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d'ardente virtute ornata e calda, Alma gentil, cui tante carte vergo: O sol già d' onestate intero albergo, Torre in alto valor fondata e salda: ✪ fiamma, o rose sparse in dolce falda Di viva neve, in ch' io mi specchio e tergo: O piacer onde l'ali al bel viso ergo,

Che luce sovra quanti il sol ne scalda: Del vostro nome, se mie rime intese

Fossin si lunge, avrei pien Tile e Battro, La Tana, il Nilo, Atlante, Olimpo, e Calpe ! Poichè portar no 'l posso in tutte quattro

Parti del mondo, udrallo il bel paese

Ch' Apennin parte, e'l mar circonda e l'alpe.

Padre del ciel dopo i perduti giorni,

Dopo le notti vaneggiando spese

Con quel fero desio, che al cor s'access
Mirando gli atti per mio mal sì adorni
Piacciati omai col tuo lume ch' io torni

Ad altra vita ed a più belle imprese;
Sicchè avendo le reti indarno tese

Il mio duro avversario se ne scorni.
Or volge, Signor mio, l'undecim' anno,
Ch'io fui sommesso al dispietato giogo
Che sopra i più soggetti è più feroce .
Miserere del mio più degno affanno,

Riduci i pensier vaghi a miglior luogo,
Rammenta lor com' oggi fosti in croce.

S. I. Biagio Schiavo nella G. 1. del Filalete considera questo Sonetto, e chiamalo piena di leggia drissime locuzioni.

S. II. A Dio. Il Tassoni: Certo non è inferiore ad alcuno. Il Muratori: Quanto più si andrà considerando, tanto più bello comparirà.

Pom

Pommi

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ommi ove 'l sol uccide i fiori e l'erba,
O dove vince lui 'l ghiaccio e la neve:
Pommi ov'è 'l carro sao temprato e leve.
E dov'è chi cel rende, e chi cel serba.
Pommi in umil fortana, od in superba,

Al dolce aere sereno, al fosco e greve:
Pommi alla notte y al di lungo, ed al breve;
Alla matura etate, ed all' acerba.

Pomm'in cielo od in terra, od in abisso,

In alto poggio, in valle ima e palustre,
Libero spirto, od a' suoi membri affisso:
Pommi con fama oscura, e con illustre,
Sarò qual fui, vivrò come son visso,
Continuando il mio sospir trilustre.

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Rotta è l'alta colonna el verde lauro :

Che facean ombra al mio stanco pensiero, Perdut' ho quel che ritrovar non spero Dal borea all' austro, e dal mar indo al mauro Tolto m'hai morte il mio doppio tesauro, Che mi fea viver lieto e gire altero, E ristorar nol può terra nè impero, Nè gemma oriental ne forza d'auro. Ma se consentimento è di destino,

,

Che posso io più, se no aver l'alma trista,
Umidi gli occhi sempre e 'l viso chino?
O nostra vita, ch'è sì bella in vista,

Com' perde agevolmente in un mattino (1)
Quel che in molt' anni a gran pena s'acquista!

S. I. Sopra questo Sonetto Lelio Bonsi compose tre lettere, ed è, dice non men dotto che vago.

S. II. Per la morte di Gio. Card. Colonna, e di M. Laura, i quali morirono nell'anno della peste 1348. Questa in aprile, quegli in giugno. V. Cinccon. T. 2. p. 429. ed il Petr. Son. 291.

(1) Così ancora M. Cino:

Deh Gherarduccio com' campasti tue? Troncamento da alcuni grammatici riputato duro, e però da non essere usato, non si dovendo, dicono, quelle voci troncare, le quali troncate se ne rimanga in fine la m, se l'intero di quelle voci non finisce in amo od emo. Vedi Salviati Avvert. 1. 3. c. 2. partic. 37.

A 2

Che

Che

he fai? che pensi? che pur dietro guardi
Nel tempo che tornar non puote omai
Anima sconsolata, che pur vai

Giungendo legne al foco ove tu ardi?
Le soavi parole e i dolci sguardi

Che ad un ad un descritti e dipint' hai,,
Son levati, da terra, ed è, ben sai,
Qui ricercargli intempestivo e tardi.
Deh non rinovellar quel che n'ancide,.

Non seguir più pensier vago. fallace,
Ma saldo e certo, che a buon fin ne guide ..
Cerchiamo il ciel, se qui nulla ne piace,
Che mal per noi quella beltà si vide,
Se viva e morta ne devea tor pace.

Quanta

uanta invidia ti porto, avara terra,
Ch'abbracci quella cui veder m'è tolto,
E mi contendi l''aria del bel volto,.
Dove pace trovai d'ogni mia guerra:
Quanta ne porto al ciel, che chiude e serra.
Est cupidamente ha in se raccolto

Lo spirto dalle belle membra sciolto ;.
E per altrui sì rado si disserra:

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Quanta invidia a quell' anime, che 'n sorte
Hann'or sua santa e dolce compagnia,
La qual io cercai sempre con tal brama?

Quant' alla dispietata e dura morte,

Ch'avendo spento in lei la vita mia •
Stassi ne' suoi begli occhi, e me non chiama.

S. In morte di M. Laura. Così i segg.

S. II. Il Tassoni: L'ordine con che è tessuto, è mirabile.

Gli angeli eletti e l'anime beate,

Cittadine del cielo, il primo giorno Che Madonna passò, le fur intorno Piene di meraviglia e di pietate (1). Che luce è questa, e qual nova beltate? Dicean tra lor, perch' abito sì adorno Dal mondo errante a questo alto soggiorno Non sali mai in tutta questa etate. Ella contenta aver cangiato albergo, Si paragona pur coi più perfetti, E parte ad or ad or si volge a tergo, Mirando s'io la seguo, e par ch'aspetti;

Se

Ond' io voglie e pensier tutti al ciel ergo
Perch' io l'odo pregar pur, ch'io m' affretti.

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e lamentar augelli, o verdi fronde
Mover soavemente all' aura estiva,
O roco mormorar di lucid'onde
S'ode d'una fiorita e fresca riva,
Là'v'io seggia d' amor pensoso e scriva,

Lei che il ciel ne mostrò, terra n' asconde,
Veggio ed odo ed intendo, ch'ancor viva
Di sì lontano a' sospir miei risponde.
Deh perchè innanzi tempo ti consume?
Mi dice con pietate; a che pur versi
Degli occhi tristi un doloroso fiume ?
Di me non pianger tu, ch'e' miei dì fersi
Morendo eterni; e nell' eterno lume,

Quando mostrai di chiuder, gli occhi apersi.

S. I. Il Muratori Francamente contalo per uno de' più belli; anzi dì, che ha pochi pari. La fantasia ha qui egregiamente lavorato.

(1) Pietate dagli antichi sovente pigliata in significazione di riverenza. Così poi il Bembo: Oppur così pietate o Dio sonora ?

S. II. Il Tassoni: Porrei questo Sonetto fra i migliori senz'altro. Il Muratori Rileggilo, il trove rai superiore alle opposizioni.

Ov'è la

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'è la fronte che con picciol cenno

Volgea il mio core in questa parte e 'n quella ?
Ov'è 'l bel ciglio e l'una e l'altra stella,
Ch' al corso del mio viver lume denno?
Ov'è 'l valor, la conoscenza, il senno,

L'accorta, onesta, umil, dolce favella?
Ove son le bellezze accolte in ella,

Che gran tempo di me lor voglia fenno?
Ov'è l'ombra (1) gentil del viso umano,

Ch'ora e riposo dava all' alma stanca,
E là 've i miei pensier scritti eran tutti ››
Ov'è colei, che mia vita: ebbe in mano?

Quanto al misero mondo, e quanto manca
Agli occhi miei, che mai non fieno asciutti

Levomp

.:

jevommi il mio pensier in parte, 'ov' era
Quella ch' io cerco, e non ritrovo in terra,
Ivi tra lor, che il terzo cerchio serra,
La rividi più bella e meno altera:
Per man mi prese, e disse, in questa spera
Sarai ancor meco, se'l desir non erra:
I' son colei, che ti diè tanta guerra
E compie' mia giornata innanzi sera.
Mio ben non cape in intelletto umano:

Te solo aspetto, e quel che tanto amasti,
E laggiuso è rimaso, il mio bel velo.
(2) Deh perchè tacque, ed allargò la mano?
Ch' al suon di detti sì pietosi e casti
Poco manco, ch' io non rimasi in cielo.

S. I. Il Muratori chiama questo Sonetto riguardevole.

) Il Tassoni: Per ombra intenderei quello, i pittori chiamano aria.

che

S. II. Il Muratori: Questo al mio riguardo pa

re il più bel Sonetto del Petrarca.

(2) Il Tassoni: Questo terzetto è una dell' eccel

lenti cose che abbia la poesia melica.

Deh

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