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Verdeggia e senza par, poi che l' adorno
Suo male e nostro vide in prima Adamo.
Stiamo a mirarla: i' ti pur prego e chiamo,
O Sole; e tu pur fuggi, e fai d'intorno
Ombrare i poggi, e te ne porti 'l giorno,
E fuggendo mi tôi quel ch'i' più bramo.
L'ombra che cade da quell' umil colle,
Ove favilla il mio soave foco,

Ove 'l gran lauro fu picciola verga,

Crescendo mentr'io parlo, agli occhi tolle La dolce vista del beato loco

Ove 'l mio cor con la sua donna alberga.

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Paragonasi ad una nave in tempesta, e che incomincia a disperare del porto.

Passa la nave mia colma d'obblio Per aspro mare a mezza notte il verno Infra Scilla e Cariddi; ed al governo Siede 'l signor, anzi'l nemico mio.

A ciascun remo un pensier pronto e rio, Che la tempesta e 'lfin parch'abbia a scherno: La vela rompe un vento umido eterno Di sospir, di speranze e di desio.

Pioggia di lacrimar, nebbia di sdegni Bagna e rallenta le già stanche sarte, Che son d'error con ignoranza attorto. Celansi i duo miei dolci usati segni ; Morta fra l'onde è la ragion e l'arte: Tal ch'incomincio a disperar del porto.

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Contempla estatico Laura in visione, e predice, dolente, la morte di lei.

Una candida cerva sopra l' erba
Verde m'apparve, con duo corna d'oro
Fra due riviere, all' ombra d'un alloro,
Levando 'l Sole, alla stagion acerba.
Era sua vista si dolce superba,
Ch' i'lasciai per seguirla ogni lavoro;
Come l'avaro, che 'n cercar tesoro
Con diletto l'affanno disacerba.

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<< Nessun mi tocchi, al bel collo d'intorno Scritto avea di diamanti e di topazi; << Libera farmi al mio Cesare parve. »

Ed era 'l Sol già vôlto al mezzo giorno; Gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi; Quand' io caddi nell'acqua, ed ella sparve.

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Ripone tutta la sua felicità solo nel contemplare le bellezze di Laura. 1

Siccome eterna vita è veder Dio,

Nè più si brama, nè bramar più lice,

me,

Così
Donna, il voi veder, felice
Fa in questo breve e frale viver mio.
Nè voi stessa com' or, bella vid❜io
Giammai, se vero al cor l'occhio ridice;
Dolce del mio pensier ôra beatrice,
Che vince ogni alta speme, ogni desio.

E se non fosse il suo fuggir sì ratto,
Più non dimanderei: che s'alcun vive
Sol d'odore, e tal fama fede acquista;
Alcun d'acqua o di foco il gusto e 'l tatto
Acquetan, cose d'ogni dolzor prive;
I' perchè non della vostr'alma vista?

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Invita Amore a vedere il bell'andamento e gli atti dolci e soavi di Laura.

Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra, Cose sopra natura, altere e nove:

Vedi ben quanta in lei dolcezza piove;
Vedi lume che 'l Cielo in terra mostra.

Vedi quant' arte dora e 'mperla e 'nnostra L'abito eletto e mai non visto altrove; Che dolcemente i piedi e gli occhi move Per questa di bei colli ombrosa chiostra. L'erbetta verde e i fior di color mille, Sparsi sotto quell'elce antiqua e negra, Pregan pur che 'l bel piè li prema o tocchi. E 'l ciel di vaghe e lucide faville S'accende intorno, e 'n vista si rallegra D'esser fatto seren da sì begli occhi.

SONETTO CXLI. - 160.

Nulla può immaginarsi di più perfetto
che vedere Laura, e sentirla parlare.

Pasco la mente d'un sì nobil cibo,
Ch' ambrosia e néttar non invidio a Giove:
Che sol mirando, obblio nell'alma piove
D'ogni altro dolce, e Lete al fondo bibo.
Talor ch'odo dir cose e 'n cor describo
Perchè da sospirar sempre ritrove,
Ratto per man d'amor, nè so ben dove,
Doppia dolcezza in un voito delibo:

Chè quella voce infin al Ciel gradita,
Suona in parole sì leggiadre e care,
Che pensar nol poria chi non l'ha udita.

Allor insieme in men, d'un palmo appare Visibilmente, quanto in questa vita Arte, ingegno e natura e 'l ciel può fare.

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Avvicinandosi al paese di Laura, sente la forza del suo amore verso di lei.

L'aura gentil che rasserena i poggi Destando i fior per questo ombroso bosco, Al soave suo spirto riconosco,

Per cui conven che 'n pena e 'n fama poggi.
Per ritrovar ove 'l cor lasso appoggi,
Fuggo dal mio natio dolce aere tosco;
Per far lume al pensier torbido e fosco,
Cerco 'l mio sole, e spero vederlo oggi.

Nel qual provo dolcezze tante e tali,
Ch' Amor per forza a lui mi riconduce;
Poi sì m' abbaglia, che 'l fuggir m'è tardo.
Io chiederc' a scampar non arme, anzi ali;
Ma perir mi dà 'l Ciel per questa luce;
Che da lunge mi struggo, e da press' ardo.

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