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Così mi sveglio a salutar l' Aurora E 'l Sol ch'è seco, e più l'altro ond' io fui Ne' prim' anni abbagliato e sono ancora. I'gli ho veduti alcun giorno ambedui Levarsi insieme, e 'n un punto e 'n un' ora Quel far le stelle e questo sparir lui.

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Interroga Amore, ond' abbia tolte

quelle tante grazie di cui Laura va adorna.

Onde tolse Amor l'oro e di qual vena,
Per far due trecce bionde? e 'n quali spine
Colse le rose, e 'n qual piaggia le brine
Tenere e fresche, e diè lor polso e lena?
Onde le perle in ch' ei frange ed affrena
Dolci parole oneste e pellegrine?
Onde tante bellezze e sì divine

Di quella fronte più che 'I ciel serena?
Da quali angeli mosse e di qual spera
Quel celeste cantar che mi disface
Sì che m'avanza omai da disfar poco?

Di qual Sol nacque l'alma luce altera
Di que' begli occhi ond' io ho guerra e pace,
Che mi cuocono 'l cor in ghiaccio e 'n foco?

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Guardando gli occhi di lei si sente morire, ma non sa come staccarsene.

Qual mio destin,qual forza o quale inganno
Mi riconduce disarmato al campo

Là 've sempre son vinto; e s'io ne scampo,
Maraviglia n' avrò; s'i'moro, il danno?

Danno non già, ma pro; sì dolci stanno
Nel mio cor le faville e 'l chiaro lampo
Che l'abbaglia clo strugge, e 'n ch'io m'avvampo:
E son già, ardendo, nel vigesim'anno.

Sento i messi di morte ove apparire
Veggio i begli occhi e folgorar da lunge;
Poi, s'avven ch' appressando a me

gire,
Amor con tal dolcezza m'unge e punge,
Ch'i' nol so ripensar, non che ridire;
Chè nè ingegno nè lingua al vero aggiunge.

SONETTO CLXVII. 186.

Non trovandola colle sue amiche, ne chiede loro il perchè; ed esse il confortano.

Liete e pensose, accompagnate e sole Donne, che ragionando ite per via,

Ov'è la vita, ov'è la morte mia?
Perchè non è con voi com'ella sôle?

- Liete siam per memoria di quel Sole;
Dogliose per sua dolce compagnia
La qual ne toglie invidia e gelosia,
Che d'altrui ben, quasi suo mal, si dole.

- Chiponfreno agli amanti o dà lor legge? -Nessun all'alma; al corpo ira ed asprezza: Questo ora in lei, talor si prova in noi. Ma spesso nella fronte il cor si legge : Si vedemmo oscurar l'alta bellezza, E tutti rugiadosi gli occhi suoi.

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Nella notte sospira per quella che sola nel di può addolcirgli le pene.

Quando 'l Sol bagna in mar l'aurato carro, E l'aer nostro e la mia mente imbruna, Col cielo e con le stelle e con la luna Un'angosciosa e dura notte innarro.

Poi, lasso, a tal che non m'ascolta narro Tutte le mie fatiche ad una ad una, E col mondo e con mia cieca fortuna, Con Amor, con Madonna e ineco garro.

Il sonno è 'n bando, e del riposo è nulla: Ma sospiri e lamenti infin all'alba

E lagrime che l' alma agli occhi invia.

Vien poi l'aurora, e l'aura fosca inalba; Me no; ma 'l Sol che 'l cor m'arde e trastulla, Quel può solo addolcir la doglia mia.

SONETTO CLXIX. -188.

Se i tormenti che soffre lo condurranno a morte, ei ne avrà il danno, ma Laura la colpa.

S'una fede ainorosa, un cor non finto,
Un languir dolce, un desiar cortese;
S'oneste voglie in gentil foco accese;
S' un lungo error in cieco laberinto;

Se nella fronte ogni pensier dipinto,
Od in voci interrotte appena intese,
Or da paura, or da vergogna offese;
S'un pallor di viola e d'amor tinto;

S'aver altrui più caro che sè stesso; Se lacrimar e sospirar mai sempre, Pascendosi di duol, d'ira e d'affanno:

S'arder da lunge ed agghiacciar da presso, Son le cagion ch'amando i'mi distempre; Vostro, Donna, il peccato, e mio fia 'l danno.

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Chiama ben felice chi guidò quella barca
e quel carro, su cui Laura sedeva cantando.

Dodici donne onestamente lasse,
Anzi dodici stelle, e 'n mezzo un Sole
Vidi in una barchetta allegre e sole,
Qual non so s' altra mai onde solcasse.
Simil non credo che Giason portasse
Al vello ond'oggi ogni uom vestir si vole,
Nè 'l pastor di che ancor Troia si dole;
De' qua' duo tal romor al mondo fasse.
Poi le vidi in un carro trionfale,

E Laura mia con suoi santi atti schifi
Sedersi in parte e cantar dolcemente:

Non cose umane o vision mortale.
Felice Automedon, felice Tifi,
Che conducesti sì leggiadra gente!

SONETTO CLXXI. 190.

Tanto egli è misero nell'esser lontano da lei, quanto è felice il luogo che la possede.

Passer mai solitario in alcun tetto

Non fu quant'io, nè fera in alcun bosco;

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