erano piuttosto grossi, la barba ed i capelli folti, neri e crespi; ed il suo aspetto appariva d'uomo malinconico e pensoso. Questi lineamenti erano così pronunciati, che tutti i ritratti di questo poeta si rassomigliano. Il Boccaccio ce lo dipinge altresì come composto, cortese e civile; e se il Villani lo dice rozzo, schifo e sdegnoso, ciò si dee attribuire alla vita infelice che egli menò dopo il suo esiglio. Era assiduo negli studj, tardo parlatore, ma molto sottile nelle sue risposte; amava di vivere solitario e ritirato dal conversare cogli altri; avea assunto quella nobile alterezza che viene ispirata dal merito conosciuto, e che conforta al ben fare, quando sia rettamente diretta; era nemico dei cattivi, e dei loro costumi implacabil censore. Un fatto narrato da Benvenuto da Imola ci dimostra quanto egli fosse assorto nelle sublimi contemplazioni.

(1) Pelli, Mem. XV.

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