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Che 'nfin quaggiù m'ardea dal terzo cielo;
E disgombrava già di neve i poggi
L'aura amorosa che rinnova il tempo,
E fiorian per le piaggio l'erbe e i rami.
Non vide il mondo sì leggiadri rami
Nè mosse 'l vento mai sì verdi frondi,
Come a me si mostrar quel primo tempo:
Tal che, temendo dell'ardente lume,
Non volsi al mio refugio ombra di poggi,
Ma della pianta più gradita in cielo.
Un lauro mi difese allor dal cielo;
Onde più volte, vago de' bei rami,
Da poi son gito per selve e per poggi:
Nè giammai ritrovai tronco nè frondi
Tanto onorate dal superno lume,
Che non cangiasser qualitate a tempo.

Però più fermo ogni or di tempo in tempo
Seguendo ove chiamar m'udia dal cielo,
E scôrto d'un soave e chiaro lume,
Tornai sempre devoto ai primi rami,
E quando a terra son sparte le frondi,
E quando 'l Sol fa verdeggiar i poggi.

Selve, sassi, campagne, fiumi e poggi, Quant'è creato vince e cangia il tempo;

Ond'io cheggio perdono a queste frondi
Se, rivolgendo poi molt'anni il cielo,
Fuggir disposi gl'invescati rami
Tosto ch'incominciai di veder lume.
Tanto mi piacque prima il dolce lume,
Ch'i'passai con diletto assai gran poggi
Per poter appressar gli amati rami:
Ora la vita breve e 'l loco e 'l tempo
Mostranmi altro sentier di gir al cielo,
E di far frutto, non pur fiori e frondi.

Altro amor, altre frondi ed altro lume,
Altro salir al ciel per altri poggi
Cerco (che n'è ben tempo) ed altri rami.

SONETTO XCIII. 111.

Sentendo parlare di Amore e di Laura, pargli di vedere e sentir Laura stessa.

Quand' io v' odo parlar si dolcemente, Com' Amor proprio a' suoi seguaci instilla, L'acceso mio desir tutto sfavilla,

Tal che 'nfiammar devria l'anime spente. Trovo la bella donna allor presente, Ovunque mi fu mai dolce o tranquilla, Nell'abito ch' al suon, non d'altra squilla, Ma di sospir, mi fa destar sovente.

Le chiome all' aura sparse, e lei conversa Indietro veggio; e così bella riede Nel cor, come colei che tien la chiave.

Ma 'l soverchio piacer che s'attraversa Alla mia lingua, qual dentro ella siede, Di mostrarla in palese ardir non ave.

SONETTO XCIV. - 112.

Quai fossero le bellezze di Laura, quand'egli la prima volta se n'invaghi.

Nè così bello il Sol giammai levarsi Quando 'l ciel fosse più di nebbia scarco, Nè dopo pioggia vidi 'l celeste arco Per l'aere in color tanti variarsi,

In quanti fiammeggiando trasformarsi Nel dì ch'io presi l'amoroso incarco, Quel viso al qual (e son nel mio dir parco) Nulla cosa mortal pote agguagliarsi.

I'vidi Amor ch' e begli occhi volgea Soave sì, che ogni altra vista oscura Da indi in qua m'incominciò apparere. Sennuccio, il vidi, e l'arco che tendea, Tal che mia vita poi non fu secura, Ed è sì vaga ancor del rivedere.

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In qualunque luogo o stato ei si trovi, vivrà sempre sospirando per Laura.

Ponmi ove 'l Sol occide i fiori e l'erba, O dove vince lui 'l ghiaccio e la neve; Ponmi ov'è 'l carro suo temprato e leve,. Ed ov'è chi cel rende o chi cel serba; Ponm'in umil fortuna, od in superba, Al dolce aere sereno, al fosco e greve; Ponmi alla notte, al dì lungo ed al breve, Alla matura etate od all' acerba ;

Ponm'in cielo od in terra od in abisso, In alto poggio, in valle ima e palustre, Libero spirto od a' suoi membri affisso;

Ponmi con fama oscura o con illustre: Sarò qual fui, vivrò com'io son visso, Continuando il mio sospir trilustre.

SONETTO XCVI. - 114.

Loda le virtù e le bellezze di Laura, del cui nome vorrebbe riempier il mondo.

O d'ardente virtute ornata e calda Alma gentil, cui tante carte vergo;

sol già d'onestate intero albergo, Torre in alto valor fondata e salda;

O fiamma; o rose sparse in dolce falda Di viva neve, in ch'io mi specchio e tergo; O piacer, onde l'ali al bel viso ergo, Che luce sovra quanti 'l Sol ne scalda; Del vostro nome, se mie rime intese Fossin sì lunge, avrei pien Tile e Battro, La Tana, il Nilo, Atlante, Olimpo e Calpe.

Poi che portar nol posso in tutte quattro Parti del mondo, udrallo il bel paese Ch'Appennin parte, e'l mar circonda e l'Alpe.

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I guardi dolci e severi di Laura lo confortano timido, lo frenano ardito.

Quando 'l voler che con due sproni ardenti E con un duro fren mi mena e regge, Trapassa ad or ad or l'usata legge Per far in parte i miei spirti contenti; Trova chi le paure e gli ardimenti Del cor profondo nella fronte legge; E vede amor che sue imprese corregge, Folgorar ne' turbati occhi pungenti:

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