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DI CELIO MAGNO

Fida mia cetra a me fin da' primi anni

'Frastullo sovr' ogni altro amato e caro,
Mentre fortuna e 'l ciel non mi negaro
Teco l'ore passar vote d'affanni:

Poichè empia sorte e ria con gravi danni
Il: dolce stato mio-cangia in amaro;

Ed oggi par che il mondo cieco avaro,
Buor che l'ora e l'aver tutt'altro danni:
Qui, dove già le Dee del sacro monte

Mi t'offersero in don con. lieto volto,
E m'invitaro al bel Castalio fonte,
A questo verde lauro, onde m'è tolto
Sperar corona all'infelice fronte,
T'appendo e lascio ad altro fin rivolte...

DI ORSATO GIUSTINIANO

Poichè d'unir con le tue dotte carte

Non sdegni il suon, delle mie voci in rima, E che 'l mio nome oscuro in an s'imprima Col tuo celebre e chiaro in ogni parte: Adempi tu dove in lor manca l'arte,

Celio, e con la tua culta, e nobil lima
Rendi ogni macchia lor purgata, prima
Ch' escano in luce e n'abbia il mondo parte.

Così, quasi augellin sulf? ali accolto

Daquila altera, al ciel poggiando io teco
Non col mio salirò, ma col tuo volo ;

E tu, la gloria tua partendo, meco,

Come quel ch' a giovarmi ognor sei volto,
Darai d'amor esempio unico e solo.

S. I. Quando si applicò allo studio delle leggi. S. II. A Celio Magno. Mandandogli sue rime da essere stampate con quelle di lui.

Appe

DE ANTONIO DECIO

Appena uscito dalla regia cuna

frattan con mano ancor tremante l'armi :

Pria saper chieder l'elmo, e dir, ch' uom l'armi,
Che formar sappia ancor parola alcuna:

Quanto più contro lui gente s'aduna,

Far ch' al nome sol ceda, o si disarmi;

E fare al suon de' bellicosi carmi

Tremar regni e provincie ad una ad una:

Il tutto aver dall'Indo lido al Moro

Corso visto vint' arso e messo al fondo Con guerrier pochi appresso e con poco oro : Ma, non contento d'aver vinto un mondo, ་ Tentar mondi novelli, opere foro

Già del primo Alessandro, or del secondo..

DI GIOVAMBATISTA MARINE

Udir parmi di qua l'alte' querele „

Giovinetto real nato d'eroi,

Delle donne d'Algier, quando fien poi
Giunte colà les gloriose vele..

Mentre arderà la pugna aspra e crudele,
Mirando d'alto i pregi illustri tuoi
Sotto la spada, onde tant' osi e puoi,
Temeranno non caggia il lor fedele:
Ma, s'egli avvien, che lo splendor lampeggi
Degli occhi ardenti, el crin dell' elmo fore
Di onorati sudori umido ondeggi,
Temeran di se stesse, e punte il core

Di te diranno: ahi che da sommi seggi
In sembianza di Marte è sceso Amore..

S. I. Per Alessandro Farnese duca di Parma con-quistator delle Fiandre.

S. II. Per Alfonso di Castro, quando andò all' impresa d'Algieri sotto Filippo III. Re di Spagna –

(

Signor,

ignor, se quella tua non ne difende
Possente man dall' orgoglioso Scita,

Che spesso con le merci, altrui la vita
Toglie, e 'n noi, tutte le saette spende:
Deh: quale scampo altronde? o qual attende
Questa madre d'eroi schermo ed aita >
O quando pace avrà l'onda smarrita,
Cui sol di Marte, orribil fiamma incende?
Lasciau le culte rive, ei cari pegni

Stretti nel sen con dolorose strida
Portan le madri: a più securi regni ..
Or tu, così fortuna e 'l ciel t'arrida,

Struggi novo Pompeo (1) gli audaci legni,
E con la fe di Cristo Italia affida.

9.9

Mirate dal gran tronço, occhi miei lassi,

Delle stelle pendente, il fattor vero,

E come avvolto in manto oscuro e nero, L'alte essequie onorando,, il mondo stassi. E tu mio cor. ch a desir vani e bassi

Volgi ostinato pur l'empio, pensiero,
Perchè solo mi stai net petto intero,
Quando spezzansi l'urne, apronsi i sassi ?
Piangon poich? hanno il peregrino ucciso

L' Egizia fera, e la crudel c'ha d'angue (2)
Le membra, alato il tergo, umano il viso.
Io mostro assai peggior son, mentre langue
Da me trafitto il Re del paradiso,
Di due lagrime, scarso, a tanto sangue.

S. I. A Giovannandrea: Doria general di mare sotto. Filippo III..

(1) Gneo Pompeo il grande generale nella guerra de' Romani contro i corsalis..

S. II. Per la crocifissione di N. S.

(2) Il coccodrillo e l'iena animali, feroci: delle lagrime de' quali vedi i naturalisti.

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DI GIOVAMBATISTA GUARINI

Sono le tue grandezze, o gran Ferrando,

Maggior del grido, e tu maggior di loro
Che vinci ogni grandezza ogni tesoro,
Te di te stesso e de' tuo" fregi orirando.
Tu, di caduco onor gloria sdegnando,

Benchè t' adorni il crim porpora ed oro
Ti vai d'opre tessendo alto lavoro
Ber farti eterno, eterne cose oprando.
Così fai guerra al tempo, e 'n pace siedi
Regnator glorioso, e di quel pondo
Solo tu degno, onde va curvo Atlante,
Quanto il sol vede hai di te fatto amante,
E monarca degli animi possedi

Col fren Etruria, e con la fama il mondo.

DI CARLO MARIA MAGGI

Giace l'Italia addormentata in questa

Sorda bonaccia, e intanto i ciel s'oscura;
E pus ella si sta cheta e sicura,

E per molto che tuoni, uom non si desta : Se pur taluno il palischermo appresta,

Pensa a se stesso, e del vicin non cura;
E tal sì è lieto dell' altrui sventura,
Che non vede in altrui la sua tempesta
Ma che quell' altre tavole minute,

Rotta l'antenna, e poi smarrito il poło
Vedren tutte ad un soffio andar perdute.
Italia, Italia mia questo è il mio duolo:
Allor siam giunti a disperar salute,
Quando pensa ciascun di campar solo.

S. T. A Ferdinando gran duca di Toscana. Di questo S. dice il Murat. nella P. P. possono tutti sentire il grande " eeroico.

S. II. Per le guerre d'Italia del secolo XVII. così il seguentë.

Lun

Lungi vedete il torbido sorvente

Ch'urta i ripari e le campagne inonda, E delle stragi altrui gonfio e crescente Force su i vostri campi i sassi e l'onda E pur altri di Voi sta negligente

Su' disarmati lidi, altri il seconda,
Sperando che in passar l'onda nocente
Qualche sterpo s'accresca alla sua sponda
Apprestategli pur la spiaggia amica,

Tosto piena infedel fa che vi guasti
I nuovi acquisti, e poi la riva antica.
Or che oppor si dovrian saldi contrasti,
Accusando si sta sorte nemica :

Par che nel mal comune i pianger basti..

DI GIOVAMMARIO CRESCIMBENI

Io chiedo al ciet: dhi contra Dio l'indegno

Misfato opro, cui par mai non udissi ? Dice ei fu l'uomo, e di dolore in segno To cinsi il sol di tenebroso ecclissi... Al mare il chiedo: anch'ei; su duro legno, Grida, l'om il guidò; qual ne sentissi Doglia, tel dica quel sì giusto sdegno, Ond' io sconvolsi i miei più cupi abissi. chiedo al suol: con egual duolo acerbo, Egli esclama: fu l'uom, dalle profonde Sedi io mi scossi, e i segni ancor ne serbo. All' uom, che ride in liete ore gioconde, Irata il chiedo al fin; ma quel superbo Crolla il capo orgoglioso e non risponde:

S: 1. Eodatissimo dal Redi ottimo conoscitore delle buone maniere di poesia, dice il Salvini.

S. II. L'uomo reo, e sconosente della morte di Cristo. Sonetto, dal P. Ceva chiamato gravissimo...

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