Chè la mia nobil preda non più stretta Tenni al bisogno, e non fui più costante Contra lo sforzo sol d'un' angioletta; O fuggendo, ale non giunsi alle piante, Per far almen di quella man vendetta, Che degli occhi mi trae lagrime tante. Arso e distrutto dalla fiamma amorosa, non ne incolpa che la propria sorte. D'un bel, chiaro, polito e vivo ghiaccio Move la fiamma che m'incende e strugge, E sì le vene e 'l cor m'asciuga e sugge, Che 'nvisibilemente i' mi disfaccio. Morte, già per ferire alzato 'l braccio, Come irato ciel tuona o leon rugge, Va perseguendo mia vita che fugge; Ed io, pien di paura, tremo e taccio. Ben poria ancor pietà con amor mista, Per sostegno di me, doppia colonna Porsi fra l'alma stanca e 'l mortal colpo: Ma io nol credo, nè 'l conosco in vista Di quella dolce mia nemica e donna: Nè di ciò lei, ma mia ventura, incolpo. PETRARCA. 13 SONETTO CLI.— 170. L'amerà anche dopo morte. Essa nol crede, ed egli se ne rattrista. Lasso, ch'i'ardo, ed altri non mel crede; Non vedete voi 'l cor negli occhi miei? Quest' arder mio, di che vi cal sì poco, SONETTO CLII. 171. Propone Laura a sè stesso come un modello di virtù da doversi imitare. Anima, che diverse cose tante Occhi miei vaghi; e tu, fra gli altri sensi, Che scorgi al cor l'alte parole sante; Per quanto non vorreste o poscia od ante Esser giunti al cammin che sì mal tiensi, Per non trovarvi i duo bei lumi accensi, Nè l'orme impresse dell'amate piante ? Or con sì chiara luce e con tai segni Errar non dêssi in quel breve viaggio Che ne può far d'eterno albergo degni. Sforzati al cielo, o mio stanco coraggio, Per la nebbia entro de' suoi dolci sdegni Seguendo i passi onesti e 'l divo raggio. Confortasi col pensiero che un dì gli sarà invidiata la sua fortuna. Dolci ire, dolci sdegni e dolci paci, Alma, non ti lagnar, ma soffri e taci, Forse ancor fia chi sospirando dica, Tinto di dolce invidia: assai sostenne Per bellissimo amor questi al suo tempo. Altri: o fortuna agli occhi miei nemica! Perchè non la vid' io? perchè non venne Ella più tardi, ovver io più per tempo? CANZONE XV. 34. La persuade esser falso ch'ei avesse detto di amare altra donna. S'i''l dissi mai, ch' i' venga in odio a quella S'i' 'l dissi, contra me s'arme ogni stella, E la nemica mia Più feroce vêr me sempre e più bella. S'i''l dissi, Amor l'aurate sue quadrella Spenda in me tutte, e l' impiombate in lei; S'i'l dissi, cielo e terra, uomini e Dei Mi sian contrari, ed essa ognor più fella: S'i''l dissi, chi con sua cieca facella Dritto a morte m'invia, Pur come suol si stia, Nè mai più dolce o pia Vêr me si mostri in atto od in favella. Nè donna nè donzella, Ma terribil procella, Qual Faraone in perseguir gli Ebrei. S'i' 'l dissi, coi sospir, quant' io mai fei, Sia pietà per me morta e cortesia: S'i''l dissi, il dir s'innaspri, che s'udia Si dolce allor che vinto mi rendei: S'i''l dissi, io spiaccia a quella ch' io torrei, Sol chiuso in fosca cella Dal dì che la mammella Lasciai fin che si svella Da me l'alma, adorar: forse 'I farei. |