Qual colpo è da sprezzare, e qual d'averne Fede ch' al destinato segno tocchi; Similemente il colpo de'vostri occhi, Donna, sentiste alle mie parti interne Dritto passare; onde convien ch'eterne Lagrime per la piaga il cor trabocchi. E certo son che voi diceste allora : Misero amante, a che vaghezza il mena! Ecco lo strale ond' Amor vuol ch'e' mora. Ora, veggendo come 'l duol m'affrena, Quel che mi fanno i miei nemici ancora, Non è per morte, ma per più mia pena. Consiglia agli amanti la fuga d'Amore prima d'essere arsi dalle sue fiamme. Poi che mia speme è lunga a venir troppo, E della vita il trapassar sì corto, Vorreimi a miglior tempo esser accorto, Per fuggir dietro più che di galoppo: E fuggo ancor così debile e zoppo Dall' un de' lati, ove 'l desio m'ha storto: Securo omai; ma pur nel viso porto Segni ch'io presi all' amoroso intoppo. Ond' io consiglio voi che siete in via: Volgete i passi; e voi ch'Amore avvampa, Non v'indugiate su l'estremo ardore. Chè, perch'io viva, di mille un non scampa: Era ben forte la nemica mia; E lei vid'io ferita in mezzo 'l core. Fuggito dalla prigione di Amore, volle ritornarvi, e non può più uscirne. Fuggendo la prigione ov' Amor m' ebbe Molt'anni a far di me quel ch'a lui parve, Donne mie, lungo fôra a ricontarve Quanto la nova libertà m' increbbe. Diceami 'l cor, che per sè non saprebbe Viver un giorno; e poi tra via m'apparve Quel traditor in sì mentite larve, Che più saggio di me ingannato avrebbe. Onde più volte sospirando indietro, Dissi: Oimè, il giogo e le catene e i ceppi Eran più dolci che l' andare sciolto. Misero me! che tardo il mio mal seppi: E con quanta fatica oggi mi spetro Dell'orror ov'io stesso m'era involto! SONETTO LXI. 69. Dipinge le celesti bellezze della sua Donna, e protesta di amarla sempre. Erano i capei d'oro a l'aura sparsi, Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea; E 'l vago lume oltra misura ardea Di quei begli occhi, ch'or ne son si scarsi; Non so se vero o falso mi parea: Non era l'andar suo cosa mortale, Amore minaccioso e sdegnato contro di lui, lo condanna a pianger sempre. Più volte Amor m'avea già detto: Scrivi, Scrivi quel che vedesti in lettre d'oro; Sì come i miei seguaci discoloro, E 'n un momento gli fo morti e vivi. Un tempo fu che 'n te stesso 'l sentivi, Mi rendon l'arco ch'ogni cosa spezza; Descrive lo stato di due amanti, ritornando col pensiero sopra sè stesso. Quando giugne per gli occhi al cor profondo L'immagin donna, ogni altra indi si parte; E le vertù che l'anima comparte, Lascian le membra quasi immobil pondo. E del primo miracolo il secondo Nasce talor; che la scacciata parte, Da sè stessa fuggendo, arriva in parte Che fa vendetta, e 'l suo esilio giocondo. Quinci in duo volti un color morto appare: E di questo in quel dì mi ricordava, Duolsi di Laura, ch'ella non penetri con gli occhi nel fondo del suo cuore. Così potess'io ben chiuder in versi I miei pensier, come nel cor li chiudo; Ch'animo al mondo non fu mai sì crudo, Ch'i' non facessi per pietà dolersi. Ma voi, occhi beati, ond'io soffersi Quel colpo ove non valse elmo nè scudo, Di for e dentro mi vedete ignudo, Benchè 'n lamenti il duol non si riversi; Poi che vostro vedere in me risplende, Come raggio di Sol traluce in vetro. Basti dunque il desio, senza ch'io dica. Lasso, non a Maria, non nocque a Pietro La fede ch'a me sol tanto è nemica: E so ch'altri che voi nessun m'intende. |