Che 'nfin quaggiù m'ardea dal terzo cielo; Però più fermo ogni or di tempo in tempo Selve, sassi, campagne, fiumi e poggi, Quant'è creato vince e cangia il tempo; Ond'io cheggio perdono a queste frondi Altro amor, altre frondi ed altro lume, SONETTO XCIII. 111. Sentendo parlare di Amore e di Laura, pargli di vedere e sentir Laura stessa. Quand' io v' odo parlar si dolcemente, Com' Amor proprio a' suoi seguaci instilla, L'acceso mio desir tutto sfavilla, Tal che 'nfiammar devria l'anime spente. Trovo la bella donna allor presente, Ovunque mi fu mai dolce o tranquilla, Nell'abito ch' al suon, non d'altra squilla, Ma di sospir, mi fa destar sovente. Le chiome all' aura sparse, e lei conversa Indietro veggio; e così bella riede Nel cor, come colei che tien la chiave. Ma 'l soverchio piacer che s'attraversa Alla mia lingua, qual dentro ella siede, Di mostrarla in palese ardir non ave. SONETTO XCIV. - 112. Quai fossero le bellezze di Laura, quand'egli la prima volta se n'invaghi. Nè così bello il Sol giammai levarsi Quando 'l ciel fosse più di nebbia scarco, Nè dopo pioggia vidi 'l celeste arco Per l'aere in color tanti variarsi, In quanti fiammeggiando trasformarsi Nel dì ch'io presi l'amoroso incarco, Quel viso al qual (e son nel mio dir parco) Nulla cosa mortal pote agguagliarsi. I'vidi Amor ch' e begli occhi volgea Soave sì, che ogni altra vista oscura Da indi in qua m'incominciò apparere. Sennuccio, il vidi, e l'arco che tendea, Tal che mia vita poi non fu secura, Ed è sì vaga ancor del rivedere. In qualunque luogo o stato ei si trovi, vivrà sempre sospirando per Laura. Ponmi ove 'l Sol occide i fiori e l'erba, O dove vince lui 'l ghiaccio e la neve; Ponmi ov'è 'l carro suo temprato e leve,. Ed ov'è chi cel rende o chi cel serba; Ponm'in umil fortuna, od in superba, Al dolce aere sereno, al fosco e greve; Ponmi alla notte, al dì lungo ed al breve, Alla matura etate od all' acerba ; Ponm'in cielo od in terra od in abisso, In alto poggio, in valle ima e palustre, Libero spirto od a' suoi membri affisso; Ponmi con fama oscura o con illustre: Sarò qual fui, vivrò com'io son visso, Continuando il mio sospir trilustre. SONETTO XCVI. - 114. Loda le virtù e le bellezze di Laura, del cui nome vorrebbe riempier il mondo. O d'ardente virtute ornata e calda Alma gentil, cui tante carte vergo; sol già d'onestate intero albergo, Torre in alto valor fondata e salda; O fiamma; o rose sparse in dolce falda Di viva neve, in ch'io mi specchio e tergo; O piacer, onde l'ali al bel viso ergo, Che luce sovra quanti 'l Sol ne scalda; Del vostro nome, se mie rime intese Fossin sì lunge, avrei pien Tile e Battro, La Tana, il Nilo, Atlante, Olimpo e Calpe. Poi che portar nol posso in tutte quattro Parti del mondo, udrallo il bel paese Ch'Appennin parte, e'l mar circonda e l'Alpe. I guardi dolci e severi di Laura lo confortano timido, lo frenano ardito. Quando 'l voler che con due sproni ardenti E con un duro fren mi mena e regge, Trapassa ad or ad or l'usata legge Per far in parte i miei spirti contenti; Trova chi le paure e gli ardimenti Del cor profondo nella fronte legge; E vede amor che sue imprese corregge, Folgorar ne' turbati occhi pungenti: |