Così mi sveglio a salutar l' Aurora E 'l Sol ch'è seco, e più l'altro ond' io fui Ne' prim' anni abbagliato e sono ancora. I'gli ho veduti alcun giorno ambedui Levarsi insieme, e 'n un punto e 'n un' ora Quel far le stelle e questo sparir lui. Interroga Amore, ond' abbia tolte quelle tante grazie di cui Laura va adorna. Onde tolse Amor l'oro e di qual vena, Di quella fronte più che 'I ciel serena? Di qual Sol nacque l'alma luce altera Guardando gli occhi di lei si sente morire, ma non sa come staccarsene. Qual mio destin,qual forza o quale inganno Là 've sempre son vinto; e s'io ne scampo, Danno non già, ma pro; sì dolci stanno Sento i messi di morte ove apparire gire, SONETTO CLXVII. 186. Non trovandola colle sue amiche, ne chiede loro il perchè; ed esse il confortano. Liete e pensose, accompagnate e sole Donne, che ragionando ite per via, Ov'è la vita, ov'è la morte mia? - Liete siam per memoria di quel Sole; - Chiponfreno agli amanti o dà lor legge? -Nessun all'alma; al corpo ira ed asprezza: Questo ora in lei, talor si prova in noi. Ma spesso nella fronte il cor si legge : Si vedemmo oscurar l'alta bellezza, E tutti rugiadosi gli occhi suoi. Nella notte sospira per quella che sola nel di può addolcirgli le pene. Quando 'l Sol bagna in mar l'aurato carro, E l'aer nostro e la mia mente imbruna, Col cielo e con le stelle e con la luna Un'angosciosa e dura notte innarro. Poi, lasso, a tal che non m'ascolta narro Tutte le mie fatiche ad una ad una, E col mondo e con mia cieca fortuna, Con Amor, con Madonna e ineco garro. Il sonno è 'n bando, e del riposo è nulla: Ma sospiri e lamenti infin all'alba E lagrime che l' alma agli occhi invia. Vien poi l'aurora, e l'aura fosca inalba; Me no; ma 'l Sol che 'l cor m'arde e trastulla, Quel può solo addolcir la doglia mia. SONETTO CLXIX. -188. Se i tormenti che soffre lo condurranno a morte, ei ne avrà il danno, ma Laura la colpa. S'una fede ainorosa, un cor non finto, Se nella fronte ogni pensier dipinto, S'aver altrui più caro che sè stesso; Se lacrimar e sospirar mai sempre, Pascendosi di duol, d'ira e d'affanno: S'arder da lunge ed agghiacciar da presso, Son le cagion ch'amando i'mi distempre; Vostro, Donna, il peccato, e mio fia 'l danno. Chiama ben felice chi guidò quella barca Dodici donne onestamente lasse, E Laura mia con suoi santi atti schifi Non cose umane o vision mortale. SONETTO CLXXI. 190. Tanto egli è misero nell'esser lontano da lei, quanto è felice il luogo che la possede. Passer mai solitario in alcun tetto Non fu quant'io, nè fera in alcun bosco; |