Starò, ch'egli è disnor morir fuggendo; Di tai lamenti: sì dolce è mia sorte, Servo d'Amor, che queste rime leggi, Prega il Rodano, che scendendo al paese di Laura, le baci 'l piede, o la mano. Rapido fiume, che d' alpestra vena, Rodendo intorno, onde 'l tuo nome prendi, Notte e di meco desioso scendi Ov' Amor me, te sol Natura mena; Vattene innanzi: il tuo corso non frena Nè stanchezza nè sonno: e pria che rendi Suo dritto al mar, fiso, u'si mostri, attendi L'erba più verde, e l'aria più serena. Ivi è quel nostro vivo e dolce Sole Ch'adorna e 'nfiora la tua riva manca; Forse (o che spero) il mio tardar le dole. Baciale 'l piede, o la man bella e bianca: Dille; il baciar sia 'n vece di parole: Lo spirto è pronto, ma la carne è stanca. Assente da Valchiusa col corpo, non fu, non è, e non sarà mai collo spirito. I dolci colli ov'io lasciai me stesso Col ferro avvelenato dentr' al fianco SONETTO CLVI. — 175. È nuovo ed unico il suo tormento, giacchè Laura, che n'è la cagione, non s'accorge. Non dall' ispano Ibero all'indo Idaspe Ricercando de'mar ogni pendice, Nè dal lito vermiglio all' onde caspe, Qual destro corvo o qual manca cornice Ch'i' non vo'dir di lei; ma chi la scorge, Tutto 'l cor di dolcezza e d'amor l'empie; Tanto n'ha seco e tant' altrui ne porge: E per far mie dolcezze amare ed empie, O s'infinge o non cura o non s'accorge Del fiorir queste innanzi tempo tempie. Come e quando sia entrato nel laberinto d'amore, e come ora egli vi stia. Voglia misprona, Amor mi guida e scorge, Piacer mi tira, usanza mi trasporta, Speranza mi lusinga e riconforta, E la man destra al cor già stanco porge: Il misero la prende, e non s'accorge Di nostra cieca e disleale scorta: Regnano i sensi, e la ragion è morta ; Dell' un vago desio l'altro risorge. .. Virtute, onor, bellezza, atto gentile, Dolci parole ai bei rami m' han giunto, Ove soavemente il cor s'invesca. Mille trecento ventisette appunto, Su l'ora prima, il dì sesto d'aprile Nel labirinto intrai; nè veggio ond' esca. Servo fedele di Amore per sì lungo tempo, non n'ebbe in premio che lagrime. Beato in sogno, e di languir contento, D'abbracciar l'ombre e seguirl' aura estiva, Nuoto per mar che non ha fondo o riva, Solco onde, e'n rena fondo, e scrivo in vento; E'l Sol vagheggio sì, ch'egli ha già spento Col suo splendor la mia vertù visiva; Ed una cerva errante e fuggitiva Caccio con un bue zoppo e 'nfermo e lento. Cieco estanco ad ogni altro ch'al mio danno, Il qual dì e notte palpitando cerco, Sol Amor e Madonna e Morte chiamo. Così vent'anni (grave e lungo affanno!) Pur lacrime e sospiri e dolor merco; In tale stella presi l'esca e l'amo. SONETTO CLIX. — 178. Laura colle sue grazie fu per lui una vera Grazie ch'a pochi 'l Ciel largo destina; E 'l cantar che nell'anima si sente, Da questi magi trasformato fui. Storia del suo amore. Difficoltà di liberarsene. Invoca l'aiuto di Dio. Anzi tre di creata era alma in parte Da por sua cura in cose altere e nove, |