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del secolo, primieramente bandite dal Volney nelle Rovine. Il quale, dopo avere lanciate contro la natura crudele press'a poco le accuse che poi, con maggior convinzione espresse il Leopardi, immagina, come s'è visto, che il Genio delle rovine gli si presenti, e in tòno di grave disdegno, lo rimbrotti d'aver incolpata una forza divina dei mali dell'uomo. « Homme injuste! si tu peux un instant suspendre le prestige qui fascine tes sens! si ton cœur est capable de comprendre le langage du raisonnement, interroge ces ruines! Lis les leçons qu'elles te presentent!... Et vous, temoins de vingt siècles divers, temples saints! tombeaux vénérables! murs jadis glorieux, paraissez dans la cause de la nature même! Venez au tribunal du sain entendement déposer contre une accusation injuste! venez confondre les déclamations d'une fausse sagesse ou d'une piété hypocrite, et vengez la terre et les cieux de l'homme qui les calomnie ».

In fatti, secondo il Volney, non la natura, ma l'uomo stesso, che non ne sa intendere o non ne vuol seguire le leggi, dev'essere accusato d'ogni rovina. Le città e i regni cadono per mano dell'uomo; egli uccide e devasta; egli riduce la terra in solitudine. Non è punto vero che l'uomo sia stato creato all'angoscia e al dolore; ma la pace e la felicità discendono su colui che pratica la giustizia. Quando l'uomo, in vece di maledire una potenza oscura e immaginaria, imparerà le leggi della natura, egli saprà quali sono le cause, e quali i rimedi, di tutti i suoi mali. "Oui, l'homme est devenu l'artisan de sa destinée; lui-même à créé tour à tour les revers ou les succès de sa fortune; et si, à la vue de tant de douleurs dont il a tourmenté sa vie, il a eu lieu de gémir de sa faiblesse ou de son imprudence, en considérant

de quels principes il est parti et à quelle hauteur il a su s'elever, peut-être a-t-il plus droit encore de présumer de sa force et de s'enorgueillir de son génie ». La conquista del bene non è dunque negata alla nostra razza; e un legislatore ideale è posto, dalla fantasia del Volney, a suggerire innanzi a un'assemblea di tutt'i popoli, il supremo rimedio dell'unione e della pietà vicendevole, con queste eloquenti parole: O hommes! O nations! bannissons toute tirannie et toute discorde; ne formons plus qu'une même société, qu'une grande famille; et puisque le genre humain n'a qu'une même constitution, qu'il n'existe plus pour lui qu'une loi, celle de la nature; qu'un même code, celui de la raison; qu'un même trône, celui de la justice; qu'un même autel, celui de l'union ».

Così che il ragionamento del Volney, o meglio del Genio che gli appare a confortarlo, poggia su quattro capitali argomenti: l'uomo è cagione del suo proprio male e della sua propria rovina; l'uomo è l'autore del suo proprio destino, e la natura è innocente; l'uomo può andare orgoglioso d'aver progredito sempre; l'uomo può toccare la felicità con l'amore e la concordia di tutta la razza come la natura stessa gl'insegna.

La Ginestra del Leopardi è l'oppugnazione, spesso beffarda, ma immediata e precisa di codesti argomenti. Il Leopardi par che conduca indirettamente quel genio davanti alle terre devastate dal Vesuvio; e gli domanda se qui non è da incolpar la natura del crudele disastro:

A queste piagge

Venga colui che d'innalzar con lode

Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura

All'amante natura...

E perchè l'uomo vuol credere al progresso della sua razza, il poeta, accanto a quello spettacolo, l'accusa non solo di sciocca superbia perchè

Del ritornar ti vanti,

E procedere il chiami,

ma anche di viltà e di menzogna, perchè non osa affermare, nè permette che altri affermi, l'infelicità dell'umana natura:

Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,

Sol per cui risorgemmo

Dalla barbarie in parte, e per cui solo

Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.

Cosi ti spiacque il vero

Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume

Che il fe' palese...

Contro l'affermazione, che l'uomo produca il suo proprio male, son rivolti quegli altri versi:

Nobil natura è quella

che

ne gli odii e l'ire Fraterne, ancor più gravi

D'ogni altro danno, accresce

Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che de' mortali
È madre in parto ed in voler matrigna.

E circa il rimedio supremo della piena concordia e della reciproca pietà, osserva il poeta che appunto contro la natura gli uomini debbonsi unire, quasi contro a comune nemica :

Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,

Siccom'è il vero, ed ordinata in pria

L'umana compagnia,

Tutti fra sè confederati estima

Gli uomini, e tutti abbraccia

Con vero amor, porgendo

Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune.

Così che il prosatore e il poeta s'accordano nel proporre ai mortali di stringersi " in social catena"; ma quello è persuaso che a ciò sono ei tratti dalla stessa Natura; questo è convinto ch'ei devano farlo in onta alla natura e per aver guardia e conforto a' lor mali:

E giustizia e pietade altra radice
Avranno allor che non superbe fole,

quali giusto sarebbero state, nel pensier del Leopardi, quelle del Genio apparso al Volney fra le rovine dell'antica Palmira; quelle manifestate dallo zio Mamiani nella prefazione degl'inni pubblicati a Parigi; donde pur trasse il Leopardi quel verso

Le magnifiche sorti e progressive,

ch'è come il motivo comico a cui s'è ispirata la dispettosa ironia del grande recanatese.

II.

Tal'è, salvo gli errori e le negligenze commesse malgrado nostro, la storia documentata della poesia delle rovine e della Ginestra di Giacomo Leopardi. Se ci dilungammo un po' troppo ne' richiami, ne' raffronti e nelle citazioni, gli è che noi siamo convinti della necessità di provare quanto s'afferma, per modo da non lasciar dubbio alcuno; massimamente se si tratti d'indagini non anche tentate, e su le quali, a punto per questo, il sospetto dello sbaglio, se non dell'inganno, germoglia più pronto nell'animo del maligno lettore.

Accenti che preludono alla Ginestra si trovano negli scritti del Leopardi, prosa e poesia, di molti anni prima. Del suo secolo ei non fece mai grande stima; lo credeva infelice e meschino, principalmente perchè aveva distrutto, a furia di positivismo e di critica, i sogni e le illusioni, che solo abbelliscon la vita. Per ciò nella canzone Ad Angelo Mai si lagnava:

Di vanità, di belle

Fole e strani pensieri

Si componea l'umana vita: in bando

Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo

Veder che tutto è vano altro che il duolo;

e nel Bruto minore rimpiangeva lo stato di natura del Rousseau, da che

Non fra sciagure e colpe

Ma libera ne' boschi e pura etade
Natura a noi prescrisse;

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