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SONETTO LXXXV. - 99.

Amore, Fortuna e memoria del passato vietangli di sperare giorni felici.

Amor, fortuna, e la mia mente schiva Di quel che vede, e nel passato vôlta, M'affliggon sì, ch' io porto alcuna volta Invidia a quei che son su l' altra riva. Amor mi strugge 'l cor; Fortuna il priva D'ogni conforto; onde la mente stolta S'adira e piagne: e così in pena molta Sempre conven che combattendo viva.

Nè spero i dolci dì tornino indietro, Ma pur di male in peggio quel ch'avanza: E di mio corso ho già passato il mezzo.

Lasso, non di diamante ma d'un vetro, Veggio di man cadermi ogni speranza, E tutt'i miei pensier romper nel mezzo.

CANZONE X. - 26.

Cerca ogni via di mitigare il suo affanno, ma vi rimane sempre più immerso.

Se 'l pensier che mi strugge,

Com'è pungente e saldo,

Così vestisse d'un color conforme,
Forse tal m' arde e fugge,
Ch'avria parte del caldo,

E desteriasi Amor là dov'or dorme:
Men solitarie l'orme

Fôran de' miei piè lassi

Per campagne e per colli;

Men gli occhi ad ogni or molli;

Ardendo lei che come un ghiaccio stassi, E non lassa in me dramma

Che non sia foco e fiamma,

Però ch' Amor mi sforza

E di saver mi spoglia,

Parlo in rim' aspre e di dolcezza ignude:

Ma non sempre alla scorza

Ramo, nè 'n fior, nè 'n foglia,

Mostra di fuor sua natural virtude.

Miri ciò che 'l cor chiude,

Amor e que' begli occhi

Ove si siede all'ombra.

Se 'l dolor che si sgombra,

Avven che 'npianto o'nlamentar trabocchi,

L'un a me noce, e l'altro

Altrui, ch'io non lo scaltro.

Dolci rime leggiadre

Che nel primiero assalto

D'Amore usai quand'io non ebbi altr'arme,

Chi verrà mai che squadre

Questo mio cor di smalto,

Ch' almen, com'io solea, possa sfogarme?
Ch'aver dentr' a lui parme

Un che Madonna sempre
Dipinge, e di lei parla:
A voler poi ritrarla,

Perme non basto; e parch'io me ne stempre:
Lasso, così m' è scorso

Lo mio dolce soccorso.

Come fanciul ch' appena Volge la lingua e snoda;

Che dir non sa, ma 'l più tacer gli è noia;

Così 'l desir mi mena

A dire; e vo' che m'oda

La mia dolce nemica anzi ch' io moia.

Se forse ogni sua gioia

Nel suo bel viso è solo,

E di tutt' altro è schiva;
Odil tu, verde riva,

E presta a'miei sospir sì largo volo,

Che sempre si ridica

Come tu m'eri amica.

Ben sai che sì bel piede

Non toccò terra unquanco,

Come quel, di che già segnata fosti: Onde 'l cor lasso riede

Col tormentoso fianco

A partir teco i lor pensier nascosti. Così avestu riposti

De' bei vestigi sparsi

Ancor tra i fiori e l'erba;

Che la mia vita acerba

Lagrimando trovasse ove acquetarsi.

Ma come può s'appaga

L'alma dubbiosa e vaga.

Ovunque gli occhi volgo,

Trovo un dolce sereno,

Pensando: qui percosse il vago lume. Qualunque erba o fior colgo,

Credo che nel terreno

Aggia radice, ov' ella ebbe in costume
Gir fra le piagge e 'l fiume,

E talor farsi un seggio
Fresco, fiorito e verde.

Così nulla sen perde:

E più certezza averne, fôra il peggio.
Spirto beato, quale
Se'quando altrui fai tale?

O poverella mia, come se' rozza!
Credo che tel conoschi:

Rimanti in questi boschi.

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Rivolgesi estatico a que' luoghi ove la vide, e dove fu, ed è beato in amarla.

Chiare, fresche e dolci acque, Ove le belle membra

Pose colei che sola a me par donna;

Gentil ramo, ove piacque

(Con sospir mi rimembra)

A lei di fare al bel fianco colonna;

Erba e fior, che la gonna

Leggiadra ricoverse

Con l'angelico seno;

Aer sacro sereno,

Ov' Amor co' begli occhi il cor m'aperse:

Date udienza insieme

Alle dolenti mie parole estreme.

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